Descrizione
Capitolo 1
Con occhi diversi
Quando avevo due anni, il dottore disse a mia madre che ero ritardata.
Ero ancora in fasce e lei aveva notato che era come se vivessi in un mondo tutto mio. Ricordo perfino i momenti in cui, sdraiata nella culla – per la verità, era una grossa cesta –, la vedevo china su di me. Intorno a lei risplendeva una luce bellissima, piena di creature che rifulgevano di tutti i colori dell’arcobaleno: erano molto più alte di me, ma più basse di lei; la loro statura era più o meno quella di un bambino di tre anni.
Quegli esseri fluttuavano nell’aria come piume; ricordo ancora quando mi allungavo per toccarli, senza però mai riuscirci.
Ero affascinata da quelle creature e dalla loro splendida luce. All’epoca non mi rendevo conto di riuscire a vedere qualcosa di diverso rispetto agli altri; lo avrei saputo solo molto più tardi direttamente da quegli stessi esseri chiamati angeli.
Con il trascorrere dei mesi, mia madre si era accorta che, per quanto si sforzasse di attirare la mia attenzione, non facevo altro che guardare, a tratti anche fissamente, da un’altra parte. Per la verità, io ero da un’altra parte: ero lontana, in compagnia degli angeli, intenta a osservare quello che facevano, ma anche a parlare e giocare con loro. Ne ero incantata.
Ho pronunciato le prime parole piuttosto tardi; in compenso, ho iniziato a conversare con gli angeli molto precocemente.
A volte ci capitava di utilizzare le stesse espressioni che usiamo noi esseri umani; altre volte, invece, le parole non servivano perché eravamo già a conoscenza dei nostri rispettivi pensieri.
Ero convinta che tutti potessero vedere quello che io vedevo; ciononostante, gli angeli mi chiedevano di non rivelare a nessuno quello che mi succedeva; sarebbe dovuto rimanere un nostro segreto. Infatti, per molti anni ho ascoltato gli angeli senza mai rivelarlo a nessuno. Solo ora ho deciso di raccontare in questo libro tutta la verità.
* * *
La diagnosi del dottore quando avevo solo due anni era destinata a influire pesantemente sulla mia vita: mi sono resa conto di quanto le persone possano essere crudeli. All’epoca, abitavamo nel quartiere di Old Kilmainham, poco lontano dal centro di Dublino, dove mio padre aveva preso in affitto un piccolo negozio in cui riparava le biciclette con annesso un modesto villino. Nella casa, piccolissima e un po’ fatiscente, si entrava direttamente dal negozio.
Faceva parte di una schiera di vecchi villini e negozi perlopiù vuoti o dismessi a causa della loro inagibilità pressoché totale. Trascorrevamo gran parte del tempo in una stanzetta al pianterreno, dove eravamo soliti cucinare, mangiare, parlare, giocare e fare perfino il bucato in una grossa tinozza di metallo davanti al camino.
Alla mancanza di un bagno all’interno della casa avevamo sopperito con un capanno adibito a latrina: lo raggiungevamo percorrendo una piccola discesa dal retro del giardino. Al piano superiore della casa c’erano due stanzette; all’inizio ne condividevo una – e il letto – con la mia sorella maggiore, Emer.
Non mi limitavo a vedere gli angeli (che mi apparivano costantemente, dall’istante in cui mi svegliavo fino all’attimo in cui mi addormentavo), ma anche gli spiriti dei trapassati. Mio fratello Christopher era nato molto tempo prima di me ed era morto quando aveva solo dieci settimane. Pur non avendolo mai visto, ero in grado di visualizzarlo – aveva i capelli neri, mentre io e mia sorella eravamo bionde – e di giocare con lui nella dimensione dello spirito.
A quel tempo, pensavo che non ci fosse nulla di strano; per certi versi, era un bambino come tutti gli altri, anche se con un aspetto più luminoso. Solo quando mi accorsi che la sua età poteva cambiare, mi resi conto della sua diversità. A volte aveva l’aspetto di un neonato, altre trotterellava sul pavimento dimostrando più o meno la mia età. Inoltre, non era sempre presente, ma sembrava piuttosto andare e tornare.
Nel tardo pomeriggio di una fredda giornata d’inverno, poco prima che facesse buio, mi trovavo da sola nel piccolo soggiorno della casa di Old Kilmainham. Il fuoco nel camino era l’unica luce che rischiarava la stanza, e il suo riverbero tremolava sul pavimento dove sedevo intenta a giocare con i mattoncini di legno che aveva fatto mio padre. Christopher era venuto a giocare con me. Sedeva più vicino al fuoco: mi aveva spiegato che in quel punto il calore sarebbe stato troppo intenso per me, ma che per lui non c’erano problemi giacché non lo percepiva. Stavamo costruendo una torre: io mettevo un mattoncino e lui ne sovrapponeva un altro.
La torre stava diventando molto alta finché, all’improvviso, le nostre mani si toccarono. Fui molto stupita – provai una sensazione del tutto diversa rispetto a quando toccavo altre persone. Nell’attimo in cui lo sfiorai, il suo aspetto divenne scintillante. In quel momento, entrai in lui (o forse fu lui a entrare in me); ebbi l’impressione che ci fossimo fusi diventando una cosa sola. Lo shock che provai fu così intenso da farmi rovesciare la nostra torre di mattoncini!
Scoppiai a ridere, e quindi lo toccai di nuovo. Credo che fu quella la prima volta in cui mi resi pienamente conto che lui non era una creatura in carne e ossa.
Non ho mai confuso Christopher con un angelo; anche se, talvolta, quelli che vedevo assumevano sembianze umane; ma avevano quasi tutti le ali, i loro piedi non toccavano terra e dentro di loro splendeva una specie di luce brillante. In altri momenti, gli angeli non avevano affatto sembianze umane: si presentavano sotto forma di un’intensa luce abbagliante.
Christopher appariva spessissimo accanto a mia madre. Capitava che la mamma si addormentasse sulla sedia accanto al camino, e io lo vedevo accoccolato fra le sue braccia. Non sapendo se mia madre si accorgesse della presenza di Christopher, domandavo a mio fratello: «Devo dire alla mamma che sei qui?».
Lui mi rispondeva sempre: «No, non puoi dirglielo. Non capirebbe; a volte, però, avverte la mia presenza». Un mattino d’inverno, quasi all’alba, gli angeli apparvero vicino al mio letto.
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