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Chi perde paga

Author: Stephen King

10,35

SVEGLIATI GENIO! Il genio è John Rothstein, scrittore osannato dalla critica e amato dal pubblico – reso immortale dal suo personaggio feticcio Jimmy Gold – che però non pubblica più da vent’anni. L’uomo che lo apostrofa è Morris Bellamy, il suo fan più accanito, piombato a casa sua nel cuore della notte, furibondo non solo perché Rothstein ha smesso di scrivere, ma perché ha fatto finire malissimo il suo adorato Jimmy. Bellamy è venuto a rapinarlo, ma soprattutto a vendicarsi. E così, una volta estorta la combinazione della cassaforte al vecchio autore, si libera di lui facendogli saltare l’illustre cervello. Non sa ancora che oltre ai soldi (tantissimi soldi), John Rothstein nascondeva un tesoro ben più prezioso: decine di taccuini con gli appunti per un nuovo romanzo. E non sa che passeranno trent’anni prima che possa recuperarli. A quel punto, però, dovrà fare i conti con Bill Hodges, il detective in pensione eroe melanconico di Mr. Mercedes, e i suoi inseparabili aiutanti Holly Gibney e Jerome Robinson.
Come in Misery non deve morire, King mette in scena l’ossessione di un lettore per il suo scrittore, un’ossessione spinta fino al limite della follia e raccontata con ritmo serratissimo. Chi perde paga è un altro colpo da maestro di Stephen King, il secondo romanzo della trilogia iniziata con Mr. Mercedes (vincitore dell’Edgar Award per il miglior thriller), nel quale l’autore tocca un tema a lui caro, quello del potere della letteratura sulla vita di ogni giorno, nel bene e nel male.

Informazioni aggiuntive

Editore

Data di pubblicazione

27 settembre 2016

ISBN

978-8868363475

Lingua

Italiano

Formato

Copertina flessibile

COD: 886836347X Categoria: Tag: , Product ID: 22093

Descrizione


1978

«SVEGLIATI, genio.»

Rothstein non ne aveva la minima intenzione. Il sogno era troppo bello. Come protagonista, la moglie numero uno mesi prima che si sposassero, diciassettenne e perfetta da capo a piedi. Nuda e baluginante. Erano spogliati entrambi. Lui aveva diciannove anni, le unghie sudice, ma lei non ci aveva mai badato, almeno non allora, perché adorava la mente piena di fantasticherie di Rothstein. Confidava nella sua immaginazione ancora più di lui, e non a torto. La donna rise, allungando la mano verso l’appendice del marito ritta sull’attenti. Rothstein cercò di non arrendersi, ma qualcuno lo scrollò per il braccio e il sogno scoppiò come una bolla di sapone.

Non era più un diciannovenne che abitava in un bilocale nel New Jersey, ma un quasi ottantenne in un cascinale del New Hampshire, dove sarebbe stato sepolto come da testamento. Nella sua stanza da letto c’erano tre uomini coperti da passamontagna, uno rosso, uno blu e uno giallo canarino. Non appena se ne accorse, si sforzò di convincersi che fosse un altro sogno (quello dolce di prima trasformatosi in incubo, e non sarebbe stata una novità), ma poi lo sconosciuto gli lasciò il braccio e afferrò la spalla, scaraventandolo a terra. Rothstein sbatté la testa con un lamento.

«Vacci piano», disse Giallo. «Vuoi che perda i sensi?»

«Guarda qui», indicò Rosso. «Il vecchio ce l’ha duro. Doveva essere un sogno meraviglioso.»

«Gli scappa solo da pisciare», soggiunse Blu, che l’aveva strattonato. «A questa età non si rizza per nient’altro. Mio nonno…»

«Zitto», intimò Giallo. «Chi se ne frega di tuo nonno.»

Anche se confuso e ancora nel dormiveglia, Rothstein capì di essere nei guai. Tre parole gli si affacciarono alla mente: violazione di domicilio. Alzò lo sguardo sul terzetto comparso in camera con la testa che gli doleva (sul lato destro sarebbe sbocciato un livido enorme a causa degli anticoagulanti), il cuore di carta velina a martellargli contro la parte sinistra della gabbia toracica. Gli sconosciuti incombevano su di lui, indossando guanti e anonimi giacconi a scacchi sotto quei passamontagna da incubo. Tre intrusi, e lui era lì sperduto in mezzo ai boschi.

Rothstein si costrinse a raccogliere le idee, cacciando gli ultimi scampoli di sonno e pensando all’aspetto positivo della faccenda: se non volevano mostrarsi in volto, erano intenzionati a lasciarlo vivo.

Forse.

«Signori…» borbottò.

Giallo scoppiò a ridere, drizzando i pollici in segno di approvazione. «Ottimo esordio, genio.»

Lui annuì come davanti a un complimento. Lanciò un’occhiata alla sveglia sul comodino, accorgendosi che erano le due e un quarto di notte, per poi fissare di nuovo Giallo, probabilmente il capo della banda. «Non ho molti soldi, ma prendeteli pure. Basta che ve ne andiate senza farmi del male.»

Una forte raffica di vento soffiò le foglie autunnali contro l’ala ovest della casa. La caldaia si accese per la prima volta da mesi. Ma non era appena passata l’estate?

«In base alle nostre informazioni, ne hai parecchi», intervenne Rosso. «Silenzio.»

Giallo porse la mano a Rothstein. «Tirati su dal pavimento, genio.»

Lui accettò l’aiuto, alzandosi barcollante, per poi sedersi sul letto. Pur respirando a fatica, si rese conto del suo aspetto (l’autoconsapevolezza costituiva una via di mezzo tra una fortuna e una sventura che l’aveva accompagnato per l’intera esistenza). Doveva dare l’impressione di un vecchio bacucco con il pigiama blu che gli ballava addosso e i capelli ridotti a un paio di ciuffi bianchi sopra le orecchie. Ecco come si era conciato lo scrittore comparso sulla copertina di Time quando JFK era stato eletto presidente: JOHN ROTHSTEIN, IL GENIO MISANTROPO A STELLE E STRISCE.

Svegliati, genio.

«Prendi fiato», continuò Giallo. Sembrava premuroso, ma Rothstein non si fidava. «Poi ci sposteremo in salotto, dove discuteremo da gente normale. Senza fretta. Con tranquillità.»

Lo scrittore respirò a fondo, con calma, e il cuore si placò un poco. Cercò di pensare a Peggy, con il suo seno a coppa di champagne (sobrio ma perfetto) e le sue lunghe gambe lisce, però il sogno era scomparso proprio come lei, ormai una vecchia megera che abitava a Parigi. Grazie ai soldi di Rothstein. Almeno Yolande, il suo secondo tentativo di matrimonio felice, era morta e non pretendeva più gli alimenti.

Rosso uscì dalla stanza e cominciò a frugare nello studio, aprendo e chiudendo cassetti. Qualcosa cadde a terra.

«Va meglio?» chiese Giallo. Poi, quando lo scrittore annuì: «Allora seguimi».

Rothstein si lasciò condurre nel piccolo salotto, scortato da Blu alla sua sinistra e Giallo alla destra. Nello studio il frastuono proseguiva indisturbato. Tra non molto Rosso avrebbe spalancato l’armadio a muro, scoprendo la cassaforte dopo avere scostato due giacche e tre golf. Era inevitabile.

Nessun problema. A patto che non si portino via i taccuini. E perché dovrebbero? I delinquenti del loro calibro sono attirati solo dal denaro. Probabilmente non riescono a leggere niente di più impegnativo della posta di Penthouse.

L’unica eccezione era Giallo, che si esprimeva da persona istruita.

In salotto tutte le lampade brillavano e le tende erano aperte. Eventuali vicini ancora svegli si sarebbero chiesti che cosa stesse succedendo in casa. Peccato che non ce ne fossero; quelli più a portata di mano abitavano lungo la strada principale, a un paio di chilometri di distanza. Rothstein non aveva amici e non riceveva visite. Mandava alla malora i rari venditori porta a porta. Era un tipo originale. Uno scrittore in pensione. Un solitario. Uno che pagava le tasse e desiderava essere lasciato in pace.

Blu e Giallo lo guidarono fino alla poltrona davanti alla televisione, che veniva accesa di rado. Quando non si sedette all’istante, Blu lo costrinse a farlo con uno spintone.

«Piano!» esclamò brusco Giallo, e il compagno indietreggiò un po’, borbottando.

Così Giallo era la mente del gruppo. Il capobranco.

Lo sconosciuto si chinò verso Rothstein, con le mani sulle ginocchia dei pantaloni di velluto a coste. «Vuoi un goccetto per calmarti?»

«Se intendi qualcosa di forte, ho smesso vent’anni fa. Me l’ha ordinato il medico.»

«Buon per te. Vai alle riunioni dell’AA?»

«Non ero un alcolista», ribatté lo scrittore, irritato. Che strano sentirsi così in una situazione simile… o forse no. Come avrebbe dovuto comportarsi dopo essere stato sbattuto giù dal letto nel cuore della notte da un terzetto con i passamontagna variopinti? Si chiese in che modo avrebbe potuto raccontare quella scena, ma non ne aveva idea; non aveva mai scritto niente del genere. «La gente è convinta che qualsiasi romanziere bianco del Ventesimo secolo debba per forza essere un ubriacone.»

«D’accordo, d’accordo», rispose Giallo con un tono suadente, quasi stesse rabbonendo un bimbo capriccioso. «Un bicchiere d’acqua, allora?»

«No, grazie. Voglio soltanto che leviate le tende. E per questo ci tengo a essere onesto con voi.» Rothstein si domandò se Giallo conoscesse la regola basilare della comunicazione tra esseri umani: quando qualcuno ti dice che sarà onesto con te, in realtà è quasi sempre pronto a mentire con la velocità del lampo. «Il mio portafoglio è sulla cassettiera della camera da letto. Contiene poco più di ottanta dollari. C’è una teiera di ceramica sopra la mensola del caminetto…»

Indicò un punto preciso. Blu si girò a guardare, mentre Giallo continuò a studiare Rothstein con uno sguardo vagamente divertito. Non sta funzionando, pensò lo scrittore, ma decise di insistere. Ormai era sveglio, non solo spaventato ma incazzato, anche se sarebbe stato meglio nasconderlo.

«Là dentro ci sono i soldi per le faccende domestiche. Cinquanta o sessanta dollari. In casa non c’è altro. Prendete tutto e andatevene.»

«Bugiardo di merda», sbottò Blu. «Hai parecchio di più, vecchio. Lo sappiamo, dammi retta.»

Quasi fosse stata una rappresentazione teatrale e quella frase la battuta d’entrata, Rosso urlò dallo studio: «Tombola! Ho scovato una cassaforte. E bella grande!»

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