Descrizione
PARTE PRIMA
DOCCIA DI SANGUE
Notizia di cronaca riportata dal settimanale Enterprise di Westover (Maine) il 19 agosto 1966:
PIOGGIA DI PIETRE
Ci viene riferito che una pioggia di pietre è caduta da un cielo perfettamente sereno su Carlin Street, nella cittadina di Chamberlain, il 17 agosto.
Diverse persone ne sarebbero state testimoni. Le pietre sono cadute sulla casa della signora Margaret White, rovinando gravemente il tetto e sfondando due grondaie e un tubo di scolo per un danno di circa 25 dollari. La signora White, vedova, abita nella casa di Carlin Street con la figlioletta di tre anni, Carrie.
Non si hanno commenti diretti, perché non è stato possibile avvicinare la signora White.
Nessuna delle ragazze fu realmente sorpresa quando accadde: non realmente, non nel subconscio, dove sono radicate le cose oscure. In superficie, le ragazze nella sala docce erano eccitate, sconvolte, indignate, disgustate, o semplicemente contente che quella merdosa della White l’avesse presa in quel posto un’altra volta. Qualcuna dichiarò più tardi di esser stata sorpresa: ma non era vero, naturalmente. Alcune erano state compagne di classe di Carrie fin dalla prima, e tutto era cominciato già da allora, ed era poi cresciuto, lentamente e costantemente cresciuto
secondo le leggi che governano la natura umana, con l’ineluttabilità di una reazione a catena, fino al punto di esplosione.
Quello che nessuna di loro sapeva, ovviamente, era che Carrie White era telecinetica.
Scritta incisa su un banco della scuola media di Barker Street a Chamberlain: Carrie White mangia merda.
La sala docce era piena di voci e di echi sopra il rumore dell’acqua che schizzava sulle mattonelle. Le ragazze avevano giocato a pallavolo e il loro sudore mattutino era leggero e frizzante.
Si stiravano e si curvavano sotto l’acqua calda, schiamazzando, spruzzandosi, facendo sgusciare saponette bianche da una mano all’altra. Carrie stava stolidamente ferma in mezzo a loro, una rana tra i cigni. Era una ragazza tozza, con foruncoletti sul collo, sulla schiena e sui glutei. I capelli bagnati, senza colore, le si appiccicavano pesantemente alla faccia, e lei se ne stava lì, la testa un po’ piegata in avanti, lasciando che l’acqua le rotolasse via dalla pelle. Sembrava, ed era, l’agnello sacrificale, il bersaglio perpetuo, vittima indifesa di ogni sorta di tiri mancini, di tranelli e scherzi spietati.
Come sempre, rimpiangeva disperatamente che la scuola superiore Ewen non avesse le docce individuali, private, come le scuole superiori di Westover e Lewinston. Le altre la stavano guardando. La guardavano sempre.
Le docce si chiudevano a una a una, le ragazze ne uscivano saltellando, prendevano gli accappatoi color pastello, gli asciugamani, gli spray deodoranti, controllando l’orologio sopra la porta. Si agganciavano i reggiseni, si infilavano le mutandine. La stanza era piena di vapore. Avrebbe potuto essere una sala da bagno egizia, se non ci fosse stato il rombo della pompa elettrica nell’angolo. Grida e richiami rimbalzavano tra le pareti come palle di biliardo.
“… Tommy ha detto che mi stava malissimo e allora io…” “… andrò con mia sorella e mio cognato. Lui è un gran ficcanaso, ma anche lei lo è, per cui…” “… mi farò un bagno dopo la scuola e poi…”
“… non vale la pena di spenderci un solo maledetto penny, perciò io e Cindi…” Miss Desjardin, l’insegnante di ginnastica, snella e con poco seno, entrò nella sala docce, girò rapidamente la faccia di qua e di là e batté le mani una volta sola ma energicamente: “Cosa stai aspettando, Carrie? La grazia divina? Tra cinque minuti suona la campana.” I suoi short erano di un bianco abbagliante, le gambe un po’ scarse di polpaccio ma molto belle, così armoniose, diritte, muscolose senza sembrarlo. Un fischietto d’argento, vinto in una gara universitaria, le pendeva dal collo.
Le ragazze ridacchiarono e Carrie alzò gli occhi. Occhi lenti, storditi dal caldo e dal continuo rombo dell’acqua. “Oh-eh?”
Era un verso curiosamente simile a quello di una rana, e le ragazze ridacchiarono di nuovo. Sue Snell si tolse l’asciugamano dai capelli, srotolandolo con una leggerezza quasi magica, e cominciò a pettinarsi in fretta.
Miss Desjardin sollecitò Carrie con un gesto irritato e uscì.
Carrie chiuse la doccia, che si spense con un rauco risucchio e un gorgoglio.
Fu soltanto quando uscì dalla doccia che le altre videro il sangue scorrerle lungo la gamba.
Da L’ombra che esplose. Fatti documentati e conclusioni specifiche desunti dal caso di Carrie White. Relazione di David R. Congress (Università di Tulane, 1981), pag. 34:
Ci sembra fuori discussione che l’apparente assenza di sintomi specifici di telecinesi nell’infanzia e nell’adolescenza della giovane White debba essere attribuita alla conclusione cui arrivano i professori White e Stearns nel loro studio Telecinesi: un talento terrificante, e cioè che la capacità di far muovere degli oggetti con la sola forza della volontà si rivela unicamente in caso di estrema tensione del soggetto. La telecinesi è molto ben celata: come potrebbe altrimenti essere rimasta sommersa per secoli, come un iceberg con la sola punta visibile a tratti in un mare di ignoranza?
Per tentare di ricostruire questo caso disponiamo purtroppo di notizie basate sul sentito dire, ma perfino queste sono sufficienti a indicare che in Carrie White esisteva un potenziale telecinetico di enorme portata. La grande tragedia è che ormai è troppo tardi, siamo impotenti davanti al fatto compiuto.
“Me-struo! Me-struo!”
La prima a gridarlo fu Chris Hargensen. Il grido colpì le pareti piastrellate, rimbalzò, le colpì di nuovo. Sue Snell fece una risatina strozzata e sentì uno strano, penoso miscuglio di odio, disgusto, rabbia, pietà. Carrie sembrava così stupida, impalata lì in mezzo, ignara di quel che le stava succedendo. Gesù, si sarebbe detto che non aveva mai…
“Me-struo! Me-struo!”
Stava diventando un inno, una litania, un rito magico.
Qualcuno dal fondo (forse di nuovo la Hargersen, Sue non ne era sicura in quella giungla di echi) urlò: “Tampònati!” con furore incontrollato.
“Me-struo! Me-struo! Me-struo!”
Carrie stava in piedi, muta, al centro di un circolo di ragazze urlanti, con l’acqua che le scivolava sulla pelle a rivoli. Stava lì come un bue paziente, conscia di essere (come sempre) il bersaglio dello scherno generale, infelice, crudelmente imbarazzata, ma non stupita.
Sue guardò esasperata le prime gocce scure di sangue mestruale che cadevano sulle piastrelle, formando dei dischetti grandi come monetine. “Per amor del cielo, Carrie, hai le tue cose!” gridò. “Pulisciti!”
“Oh-eh?”
Carrie girò intorno uno sguardo bovino. I capelli le si erano appiccicati alle guance, come un casco aderente. Aveva un’eruzione di acne su una spalla. A sedici anni, l’impronta delle ferite che le erano state inferte dall’infanzia era già chiaramente stampata nei suoi occhi.
“Crede che i tamponi servano per togliersi il rossetto!” strillò improvvisamente Ruth Gogan, con falsa allegria, e scoppiò in una risata acutissima. Più tardi, Sue ricordò quel commento e lo inserì nel quadro generale, ma in quel momento fu solo un altro suono senza senso in mezzo a tutta quella confusione. A sedici anni? pensò. Deve pur sapere cosa le sta succedendo, deve pur…
Altre gocce sul pavimento. Carrie sbatteva le palpebre, guardando confusa e istupidita le sue compagne di classe.
Helen Shyres si voltò verso le altre facendo finta di vomitare.
“Stai sanguinando!” gridò improvvisamente Sue, infuriata. “Non vedi che sanguini, maledetta oca?”
Carrie abbassò gli occhi sul proprio corpo.
Il suo grido echeggiò acuto nello spogliatoio umido.
All’improvviso un assorbente la colpì sul petto e ricadde a terra. Un fiore rosso si allargò sul cotone bianco.
Allora le risate sprezzanti, disgustate e sconvolte sembrarono fondersi in qualcosa di sgradevole e malsano, e tutte le ragazze si misero a bombardarla di assorbenti e tamponi, presi dalle borse e dal distributore sul muro. Volarono in aria come fiocchi di neve, e la cantilena ossessiva cambiò suono: “Tam-pò-na-ti, tam-pò-nati, tam-pò-na-ti…”
Anche Sue partecipò al lancio e al coro generale, senza rendersi ben conto di quello che stava facendo, ma una frase le lampeggiava nella testa come un’insegna al neon: Non le facciamo niente di male, non le facciamo niente di male… Era ancora accesa, luminosa e rassicurante, quando di colpo Carrie indietreggiò urlando, sbattendo le braccia, grugnendo e gorgogliando.
Recensioni
Ancora non ci sono recensioni.