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Maledette iene. Quelli che fanno soldi sulle nostre disgrazie

18,50

Quello che state per leggere non è un libro sociologico contro la ricchezza. Anche perché la ricchezza non ha nulla di negativo se è lecita e onesta, meritata e non ostentata. È un’inchiesta che denuncia con nomi e cognomi, fatti e circostanze precise, la ricchezza ingiusta, quella accumulata sulle spalle di chi ha bisogno, sottraendo a chi soffre l’essenziale per vivere. La ricchezza immorale, illecita, illegale, quella che nasce da furto, frode, inganno, in modo spregiudicato e criminale. C’è chi truffa, chi depreda la sanità, chi mette a rischio la vita altrui, chi abbindola i pensionati e chi froda il fisco. Sono le “maledette iene” che svuotano le tasche dei più deboli. Dal mago dei pc di Treviso che è sparito a Dubai con 300 milioni dei risparmiatori all’imprenditore che è diventato ricco avvelenando la Toscana. Dai grandi costruttori che per non spendere 95 centesimi in più fanno bruciare un grattacielo allo chef che aumenta il fatturato della sua coop (+1536%) scegliendo (male) i medici del pronto soccorso. Come sempre, nei periodi di crisi, accade che molti diventano incredibilmente più poveri e pochi diventano incredibilmente più ricchi. Mario Giordano ha cercato le storie di molti profittatori, evasori, faccendieri, maneggioni e trafficanti, in giro per l’Italia, consultando un mare di documenti e atti ufficiali, senza fermarsi davanti a nessuno, per quanto potente o minaccioso. Perché nessuno deve restare impunito.

Informazioni aggiuntive

Editore

ISBN

978-8817181778

Data di pubblicazione

2 maggio 2023

Formato
Copertina rigida

€ 18,50

COD: 8846 Categoria: Tag: Product ID: 20556

Descrizione

Le iene della nuova economia

 

Nel novembre 2022 il visionario fondatore di Facebook Mark Zuckerberg licenzia 11.000 dipendenti. Con una mail. Come un vecchio padrone delle ferriere. Lo stesso fanno il visionario proprietario di Twitter Elon Musk (3750 licenziati), il visionario patron di Google Sundar Pichai (12.000 licenziati) e il visionario capo di Amazon Jeff Bezos (18.000 licenziati).

Nel giro di pochi mesi le aziende leader della nuova economia si liberano di 170.000 persone. E lo fanno in modo brutale. Senza riguardi. Secondo l’«Economist», nel corso del 2022 soltanto i cinque giganti della tecnologia (Apple, Google, Facebook, Microsoft e Amazon) hanno perso 3000 miliardi di dollari. E, di fronte alle perdite, la reazione della nuova economia è uguale alla vecchia: a pagare devono essere i dipendenti. Cioè quelli che hanno meno responsabilità del fallimento.

Ci eravamo tanto illusi. Per vent’anni abbiamo venerato il culto della Silicon Valley. Lì dove i lavoratori venivano coccolati. Dove c’erano gli spazi di ricreazione. Gli stipendi alti. I bonus generosi. L’umanità del trattamento. Il clima informale. Gli chef alla mensa. La lavanderia gratis. Gli asili nido. E persino i fisioterapisti per i massaggi tra un meeting e l’altro.

Ora abbiamo scoperto che era una bolla che funzionava solo perché andava tutto bene. Alle prime difficoltà sono partite le mail di licenziamento. Senza spiegazione. Zuckerberg, Musk e Bezos continuano a essere tra gli uomini più ricchi del mondo. Mentre i dipendenti sono finiti per strada come i loro colleghi metalmeccanici. Né più né meno. Altro che coccole. Anche i ventisette fisioterapisti di Google sono stati licenziati senza pietà.

Che ne è rimasto dei sogni di un ventennio? Che ne è rimasto delle speranze di cambiamento? E delle promesse di democrazia economica? E della rivoluzione digitale? Che ne è rimasto della «meglio gioventù» che prometteva un sistema diverso, basato sulle relazioni umane e sulla felicità per tutti?

Come tutti i sogni, anche questo è tramontato, travolto dalla crisi e dai suoi inevitabili egoismi. Così all’improvviso si è scoperto che gli dei dell’era digitale licenziano come gli industriali tessili dell’Ottocento. Che la Silicon Valley Bank fa crac come una qualsiasi Banca Romana. Che le criptovalute sono un inganno peggiore delle antiche monete. Che Uber si muove come i lobbisti di antica tradizione. E che gli youtuber evadono le tasse peggio degli idraulici di paese.

La new economy, insomma, è come la old economy. Forse anche peggio. Perché dietro le parole d’ordine della novità si nascondono squali animati da antichi appetiti. Che si mascherano bene. Colpiscono senza problemi. E così fanno ancora più male.

Il mago dei pc di Treviso che sparisce a Dubai con 300 milioni dei risparmiatori

Ah, la new economy! Ah, le nuove frontiere del digitale! Ah, i bitcoin e le criptovalute! Christian Visentin, 47 anni, nato a Conegliano, casa a San Fior e ufficio a Silea, in provincia di Treviso, era convinto che il fiume della finanza mondiale 2.0 passasse direttamente da lì, da quel pezzo di Veneto tra il Piave e il Livenza. Soprattutto aveva convinto di questo circa seimila risparmiatori, che perciò avevano affidato a lui i soldi messi via con i sacrifici di una vita. Diceva di avere realizzato un software speciale che garantiva, attraverso la compravendita di bitcoin, rendite da 10 per cento al mese. Avete letto bene: al mese. «E in sei mesi si può arrivare al 180 per cento» prometteva. Investimento minimo: 10.000 euro. «Ma presto passeremo a 20.000 euro, perché vogliamo solo clienti molto convinti.» La raccolta comincia a luglio 2020. E per qualche mese, in effetti, gli altissimi rendimenti vengono pagati. I soldi degli interessi arrivano. Poi, all’improvviso, ne arrivano di meno. Poi quasi niente. A giugno 2022 lo stop definitivo. Rubinetto secco. Nemmeno un euro. E non si trova nemmeno più il capitale. Per la verità non si trova nemmeno più Visentin, che è sparito nel nulla lasciando dietro di sé un buco da quasi 300 milioni di euro. E seimila persone inferocite per aver perso i loro risparmi.

Bel tipo questo Visentin, tecnico dei computer trasformatosi in mago della finanza new style. Per quarantatré anni della sua vita si barcamena in attività che stanno ai circuiti informatici internazionali come il bar della bocciofila sta ai circuiti internazionali dei gourmet: dal 2003 al 2006 risulta titolare di una ditta individuale per la riparazione di pc a Castello Roganzuolo, frazione di San Fior; dal 2013 al 2016 commercia all’ingrosso apparecchiature informatiche con base a Grisignano di Zocco, in provincia di Vicenza. Quindi nel 2018, all’improvviso, il grande salto nelle criptovalute: comincia a comprare e vendere bitcoin e si sente così bravo da autonominarsi professore. Tiene corsi sulla materia. Insegna e opera, opera e insegna. E gli orizzonti si allargano in modo repentino ben oltre il Piave e il Livenza: da Castello Roganzuolo a Londra, da Grisignano di Zocco a Lugano. Così gli affari crescono a dismisura, passando per le banche della Lituania e gli hotel di Dubai, dove Visentin si fa fotografare insieme al campione di motociclismo Jorge Lorenzo e svariati vip.

Altro che riparazione di pc: la vita diventa di colpo una sfilata di lusso. Orologi costosi, abiti firmati. E, per sfrecciare a San Fior, una Audi R8, supercar da 170.000 euro.

Anche la società prende un nome all’altezza della new economy. Si chiama infatti New Financial Technology, NFT, come le nuove forme di arte virtuale, che fan subito moda. Ma nonostante il nome da Silicon Valley, nonostante gli uffici a Londra e a Lugano, e nonostante le società collegate a Dubai, la sede centrale della NFT resta a Silea, Treviso. Fuori dall’ufficio nemmeno una targa, nemmeno un’insegna. Tutto funziona grazie al passaparola. Gli agenti venditori, diffusi in tutto il Veneto, ma anche in Lombardia, in Romagna e in Svizzera, sono persone semplici, impiegati, operai, ovviamente senza nessuna competenza tecnica, abusivi nel ruolo di operatori finanziari. Sfruttano le reti personali. Convincono amici e conoscenti a fidarsi del software di Visentin. E, siccome internet sembra un mondo magico dove tutto è possibile, anche far soldi senza fatica, incredibilmente ci riescono. C’è chi lascia 10.000 euro, cioè il minimo. Chi 15.000. Chi 30.000. Una signora investe 80.000 euro dopo aver partecipato a un corso olistico: l’insegnante è un agente della NFT. Il signor Stefano investe 38.000 euro dopo aver parlato con il meccanico dell’officina Rusty Mask di Pordenone: è un agente della NFT pure il meccanico. Chi entra nel gioco si sente fortunato. Un prescelto. Quasi un eletto. Invece è soltanto un truffato.

A giugno 2022 Visentin sparisce. Il 26 agosto si fa rivedere da Dubai, attraverso un video registrato di tre minuti in cui appare impacciato e imbarazzato. Legge una nota che sembra scritta dagli avvocati. «Sono qui per garantire la situazione» dice, scusandosi più volte per essere scomparso. Ma i soldi dei risparmiatori dove sono finiti? Chi lo sa. Dice che i mancati pagamenti sono cominciati nel dicembre 2021 per colpa di «problemi tecnici del software» e che sono stati aggravati poi dal «crollo dei bitcoin». Dice che «ogni azienda ha momenti di piena e di secca» e che «per noi questo è un momento di secca». Dice che «il momento è complesso». Ma come pensa di restituire quei soldi, non lo dice. Forse perché sa di non poterlo fare. Eppure molte delle persone truffate sono restie a denunciarlo: alcuni si vergognano, altri non vogliono esporsi, altri ancora s’illudono di rivedere almeno una parte dei quattrini. Nel gennaio 2023 il Codacons toglie loro ogni speranza: «I soldi non arriveranno mai». Non è difficile da capire, del resto. Proprio in quei giorni Visentin si rifà vivo, prima con un collegamento video a Mi manda Raitre e poi con una memoria alla procura. Stavolta non c’è più nessuna intenzione di «garantire la situazione». Solo il gioco dello scaricabarile sui soci. «Non sono io la mente del crac» dice. Chi è stata la mente saranno i giudici a stabilirlo. Ma che di crac si tratti ormai è indiscutibile.

A metà febbraio 2023 l’ex mago delle criptovalute viene arrestato a Dubai. Non per l’inchiesta italiana, ma per un provvedimento richiesto dagli Emirati Arabi Uniti. Lo accusano accusano di «tradimento» e «reati contro la fiducia». Si scopre che vive in appartamenti di lusso, sul mare, intestati a prestanome, con uno yacht Sunseeker da 30 metri ormeggiato in darsena. Nel frattempo la Guardia di Finanza a Treviso sequestra ad altri indagati alcuni beni comprati con i proventi della truffa: dieci auto di lusso (tra cui una Audi Q8, una Mercedes e una Porsche Cabriolet), orologi, denaro contante e vitigni pregiati che dovevano servire per lanciare un’azienda vitivinicola. In tutto circa 2 milioni di euro. Una piccola parte dei 300 milioni sottratti alle seimila vittime e svaniti nel nulla.

Il fatto più rilevante, però, è che bitcoin e criptovalute, in questa storia, con tutta probabilità non c’entrano niente. Erano solo «uno specchietto per le allodole», come è scritto nella denuncia presentata da sedici risparmiatori: infatti non c’era alcun software, non c’era compravendita, non c’erano monete digitali. C’era solo una truffa vecchia come il cucù, quella che si basa sul celebre schema Ponzi: prometti interessi altissimi, con i soldi raccolti paghi effettivamente quanto promesso ai primi investitori, così altri si convincono a entrare, e avanti così fino a quando si riesce ad aumentare la platea delle persone coinvolte. Poi, quando la platea non si riesce più ad aumentare, l’ideatore fugge con la cassaforte. Da sempre si vedono impostori di questo tipo che approfittano delle persone meno esperte o più credulone, come il Gatto e la Volpe di antica memoria. E, a pensarci, in fondo questa non è altro che la riedizione della favola di Pinocchio in salsa digitale. Nel paese dei barbagianni, scriveva Collodi, c’è un campo dei miracoli dove, se sotterri le monete, nasce l’albero degli zecchini d’oro. Certo, ora ci sono i criptozecchini e il campo dei miracoli è diventato online. Ma non cambia nulla: i barbagianni restano barbagianni. Anche se si riempiono la bocca parlando di bitcoin.


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