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La palude. Le indagini di Kate Linville (Vol. 2)

14,00

Ottobre 2017: in una spettrale brughiera nell’Inghilterra del Nord viene ritrovato il corpo di Saskia Morris, una quattordicenne scomparsa l’anno prima a Scarborough, nello Yorkshire. Contemporaneamente un’altra ragazza della stessa età, Amelie Goldsby, è strappata alla morte da uno sconosciuto, che in una notte di tempesta sente le sue urla strazianti provenire dal mare e riesce a trarla in salvo. Anche Amelie era sparita in circostanze misteriose, e ora, sotto shock, dice di essere stata rapita e tenuta segregata da un uomo, ma è incapace di ricordare il minimo dettaglio utile a mettere la polizia sulla pista giusta. Le indagini si concentrano sulla sparizione nel 2013 a Scarborough di un’altra quattordicenne mai più ritrovata, Hannah Caswell. C’è un fil rouge che unisce tre coetanee così diverse tra loro per carattere ed estrazione sociale? Si fa sempre più strada l’idea di un omicida seriale: l’ispettore capo Caleb Hale è al centro di una gogna mediatica in cui ormai si fa riferimento al «killer della brughiera» il quale, indisturbato, sequestra ragazzine inermi. La polizia sembra brancolare nel buio quando, suo malgrado, si trova implicata in quella spirale di violenza anche Kate Linville, sergente investigativo di Scotland Yard, che è a Scarborough per vendere la casa di famiglia e che per una strana combinazione fa conoscenza con i genitori di Amelie. Aiutata dal suo fiuto di poliziotta e di donna, sarà Kate a trovare il bandolo di una matassa dove, a intrecciarsi, sono segreti vergognosi e colpe inconfessabili che riemergono dopo tanti anni…

Informazioni aggiuntive

Editore

Data di pubblicazione

1 Aprile 2021

ISBN-13

978-8850259793

Lingua

Italiano

Copertina flessibile

€ 14,00

COD: 9420 Categoria: Tag: , Product ID: 21253

Descrizione

Novembre 2013

1

 

Era buio. Era freddo. E il treno per Scarborough le era partito proprio sotto il naso. Il treno concordato con suo padre. Hannah aveva giurato che lo avrebbe preso.

«Sarebbe la prima volta che arrivi in orario» aveva osservato Ryan, suo padre. «Non so se sia una buona idea lasciarti andare da sola a Hull.»

«Ma la nonna ci tiene tanto. È il suo compleanno!»

«Tu e tua nonna! Non capisco proprio che cosa…» Ryan si era bloccato prima di terminare la frase. La nonna era sua madre e tra di loro non c’era mai stato un buon rapporto. Hannah non ne conosceva le ragioni, ma dal momento che quasi nessuno andava d’accordo con il padre, immaginava che dipendesse soprattutto dal suo atteggiamento. In genere Ryan era di cattivo umore e trattava gli altri in maniera sgarbata e scostante. Neppure la moglie aveva resistito: quando Hannah aveva quattro anni, se n’era andata di casa.

Ryan a malincuore aveva permesso a sua figlia quattordicenne di prendere il treno da sola per Kingston-upon-Hull in quel piovoso sabato di novembre, per andare dalla nonna in occasione del suo compleanno, ma aveva manifestato chiaramente tutta la propria contrarietà verso l’iniziativa.

«Sei sempre sbadata. Sei sempre in ritardo. Non combini mai niente. Mi domando seriamente se ce la farai.»

Hannah sapeva che il padre non la riteneva capace di concludere alcunché, ma questa volta non si era lasciata intimidire. Aveva implorato e piagnucolato finché aveva ottenuto il permesso. Avevano cercato insieme i treni di andata e ritorno da Scarborough a Hull. Ryan sarebbe poi andato a prenderla alla stazione di Scarborough, per tornare insieme a Staintondale, dove abitavano, una frazione minuscola collegata solo da una pessima linea di autobus.

Il treno ormai era partito, non c’era più niente da fare. In piedi immobile sul marciapiede, Hannah cercava di trattenere le lacrime. Com’era potuto succedere? Si era impegnata così tanto per non deludere suo padre, per dimostrargli al contrario di essere seria e responsabile oltre che matura. E invece confermava tutti i suoi pregiudizi.

Si passò una mano sugli occhi. Piangere non sarebbe servito a niente, adesso. Chiese informazioni a un ferroviere e scoprì che il treno successivo sarebbe partito quasi due ore più tardi. Niente da fare. Tirò fuori dalla borsa il cellulare e telefonò al padre, che lavorava per un’impresa di pulizie e aveva cambiato turno apposta quel sabato pomeriggio. Come aveva immaginato, la sua reazione fu estremamente contrariata.

«Avevo calcolato di venire a prenderti alle sette e un quarto! Che cosa faccio adesso per due ore? Alle sette chiude tutto! Dio santo, Hannah, perché è sempre la stessa storia con te? È tanto difficile arrivare puntuale almeno una volta?»

Hannah deglutì. Che cosa avrebbe dovuto ribattere? All’ultimo momento la nonna l’aveva pregata di tirare fuori il bucato dalla lavatrice e di metterlo nella cesta e forse quegli ultimi due minuti erano stati decisivi. Restava il fatto che aveva calcolato male i tempi. Come sempre.

«Come sempre!» stava dicendo il padre, concludendo una sfilza di rimproveri alla quale Hannah non aveva prestato ascolto. «Sai una cosa, adesso devi arrangiarti a tornare a casa! Non ho nessuna voglia di essere sempre a tua disposizione, se come al solito combini un casino!» La comunicazione era stata interrotta con queste parole.

Hannah valutò il da farsi. Si allontanò a passo lento dal marciapiede, attraversò l’edificio della stazione, indugiò per un istante davanti a un bar. Aveva qualche spicciolo, magari avrebbe potuto sedersi lì, ordinare una Coca e un muffin e aspettare… Sarebbe stata una scelta estremamente adulta. Ma poi ripensò alla voce adirata del padre e le tornarono le lacrime agli occhi. Sarebbe tornata dalla nonna. Voleva essere abbracciata e consolata da lei.

Hannah uscì sul piazzale della stazione. Il traffico sulle quattro corsie del Ferensway era intenso a quell’ora del sabato, non diversamente dagli altri giorni feriali. Era scesa la sera, l’aria fredda era umida di una sottile pioggerellina. Hannah si strinse nelle spalle con un brivido.

L’aspetto più tragico di quella situazione era che il tutto portava acqua al mulino del padre. Era terribile, ma Hannah non riusciva proprio a convincere Ryan di non essere più una bambinetta stupida. Lui aveva sempre qualcosa da rinfacciarle, brontolava, la rimproverava. Spesso Hannah si domandava come sarebbe stata la sua vita se la madre fosse rimasta con loro. Non aveva ricordi precisi di lei, ma sulle foto appariva giovane e molto graziosa e aveva un bellissimo sorriso. Per certi versi Hannah riusciva a capire il suo desiderio di separarsi da un uomo come Ryan, ma si domandava perché avesse dovuto andarsene tanto lontano.

«Probabilmente in Australia» aveva borbottato il padre qualche anno prima, quando Hannah gli aveva timidamente domandato dove fosse andata la madre. «Ha dei parenti lì.»

Non c’erano più stati contatti.

Hannah si infilò gli auricolari dello smartphone nelle orecchie. I bassi martellanti della musica coprivano tutto, il traffico, le voci della gente. Persino quella rabbiosa di Ryan che le risuonava ancora nella testa. Hannah teneva quasi sempre gli auricolari, anche se il padre ovviamente aveva da ridire pure su quello. La musica però le permetteva di isolarsi, di dimenticare tutte le difficoltà e i problemi della vita. Almeno per un po’. Peccato, però, che non si dissolvessero nell’aria. Tornavano irrimediabilmente tutte le volte.

Sussultò spaventata quando qualcuno le batté con insistenza sulla spalla, si voltò di scatto e si tolse gli auricolari.

Si trovò a fissare gli occhi scuri di un ragazzo.

«Hannah?» le chiese. «Hannah Caswell?»

«Sì?» A causa del cappuccio alzato e delle ciocche bagnate che gli cadevano sugli occhi, non lo riconobbe subito.

«Scusami, non volevo spaventarti» le disse lui. «Ti ho chiamato un paio di volte, ma non mi hai risposto.»

Adesso aveva capito chi era. Kevin Bent. Abitava insieme alla madre e al fratello maggiore in una fattoria isolata a Staintondale, a pochi chilometri da casa sua. Il capofamiglia non c’era più e nessuno sapeva con precisione che fine avesse fatto. Ryan parlava dei Bent sempre con il massimo disprezzo e aveva severamente vietato a Hannah ogni contatto con i due figli. Lei non riusciva a capire questo atteggiamento di chiusura. Mrs. Bent era simpatica e si era vista costretta a rinunciare del tutto alla conduzione della fattoria a causa della sclerosi multipla che l’aveva confinata sulla sedia a rotelle. I Bent vivevano del sussidio statale, ma non era colpa né della madre né dei due ragazzi.

«Ciao, Kevin» lo salutò, augurandosi che non vedesse le tracce di lacrime sulle sue guance. Lui aveva già diciannove anni. Non voleva dargli l’impressione di essere una mocciosa piagnucolosa.

«Sei qui tutta sola?» le domandò.

Lei annuì. «Sì. E ho appena perso il treno.»

Lui le mostrò le chiavi dell’auto. «Puoi venire con me. Almeno fino a Scarborough. Io poi devo andare da alcuni amici a Cropton, ma forse tuo padre potrebbe venire a prenderti in stazione.»

Hannah ci pensò su. Se avesse accettato il passaggio da Kevin, sarebbe arrivata a Scarborough più o meno all’orario stabilito in origine. Naturalmente non avrebbe dovuto dire al padre di essere salita in macchina proprio con Kevin Bent, ma le sarebbe venuta in mente una versione più accettabile. Forse Ryan sarebbe rimasto persino impressionato se Hannah fosse riuscita ad arrivare quasi puntuale nonostante tutto.

«Per te però è una bella deviazione» obiettò. «Arriveresti molto prima a Cropton se non dovessi passare da Scarborough.»

Lui si strinse nelle spalle. «Al massimo l’allungherò di un quarto d’ora.»

Secondo Hannah sarebbe stato più di un quarto d’ora, ma preferì non dire niente. Si sentiva vagamente lusingata. Il bel Kevin Bent avrebbe perso tempo per lei e la cosa non sembrava disturbarlo. Forse ci teneva alla sua compagnia? Hannah non si faceva illusioni. Chi era lei in fondo? Un’anonima ragazzina per la quale nessun ragazzo finora aveva mai mostrato interesse.

«Allora, vieni o no?» le ripeté.

Hannah si riscosse. Era profondamente dibattuta, ma se avesse rifiutato l’offerta, se ne sarebbe pentita, di questo era sicurissima.

«Sì. Sei davvero molto gentile» rispose.

Si incamminarono insieme, attraversarono una strada e raggiunsero un grande parcheggio pieno di automobili. Kevin tirò fuori un biglietto e pagò alla cassa automatica, poi raggiunsero una piccola Fiat ammaccata ma pulitissima. Lui le aprì la portiera e Hannah si mise seduta al posto del passeggero, sollevata di poter sfuggire alla situazione. Era consapevole che il padre non avrebbe mai dovuto scoprire che aveva accettato un passaggio da Kevin Bent. Per qualche strana ragione lui era fermamente convinto che tutti i Bent fossero pericolosi criminali, buoni a nulla e scansafatiche quantomeno, e inoltre anche ladri e truffatori e forse peggio. In effetti il fratello di Kevin era stato interrogato dalla polizia otto anni prima, in relazione al caso dello stupro di una quindicenne: abbordata da un gruppo di ragazzi mentre andava a scuola, la vittima era stata convinta a seguirli e poi malmenata e a turno violentata per ore in un capannone abbandonato. Il fratello di Kevin, all’epoca sedicenne, si era sempre dichiarato estraneo ai fatti e alla fine era stato rilasciato per mancanza di prove. Questo però non era bastato a convincere Ryan. «C’era anche lui» aveva dichiarato, «altrimenti la polizia non lo avrebbe interrogato senza un motivo. Purtroppo non sono riusciti a provare le accuse. Gente come quella dovrebbe stare dietro le sbarre.»

Kevin accese il motore, uscì dal parcheggio e si infilò nella colonna di traffico sul Ferensway.

«Quasi non ti riconoscevo. Sei cresciuta molto.»

Hannah arrossì di gioia. «Be’, sì, io…» Oddio, era possibile sembrare più impacciata di così? «Compirò quindici anni il prossimo aprile.»

«Per la miseria!» esclamò Kevin, lanciandole una rapida occhiata di sottecchi. Sogghignò. Certo. Si comportava come una stupida scolaretta delle elementari che conta i giorni che mancano al suo compleanno.

Scordatelo, Hannah, si disse, puoi scordarti di far colpo su di lui. È soltanto gentile, per questo ti dà un passaggio, ma non ti trova affatto interessante e continuerà a essere così anche in futuro, visto come ti comporti!

Rimasero in silenzio finché raggiunsero la periferia della città e imboccarono la A165, che collegava Hull e Scarborough, costeggiando il mare, fiancheggiata per lunghi tratti da siepi basse e battute dal vento che però nell’oscurità erano invisibili. Il traffico era sempre intenso, procedevano in una colonna ininterrotta di automobili e anche sulla carreggiata opposta era lo stesso. Avrebbero impiegato quasi un’ora e mezzo. In macchina si stava caldi e comodi, ma Hannah era così tesa che quasi rimpiangeva di non aver aspettato il treno successivo. Era seduta in uno spazio angusto con uno dei ragazzi più attraenti di Scarborough, e sapeva bene di non essere l’unica a considerarlo tale. Kevin era spesso nominato a scuola e sui social usati dalle amiche di Hannah per chattare. Tutte avrebbero dato qualunque cosa per avere un appuntamento con lui. Kevin cambiava spesso ragazza. Al momento era considerato single, il che non significava che non avesse qualche storia di poco conto in corso.

Hannah sapeva che tutte le altre l’avrebbero invidiata, tantissimo, ma sapeva altrettanto bene che avrebbe rovinato tutto. Non si considerava attraente, non come le altre ragazze. Qualche chilo di troppo intorno alla vita, una faccia con guance paffute da bambina, un abbigliamento impossibile. Era il padre a decidere che cosa dovesse indossare ed era sempre lui a comprarle la roba. Siccome i Caswell erano perennemente in bolletta, l’unico criterio di scelta era la convenienza. Così si ritrovava sempre infagottatta in capi da poco, informi, che sbiadivano dopo pochi lavaggi. E sempre di una taglia più grande, in modo che non diventassero subito piccoli costringendolo ad acquistarne di nuovi.

Hannah sospirò.

«Che cosa eri andata a fare a Hull?» le domandò d’un tratto Kevin. «Così lontana da casa?»

«Sono andata a trovare la nonna. Abita lì.»

«E tuo padre ti ha lasciata andare da sola?» A Staintondale era risaputo che Ryan Caswell era molto severo e non perdeva mai di vista la figlia. Quasi temesse che alla prima occasione anche lei potesse scappare in Australia come aveva fatto Mrs. Caswell dieci anni prima. La povera Hannah non poteva nemmeno respirare da sola.

«Non è stato facile» riconobbe Hannah. «Non voleva darmi il permesso. Secondo lui alla fine non sarei riuscita a combinare niente. E il peggio è…»

«Che hai davvero perso il treno» concluse Kevin quando lei si bloccò.

Hannah annuì. «Sì. Così adesso sa di avere ragione.»

«Secondo me commetti simili errori solo perché lui ti convince che li farai» disse Kevin. «Se togli a una persona la fiducia nelle sue capacità, non riuscirà mai a combinare niente di buono. Dovresti credere in te stessa, Hannah. Allora andrebbe tutto bene.»

Lei ci pensò su. «È difficile credere in se stessi quando…»

«Quando si ha un padre come il tuo?»

«Non è solo mio padre. È anche… voglio dire, sono così…»

Si bloccò di nuovo e sentì il suo sguardo su di sé.

«Sei che cosa?»

Era penoso ammetterlo, ma in fondo non aveva più importanza ormai. «Sono così diversa dalle altre ragazze. Non sono… cool.» Carina avrebbe voluto dire, ma per fortuna era riuscita a trattenersi all’ultimo istante. Certo, lui se ne rendeva benissimo conto da solo, ma non c’era bisogno di sbandierarglielo proprio sotto il naso.

«Perché devono essere tutte cool?» chiese Kevin. «Tu hai qualcosa di speciale, Hannah. Non sei come tutte le altre. E questo per me è molto più interessante!»

Lei deglutì. Diceva sul serio?

Come si rispondeva in circostanze simili?

Le altre lo avrebbero saputo, pensò disperata, lo avrebbero saputo!

Rimasero di nuovo in silenzio. Avevano superato numerosi paesi e il traffico si era diradato. La strada era più sgombra. Guardando fuori dal finestrino Hannah intuiva i campi che si perdevano fino all’orizzonte. Al di là, da qualche parte, c’era il mare.

Ecco che cos’è la libertà, pensò di slancio. La notte. Kevin. Mio padre che non ha idea di dove mi trovi.

Giusto per dire qualcosa domandò: «Che cosa eri andato a fare tu a Hull?»

«Un mio amico deve aprire un pub. L’ho aiutato a montare e sistemare i mobili. Domani devo tornare.»

«Ah. È molto… gentile da parte tua!»

«Ci conosciamo da un sacco di tempo. L’inaugurazione sarà all’inizio di dicembre. Se ti va, posso farti avere un invito.»

Buon Dio. «Io… insomma…»

«Almeno una Coca penso che tu possa berla.» «Certo. Volentieri. Grazie.» Il padre non glielo avrebbe mai permesso. Un pub a Hull. Gestito da un amico di Kevin Bent. Escluso. A meno che non si fosse inventata una scusa. Aveva un’amica, Sheila. Ogni tanto, ogni tanto, il padre le permetteva di pernottare da lei. Se gli avesse raccontato che voleva andare a dormire da Sheila e invece fosse andata a Hull?

«Potresti portarmi con te?» domandò. «All’inaugurazione, intendo.»

«Certo. Pensi che tuo padre te lo permetterà?»

«No. Ma non c’è bisogno che lo sappia.» Adesso sì che ho detto una cosa cool, pensò Hannah.

Kevin sorrise di nuovo. «D’accordo. Se ce la fai.»

Adesso a parte loro, c’erano pochissime altre macchine per strada. Kevin accese l’autoradio. Ariana Grande.

«Ti piace questa musica?» le chiese. «Sì, tantissimo.» Rimasero in silenzio. Il volume della musica era alto. Riempiva tutto l’abitacolo. L’oscurità scivolava via oltre i finestrini. Forse, pensò Hannah, sta per cominciare una nuova vita per me. In qualche modo.

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