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Little Bighorn, dove nacque la leggenda

1,99

La più selvaggia e sanguinosa battaglia nella storia delle guerre indiane.
Per Custer e gli uomini del Settimo Cavalleggeri l’appuntamento con il destino è a Little Bighorn,
dove nacque la leggenda.


Maurizio Bianciotto e Fabrizio Carollo (Autore)
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Informazioni aggiuntive

Editore

Data di pubblicazione

6 novembre 2018

ISBN

9788899531652

Lingua

Italiano

Formato

Kindle

Kindle
COD: 3216 Categoria: Tag: Product ID: 20386

Descrizione


Capitolo 1

Una decisione azzardata

Il tenente colonnello George Armstrong Custer riteneva che il suo 7^ cavalleria avrebbe tranquillamente potuto spazzare via tutti i pellerossa d’America. Ne era più che mai convinto quella mattina del 25 giugno del 1876, quando i suoi esploratori Corvi e Arikara avevano avvistato l’accampamento degli ostili, come venivano qualificati dall’esercito tutti gli indiani che non intendevano farsi chiudere nelle riserve del governo. 

Pochi giorni prima, esattamente il 21 di giugno, Custer si era incontrato sul fiume Yellowstone con i generali Terry e Gibbon. 

Quella doveva essere la campagna definitiva contro le tribù ribelli Cheyennes, Sioux e Arapaho. I pellerossa dovevano assolutamente essere cacciati dalle Black Hills, tradizionale terreno di caccia nonché zona dal grande valore mistico per i nativi. Il trattato del 1868 assegnava quei territori in perpetuo alle tribù ma purtroppo nel 1874 sulle Black Hills era stato scoperto l’oro e moltissimi cercatori entrarono abusivamente nel territorio indiano. 

L’esercito tentò molto blandamente di fermare i cercatori e quando il governo si rese conto che questo era impossibile intavolò trattative con alcuni capitribù per acquistare i terreni auriferi. 

Tuttavia i leader pellerossa di maggior prestigio, tra cui Cavallo Pazzo e Toro Seduto furono intransigenti: non avrebbero mai ceduto il cuore sacro della nazione Lakota. Nel 1875 la situazione si era fatta insostenibile, con diversi scontri tra indiani e cercatori d’oro e morti da ambo le parti. 

A questo punto il governo degli Stati Uniti decise di risolvere la situazione con la forza e ordinò che tutti i nativi dovessero lasciare le Black Hills e raggiungere le riserve entro il gennaio del 1876. 

Chi non avesse ottemperato all’ordine sarebbe stato considerato ostile e quindi attaccato dall’esercito. Tuttavia, se anche gli indiani avessero voluto, sarebbe stato per loro quasi impossibile ottemperare a quella richiesta; non era facile smontare gli accampamenti e mettersi in marcia in pieno inverno. Pochissimi pellerossa si presentarono alle riserve entro la scadenza e così fu la guerra. 

Personaggi come Custer non aspettavano altro. Tra il marzo e il maggio del 1876 tre colonne militari si misero in marcia verso la zona delle Black Hills. 

I generali americani stimavano che avrebbero dovuto affrontare una forza di circa mille guerrieri indiani. Tuttavia, ai primi di giugno, quando le truppe giunsero in zona d’operazioni, le tribù ostili erano state raggiunte da numerosi gruppi che avevano trascorso l’inverno nelle riserve ma che ora raggiungevano i loro fratelli per la stagione di caccia. In questo modo il numero di avversari che l’esercito avrebbe dovuto affrontare veniva ad aumentare enormemente. 

Nella riunione del 21 giugno il generale Terry incaricò Custer di risalire il fiume Rosebud mentre le truppe del generale Gibbon, composte solo da fanteria, avrebbero dovuto risalire il fiume Little Bighorn fino ad intercettare le tribù ribelli. 

Raggiunto a sua volta il Little Bighorn la cavalleria di Custer avrebbe dovuto attaccare il nemico, le cui linee di ritirata sarebbero state bloccate dalla fanteria di Gibbon. Era un piano che richiedeva una perfetta coordinazione e tuttavia Terry aveva lasciato a Custer una notevole libertà di manovra. 

Il tenente colonnello aveva mosso il suo reggimento il 22 giugno ed era giunto in vista dell’enorme accampamento avversario con un giorno di anticipo. I suoi scouts lo avevano avvertito dell’enorme consistenza del campo indiano e del conseguente numero di guerrieri nemici ma Custer aveva preso sottogamba i loro avvertimenti e aveva pensato si trattasse di grossolane esagerazioni.

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