Descrizione
LUNEDÌ, ORE 7.28
1
Le piaceva più aspettare l’onda che cavalcarla. Di fronte alle scogliere, a cavalcioni sulla tavola, con i fianchi che man mano si adattavano al ritmo della superficie dell’acqua. Montarla, come faceva con Kaupo Boy quando era bambina. La solennità dell’attesa, un momento prima che arrivasse la nuova serie di onde e bisognasse ricominciare a pagaiare.
Controllò l’orologio. Poteva aspettarne un’altra. Le avrebbe cavalcate tutte, se avesse potuto. Ma assaporò il momento e si lasciò galleggiare, chiudendo gli occhi e inclinando la testa verso l’alto. Il sole era appena sopra le scogliere e le scaldava il viso.
«Non ti ho mai vista qui, prima.»
Ballard aprì gli occhi. Era il tizio sulla tavola One World. Uno della vecchia scuola, senza muta, senza cordicella di ritenzione, con la pelle brunita color legno scuro. Si preparò a ciò che sarebbe seguito: un atteggiamento da maschio
alfa, desideroso di marchiare il territorio.
«Di solito vado a Topanga» disse. «Ma stamattina non c’erano onde.»
Non rivelò di aver consultato un’applicazione per controllare dov’era meglio andare. Quelli della vecchia scuola non guardavano mai le app.
Lui si trovava sei metri alla sua sinistra, e cavalcava le onde basse di lato, in modo da tenerla d’occhio. A Staircases era insolito trovare delle donne. Era un posto da uomini, per giunta molto esperti. Con la bassa marea emergevano tanti scogli. Bisognava sapere cosa si stava facendo, e Ballard lo sapeva. Non aveva attraversato il territorio di nessuno, non era uscita da un’onda troppo presto. Se quel tizio voleva provare a fare il maestrino, lo avrebbe messo a tacere in fretta.
«Sono Van» disse lui.
«Renée» rispose.
«Ti va di fare colazione allo Shoreline, dopo?»
Un po’ troppo diretto, ma ci stava.
«Non posso. Un ultimo set di onde, poi devo andare al lavo-ro. Ma grazie dell’invito.»
«Magari la prossima volta» disse Van.
Prima che la conversazione si facesse più imbarazzante, qualcuno avanti nella fila iniziò a pagaiare, allineando la sua tavola a un’onda in arrivo. Fu come un uccello che dà il segnale al resto dello stormo di alzarsi in volo e partire. Ballard si voltò indietro e vide che stava arrivando la serie di onde successiva.
Si girò di nuovo e portò le gambe sulla tavola. Iniziò a remare con le mani. Colpi profondi, con le dita unite, per prendere ve-
locità. Non voleva perdere l’onda, non davanti a Van.
Guardò alla sua sinistra e lo vide remare colpo su colpo con
lei. Voleva incalzarla, per farle vedere chi comandava, da quelle parti.
Ballard pagaiò più forte, le spalle che le bruciavano. La tavola iniziò a sollevarsi con l’onda e lei fece la sua mossa, salendoci sopra e accovacciandosi sulla linea centrale. Mise il piede sinistro dietro e si alzò in piedi proprio mentre l’onda formava la cresta. Spinse in basso la punta della tavola e iniziò a tagliare l’acqua.
Sentì la voce di Van alle sue spalle, che la chiamava «goofy foot», un termine per indicare chi surfava con il piede destro in avanti.
Allargò le braccia per mantenere l’equilibrio, inclinò la tavola per curvare e sali sul muro d’acqua, prima di tagliarlo di nuovo e percorrere l’onda fino in fondo. Per otto secondi tutto il mondo scomparve. C’erano solo lei e l’oceano. L’acqua. Nien-t’altro.
Stava navigando sulla schiuma quando si ricordò di Van e si voltò a cercarlo. Non lo si vedeva da nessuna parte, ma a un tratto la testa spuntò tra le onde insieme alla sua tavola rossa.
Alzò la mano e Ballard gli fece un cenno di saluto. Poi sollevò la tavola e uscì dall’acqua.
Sulla strada per il parcheggio, si era già abbassata la muta fino ai fianchi. La combinazione di sole e vento le stava asciugando la pelle molto rapidamente. Appoggiò la tavola alla fiancata del Defender e cercò la scatoletta delle chiavi sotto il vano della ruota posteriore.
Non c’era più.
Si accovacciò e cercò la scatola magnetica sull’asfalto intorno allo pneumatico.
Niente.
Si chinò a guardare dietro la ruota, sperando di aver sistemato la scatola nel punto sbagliato.
Ma non c’era più.
«Cazzo.»
Si alzò rapidamente e tirò la maniglia della portiera, che si aprì, non essendo stata bloccata.
«Cazzo, cazzo, cazzo.»
Sul sedile del conducente c’erano la chiave e la scatola magnetica. Vide che il vano portaoggetti era aperto. Si chinò, allungò la mano sotto il sedile di guida e la passò avanti e indietro sulla moquette.
Il telefono, la pistola, il portafoglio e il distintivo erano spa-riti. Cercò ancora sotto il sedile e tirò fuori le manette e una piccola Ruger a sette colpi che il ladro non aveva apparentemente notato.
Si alzò e si guardò intorno nel parcheggio. Non c’era nessu-no. Solo la fila di auto e camper dei surfisti ancora in acqua.
«Porca puttana» imprecò.
2
Visto che la carta d’identità era nel portafoglio rubato, Ballard non poteva superare il tornello all’ingresso all’Ahmanson Center della polizia di Los Angeles, quindi si fermò nel parcheggio secondario dietro il centro di addestramento e chiamò Colleen Hatteras con il cellulare nuovo. Hatteras rispose con un tono urgente.
«Renée, dove sei? La riunione dell’unità non era alle nove?»
«Sono nel parcheggio sul retro. Fammi entrare dall’uscita di sicurezza, Colleen.»
«Sei sicura? Se il capitano…»
«Sono sicura. Apri la porta e al capitano ci penso io. Ci sono ancora tutti?»
«Ehm, sì. Credo che Anders sia andato a prendersi un caffè, ma non ha detto che poi andava via.»
«Bene, di’ a Tom o a Paul di chiamarlo mentre tu mi apri la porta. Sarò lì tra due minuti.»
«Cosa è successo? Non hai telefonato e non hai risposto alle nostre chiamate. Iniziavamo a preoccuparci.»
Ballard scese dal Defender e si diresse verso la porta posteriore del complesso. Era già esasperata da Colleen e la giornata non era ancora iniziata.
«Calmati» disse. «È tutto a posto. Ho perso il cellulare e il portafoglio in spiaggia. Sono dovuta tornare a casa a prendere una carta di credito e poi andare all’Apple Store per comprare un nuovo telefono. Quindi, per favore, apri la porta. Sono quasi arrivata, ora riattacco.»
Chiuse la comunicazione prima che Colleen potesse ribattere, cosa che di sicuro avrebbe fatto. Si avvicinò all’uscita antin-cendio, chiudendo la giacca per evitare di far notare che non aveva il distintivo agganciato alla cintura.
Colleen aprì la porta e scattò un allarme da spaccare i timpa-ni. Ballard entrò in fretta, chiuse la porta e il suono si interruppe
«Come hai fatto a perdere telefono e portafoglio? Te li hanno rubati?»
«È una lunga storia, Colleen. Ci sono tutti?»
«Tom è andato a prendere Anders.»
«Bene. Inizieremo non appena saranno tornati.»
L’uscita di sicurezza si trovava dietro l’archivio dei fascicoli sugli omicidi. Precedendo Colleen, Ballard percorse la fila di scaffali e arrivò alla sala riunioni dell’Unità Casi Irrisolti. Il centro della sala era dominato dalla «zattera»: otto scrivanie separate da pannelli divisori. Le pareti laterali erano coperte da schedari e lavagne bianche su cui erano riportate le indagini in corso.
«Scusate il ritardo» annunciò Ballard quando raggiunse la sua scrivania, in fondo alla zattera. «Non appena arrivano Tom e Anders, cominciamo.»
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