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Per un giorno soltanto

10,00

Keith e Noah Sinclair sono gemelli e sono anche due rock star internazionali.
Rispettivamente cantante e bassista degli ScreamDreams, una famosa band statunitense, i due fratelli non potrebbero essere più diversi, sia nello stile che nel carattere, nonostante l’aspetto fisico praticamente identico.
Esuberante, egocentrico e superficiale il primo; riflessivo, taciturno e riservato il secondo. Com’è possibile allora che siano entrambi attratti dalla stessa ragazza?
Kennedy Smith è una fan sfegatata degli ScreamDreams e quasi non le sembra vero di aver vinto un concorso che le permetterà di trascorrere del tempo assieme ai suoi idoli. Soprattutto con Noah Sinclair, per il quale ha una cotta sin dai tempi in cui la band ha mosso i primi passi nel mondo della musica.
Una giornata a Los Angeles sembra essere la sua occasione di farsi avanti con il bassista.
Ma se, per errore, Kennedy finisse tra le braccia del gemello sbagliato?
Lei e Keith scopriranno ben presto che basta un giorno soltanto per rimettere in discussione ogni cosa e che il confine tra odio e amore è molto, molto sottile.

Informazioni aggiuntive

Autore

Editore

Data di pubblicazione

26 settembre 2020

ISBN

979-8687310789

Lingua

Formato

Copertina flessibile

COD: 10277 Categoria: Tag: Product ID: 21329

Descrizione

1.

BEST DAY OF MY LIFE

I’m never gonna look back

Woah, never gonna give it up

No, please don’t wake me now

This is gonna be the best day of my life

(Best day of my life – American authors)

 

Stavo sognando di cavalcare un unicorno dorato.

Era abbastanza strano, visto che avevo sempre avuto una paura folle dei cavalli e di qualunque altro animale che mi superasse in altezza. Eppure, nel mio sogno, per qualche strana ragione, essere in groppa a quella bestia mi esaltava.

Forse dipendeva dal fatto che la sua criniera, sfumata con i sette colori dell’arcobaleno, mi sfiorava le braccia scoperte, facendomi il solletico. O forse, e più probabilmente, era perché stavo cavalcando su un prato fatto di patatine fritte. Tra quel ben di Dio il mezzo di trasporto diventava irrilevante.

Felice come una Pasqua, mi sporsi verso il basso per afferrare una manciata di quei deliziosi bastoncini e fu a quel punto che precipitai, finendo con la faccia spiaccicata sul tappeto persiano di mia madre.

Ero sveglia ed ero caduta dal divano.

Di faccia.

E ora avevo pure fame.

Una fastidiosa vibrazione proveniente da sotto i cuscini mi fece voltare la testa. Il cellulare doveva essere finito in mezzo al divano mentre dormivo.

Sbuffai rimettendomi in piedi e massaggiandomi la mandibola dolorante. Quante possibilità c’erano di cadere di faccia da un divano? Forse nemmeno se mi fossi tuffata di testa sarei riuscita a sbattere il viso in quel modo, invece non l’avevo nemmeno fatto apposta. Anche quello poteva considerarsi un talento, dopotutto.

«Ma dove cazzo è quel dannato telefono?» brontolai, setacciando il tre posti grigio perla di mamma. Se avesse scoperto che mi ero messa a dormire sul suo prezioso divano firmato, mi avrebbe slogato di persona la mandibola. Per fortuna lei e il suo compagno erano usciti per cena e non avevano ancora fatto ritorno.

Riacciuffai il cellulare e mi buttai di peso sulla seduta, premendo il tasto verde senza nemmeno dare un’occhiata a chi stesse chiamando.

«Pronto?»

«Oh, mio Diooooo!»

Allontanai di scatto il telefono dall’orecchio. Gli acuti di Sasha potevano raggiungere vette sconosciute al genere umano e io desideravo preservare il mio senso dell’udito, dato che già la vista faceva schifo.

«Ma che ore sono?» brontolai, dando un’occhiata all’orologio da muro appeso alla parete color tortora del salotto.

«Quasi l’una, ma che importa!? Hai vinto!»

«Eh?»

«Il concorso degli ScreamDreams! Hai vinto tu, Kennedy!»

Restai per qualche momento ammutolita a fissare il vuoto, con il telefono premuto contro l’orecchio e il nulla cosmico nel cervello.

«Ken, hai capito che ho detto? Hai vintoooo!»

Poi, pian piano, le sinapsi ricominciarono a fare il proprio dovere, disegnando nella mia mente uno schemino basilare: concorso – ScreamDreams – vittoria.

La mia band preferita aveva indetto, ormai un paio di mesi prima, un contest che chiedeva ai fan di indovinare il titolo del nuovo singolo del gruppo tramite l’aiuto di alcuni indizi che erano stati postati online. Il vincitore avrebbe avuto la possibilità di passare un’intera giornata assieme agli ScreamDreams.

Avevo davvero vinto io il concorso? Scattai in piedi come una molla e cominciai a urlare, saltellando sul tappeto come un grillo scemo.

«Ho vinto! Cazzo, cazzo, cazzo! Ho vinto!»

«Eh sì!»

«Aspetta, ma sei sicura? Come fai a saperlo?» Sembrava troppo bello per essere vero, una gioia troppo immensa per un semplice umano come me.

«Hanno annunciato il nome durante il concerto a Los Angeles, circa un’ora fa, dopodiché è apparso sul sito e su tutti i social della band!»

Mi portai una mano sulla fronte, scostandomi i capelli con un sorriso ebete. «Non ci credo. Ma che culo! Non vinco mai niente e adesso… Aspetta, non è che siccome non ero al concerto qualcuno mi frega la vittoria, vero?» Doveva esserci una fregatura, per forza.

Considerando che vivevo a Providence, nel Rhode Island, sarebbe stato un po’ difficile per me partecipare all’evento in California, ma col cavolo che avrei permesso a qualcuno di rubarmi il posto!

«No, la presenza al concerto non era un requisito per la partecipazione, e comunque sei stata l’unica ad aver indovinato il titolo.»

Gonfiai il petto, carica d’orgoglio. «E adesso come funziona? Cioè, che devo fare? Oh Dio, passerò una giornata con gli ScreamDreams! Porca vacca, Sasha, ma te ne rendi conto?»

«Certo che sì! Perché credi che ti abbia telefonato a quest’ora improponibile! Se i miei mi beccano, mi fanno a fette.»

Scoppiai a ridere e lanciai un altro gridolino di pura felicità. Il mio soave tono da aquila, però, disturbò il sonno della mia sorellastra, che interruppe quel momento di gloria cominciando a piangere disperata.

«Merda, Sadie è sveglia. Devo andare.»

«Sei da sola con lei?»

«Ovvio. Mamma e Chuck Norris sono fuori per una serata di svago e non sono ancora rientrati.»

«Quando smetterai di chiamarlo così? Ormai sono tre anni che stanno insieme. Brad non è poi tanto male.»

No, Brad, il nuovo compagno di mia madre, nonché padre di Sadie La Peste, non era male, però non era il mio papà.

Lui viveva poco fuori città e gestiva un banco dei pegni, guadagnando il minimo indispensabile per mantenere se stesso e il suo grasso gatto di nome Jarvis. Passavo da lui quasi tutti i fine settimana sin da quando i miei avevano divorziato cinque anni prima.

Non avevo idea del perché si fossero sposati, visto che mia madre era una donna ambiziosa e fissata con le apparenze e la bella vita e mio padre uno sfigato da manuale che a malapena si ricordava di cambiarsi i vestiti dopo la doccia.

Eppure, avevano funzionato insieme per tredici lunghi anni.

Comunque, io adoravo papà e andavo molto più d’accordo con lui che con la mamma. Forse perché ero un po’ sfigata anche io e questo, alla mamma, non andava giù per niente.

«Ken, ci sei?»

«Sì, scusa. Dicevi?»

«Credo che ti contatteranno direttamente per spiegarti come usufruire del tuo premio.»

«Cioè gli ScreamDreams mi telefoneranno?» Potevo morire in quel momento e sarei stata felicissima comunque.

«Magari non proprio loro» ridacchiò Sasha, «il manager, forse.»

«O forse Noah Sinclair…» cinguettai, abbandonandomi di nuovo sul divano. Ero follemente innamorata del bassista della band sin da quando gli ScreamDreams avevano fatto il loro ingresso nel mondo della musica. Santo Dio, avrei trascorso un’intera giornata con lui!

Mentre favoleggiavo sventolandomi la faccia con la mano, Sadie continuava a piangere e urlare dalla sua cameretta al piano di sopra. Ero una brutta persona.

«Il tuo sogno erotico» mi prese in giro la mia amica. «Be’ ne avrai quattro al prezzo di uno, goditela anche per me, sorella!»

«Darò un bacio a Charlie da parte tua, tranquilla» sghignazzai. Un urlo sovrumano mi disse che era proprio arrivato il momento di andare a vedere che cosa stava combinando la piccola peste, perciò mi alzai e mi diressi verso le scale. «Vado a controllare mia sorella. Ci sentiamo domani?»

«Ovvio! Devi tenermi informata di tutto ciò che succederà da questo momento in poi.»

«’Notte, Sash, grazie per avermi chiamato.»

«Buonanotte e fai la brava con Sadie.»

«Lo faccio sempre!»

Ero ormai in cima alle scale quando mi ficcai il cellulare nella tasca della felpa e sganciai il cancelletto di sicurezza che dava accesso al secondo piano.

La stanza di Sadie si trovava tra la mia e quella di mamma ed era un perfetto nido da principessa in stile shabby chic. Ero certa che, non appena fosse cresciuta un po’, mia sorella l’avrebbe odiata almeno quanto me.

Quando entrai, trovai Sadie seduta nel lettino, con il pollice in bocca e gli occhioni spalancati che mi fissavano. Aveva smesso di urlare non appena avevo posato il piede sul pianerottolo, la furbetta. Sapevo che, nella maggior parte dei casi, quando si svegliava e iniziava a piangere, era solo perché voleva delle coccole extra e non perché avesse effettivamente bisogno di qualcosa, tipo mangiare o essere cambiata. Era un po’ una paracula e aveva solo due anni. Non osavo immaginare cos’avrebbe combinato da grande.

«Vedo che non stai per morire, mi fa piacere. Da come urlavi, mi era venuto il dubbio.»

Lei sorrise, mostrando i dentini bianchi. «Nanna insieme?» domandò allungando le braccia paffute.

«Sei proprio furba, eh!»

«Sadie furba» ripeté giuliva.

«Eh, sì…»

La presi in braccio e le tastai il pannolino, per accertarmi che non fosse sporca, poi uscii dalla sua stanza e la portai con me nella mia, adagiandola sul letto e piazzandole un cuscino accanto.

Mi sdraiai dall’altro lato, senza nemmeno mettermi il pigiama.

«Lo sai che ho appena vinto una giornata insieme al ragazzo dei miei sogni?» le dissi, prendendole la manina.

«Noah.»

Scoppiai a ridere. Santo Dio, persino lei sapeva di chi stessi parlando. Non che fosse difficile intuirlo, la mia camera era tappezzata con le foto della faccia di Noah e io ne parlavo all’incirca per venti ore al giorno su ventiquattro.

«Brava. Ora chiudi gli occhi e sogna tanti unicorni.»

«Schifo i corni!»

Quella bambina mi avrebbe reso fiera, un giorno. «Lo so, ma fai credere a mamma di essere una principessina ancora per un po’.»

Sadie sbuffò, le palpebre che cominciavano a calare sugli occhioni verdi. «Uff. Ba bene…»

Chiusi gli occhi anche io e, con un sorriso, scivolai nel sonno.


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