Descrizione
PREPARTITA
(Adrenalina e Balance)
Milano, lunedì 4 ottobre 2021
Ok, mi arrendo.
Ho quarant’anni.
Sono un dio, ma un dio che invecchia.
Finalmente ne prendo atto, così come ho preso atto che il mio corpo non è più quello di prima. Per anni ho trascurato i segnali che mi mandava, poi ho deciso di ascoltarli. Non riesco più a permettermi gli scatti a ripetizione che facevo da giovane; se mi stanco o prendo una botta, mi serve più tempo per recuperare. Ho adeguato il mio gioco al mio corpo nuovo. Non passo più la partita nel cuore dell’area di rigore dove volano i proiettili. Spesso mi chiamo fuori e costruisco il gioco, oggi lavoro più per i gol degli altri che per i miei. Non è più tempo di mettermi in vetrina, quello che dovevo vincere l’ho vinto, oggi mi piace ispirare, far crescere i miei giovani compagni di squadra.
Ho quarant’anni e due figli che non sono più bambini, ma ragazzi. A quest’età in genere si tira una riga sul foglio e si fanno le prime somme, i primi bilanci.
È il senso di questo libro.
Per giorni ho cercato di far finta di niente, di non considerare il mio compleanno che si stava avvicinando. Ho evitato di pensare al numero 40, ma poi, ieri sera, me lo sono trovato davanti, rosso, enorme, che occupava l’intera facciata di un albergo. L’avevano composto illuminando alcune stanze e lasciandone al buio altre.
In quell’albergo di Milano mia moglie Helena ha organizzato una festa a sorpresa che mi ha commosso. C’erano i miei affetti più cari, tanti amici provenienti da tutto il mondo, persone importanti della mia vita. C’erano leggende del calcio, allenatori, perfino giocatori che in campo ho trattato male. Non mi aspettavo di ritrovarli tutti su quel terrazzo.
Una spiegazione me l’ha data Rino Gattuso: «Ti sei sempre mostrato autentico, anche quando li picchiavi. Per questo sono venuti».
Helena è stata brava. Ha organizzato tutto di nascosto, mi ha fatto un bel regalo. Di solito sono io che faccio regali agli altri.
Come sono partito da Rosengård per diventare il campione del calcio l’ho raccontato molte volte. Sono cresciuto con un pallone Select spelacchiato al piede, dribblando chiunque si piantasse davanti a me, nel Giardino delle Rose, che in realtà era un ritrovo di immigrati di ogni razza. Bastava una scintilla per prenderci a testate. Ma quel fazzoletto di terra battuta è stato il laboratorio del mio calcio, la scuola in cui ho imparato i trucchi che mi hanno fatto diventare Ibra.
Ero figlio di due genitori che si sono separati presto. Ballavo tra una madre che si massacrava di lavoro per riempire i piatti in tavola e un padre che aveva spesso il frigo vuoto. Quello che mi mancava, me lo prendevo. Rubavo biciclette e vestiti perché ero stufo di farmi prendere in giro a scuola. Indossavo sempre i calzettoni da gioco invece di quelli normali e le tute del Malmö che prendevo di nascosto dallo spogliatoio.
Poi il pallone mi ha strappato dal ghetto e mi ha guidato verso un’altra vita. Sono arrivato ad Amsterdam, dove mi sono comprato la prima Porsche e ho conosciuto Mino Raiola, il mio agente. Lui e mia moglie Helena sono e saranno per sempre tra le persone più importanti della mia vita.
Mino è molto più di un procuratore, è un amico, un fratello, un padre, tutto. Ha tracciato la rotta della mia carriera, dei miei trionfi, mi ha tirato fuori dai momenti più difficili e mi ha risolto migliaia di problemi. Più soffrivo per un infortunio, più lo sentivo vicino.
Dall’Olanda, Mino mi ha portato in Italia, poi in Spagna, in Francia, in Inghilterra, in America e di nuovo in Italia.
Helena è sempre stata più matura e più responsabile. Mi ha aiutato a riflettere, mi ha insegnato il buon senso e anche il buon gusto, sa riconoscere e creare cose belle. Ha un talento particolare per l’eleganza. Era il suo mestiere e lo sarà ancora quando smetterò di giocare. Negli anni ha tolto tante spine al mio carattere selvaggio e soprattutto mi ha regalato ciò che ho di più prezioso al mondo: i miei figli.
Ma se il giocatore Ibra lo conoscono tutti, l’uomo Ibra no. Provo a raccontarlo ora, a metà cammino, tra la mia storia di calciatore che sta sfumando e un futuro diverso che si avvicina, per il momento indefinito. Questo libro, nella struttura, riflette la mia condizione attuale, in bilico tra due mondi.
Ogni capitolo infatti parte da racconti di campo e finisce con riflessioni sulla vita quotidiana: dal gol alla felicità, dall’arbitro alla giustizia, dall’assist all’amicizia, dall’infortunio alla morte… Non mi nascondo, non recito. Come ha detto Gattuso. Confesso, per esempio, che il pensiero di smettere mi dà ansia. Più si avvicina il momento di lasciare il calcio, più la paura del futuro cresce: dove troverò l’adrenalina che oggi mi dà un contrasto con Chiellini?
«Adrenalina», il titolo del libro, è la parola chiave della mia vita.
In tutte le cose che faccio ho bisogno di riconoscere una sfida e di metterci il massimo della passione. Spremere il cuore. È sempre stato così e lo sarà per sempre. Ho bisogno di sentire l’adrenalina che pompa nelle vene.
Che a quarant’anni, con due figli grandi, pompa in modo diverso, perché oggi ho esigenze diverse. Se in passato aggredivo gli arbitri, oggi li aiuto. Ieri mi piaceva spaccare ed essere la bandiera di una parte sola, oggi vado a Sanremo e mi emoziono perché sento l’affetto e la stima degli italiani. Però è anche vero che se sento troppa gente addosso respiro male. Allora tiro fuori uno dei miei gioielli dal garage, vado in autostrada, pesto sull’acceleratore e faccio il vuoto, oppure scappo in un bosco in cerca di libertà. Cerco la gente e allo stesso tempo la evito.
Non è la sola contraddizione che mi riconosco. Le ho sempre avute, fanno parte del mio carattere. La novità è che, a quarant’anni, cerco di controllarle. Così come ho imparato ad avere il controllo sulle mie reazioni. È difficile che un difensore oggi riesca a provocarmi come succedeva a inizio carriera. Non mi abbandono più all’istinto, penso di essere diventato più equilibrato. Merito del tempo, di Helena e di Mino, credo. Cerco l’equilibrio in tutte le cose che faccio. Anche nell’educazione dei miei figli: compenso la disciplina con la tenerezza.
La parola «equilibrio» mi esce più facilmente in inglese: balance.
Mi viene in mente spesso. Se prima ero solo adrenalina, ora sono adrenalina e balance. Questo non è il vangelo di un dio, ma il diario di un uomo di quarant’anni che fa i conti con il suo passato e guarda dritto negli occhi il futuro, come fosse l’ennesimo avversario da affrontare.
Poi tutto il pubblico avversario comincia a gridarmi «zingaro».
Mi porto le mani alle orecchie: «Non sento…». Li invito ad alzare la voce: «Più forte! Non sento…Più forte!». Esplode un boato di fischi assordanti. «Più forte! Non sento…» Mi riempio di adrenalina. Allargo le braccia sorridendo beato: mi sento vivo, mi sento forte.
L’arbitro mi dà un’ammonizione. Sul momento, non gli dico niente perché sono ancora sotto l’effetto dell’adrenalina.
Nell’intervallo però l’adrenalina si è abbassata. Lo raggiungo e gli spiego: «Ascolta, tu mi hai ammonito, ma quando cinquantamila persone mi hanno urlato “zingaro”, non hai fatto nulla. Hai punito solo me. Come la mettiamo?».
Io non avevo provocato nessuno, non avevo mostrato il dito medio, non avevo portato le mani alle parti intime. Avevo semplicemente allargato le braccia davanti alla curva che mi insultava. «Attento, non scherzare con il fuoco, perché io non sono come gli altri. Comportati correttamente e fai le cose giuste».
Individuo una casa a Posillipo che potrebbe fare al caso mio, ma, visto che devo restare solo sei mesi e tutti mi ripetono che la città è abbastanza caotica, sto valutando anche la possibilità di vivere in barca.
Il giorno in cui devo firmare a Napoli, l’11 dicembre 2019, il presidente De Laurentiis caccia Ancelotti. A metà campionato.
Ho una brutta sensazione. È un cattivo segnale. Io di questo presidente non posso fidarmi. Non può dare stabilità a me e alla squadra uno così. E poi so che Rino Gattuso, anche se è un amico, ha bisogno di un altro tipo di centravanti per il suo 4-3-3. Infatti, non si è fatto sentire.
Salta tutto.
Arriva questa palla lunga. Io corro verso il pallone, come sempre. L’istinto mi ordina: «Vai!». Mentre corro, vedo il portiere Joe Hart che esce dai pali. Un difensore inglese si ferma per non intralciarlo.
Hart vede che gli sto andando incontro per saltare, ma quando sposta lo sguardo sulla palla, io arretro. Lui la colpisce male di testa, la palla si alza e spiove verso di me. Me ne frego di quello che mi sta succedendo attorno, se qualche avversario si sta avvicinando o altro.
Colpisco la palla a trenta metri dalla porta e, mentre sono in aria, mi volto a guardare. Il difensore si lancia in scivolata, ma non ci arriva e il pallone entra in rete.
Allora mi tolgo la maglia e comincio a correre pazzo di soddisfazione. Ho raggiunto il massimo che avrei potuto toccare in una partita. Contro l’Inghilterra!
Zlatan Ibrahimovic´ nasce a Malmö il 3 ottobre 1981 dove inizia a giocare a calcio all’età di tredici anni nel Malmö FF, per poi avviarsi verso una carriera internazionale che lo vede protagonista delle più importanti squadre al mondo: Ajax, Juventus, Inter, Barcellona, Milan, Paris Saint-Germain, Manchester United, LA Galaxy e di nuovo Milan.
In bacheca vanta oltre 30 trofei tra nazionali e internazionali, tra cui il Fifa Puskás Award 2013 per il più bel gol dell’anno, il premio come miglior giocatore dell’anno e capocannoniere in Francia per tre stagioni. È il miglior realizzatore nella storia della Nazionale svedese.
È l’unico straniero ad aver vinto nel nostro Paese la classifica marcatori con due squadre diverse (Inter e Milan) ed è stato più volte miglior straniero dell’anno e miglior giocatore della serie A.
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