Descrizione
Capitolo 1
Sole. Vento. Polvere.
Ecco cosa c’era intorno a lui. Sotto di lui, un cavallo stremato arrancava sul terreno riarso. Sopra di lui, un paio di avvoltoi aspettavano la sua fine. O quella del cavallo. O quella di tutti e due.
E dietro di lui… Uomini con corde e fucili.
«Accidenti a quando ho lasciato il Tennessee!» sbottò.
Non mangiava da giorni. Non aveva più acqua. Non c’era nessuno a cui chiedere aiuto. Gli unici esseri umani meno lontani di sessanta miglia lo volevano impiccare e basta.
Le alture intorno erano brulle, bruciate dal sole. I rari arbusti erano irti di spine e gli ancor più rari animali velenosi. Ogni cosa sembrava incattivita da secoli di clima infernale.
Com’era bello il Tennessee!
Dov’era finita quella benedetta cittadina? Aveva sentito parlare di una città mineraria da quelle parti. Gold City, Gold Gulch… com’è che si chiamava? Pregò il cielo che quella specie di pista finisse presso l’abbeveratoio di quel paese, e che ci finisse alla svelta, altrimenti poteva spararsi dritto in bocca per quello che sarebbe valsa la sua pelle.
Mezzogiorno. Un caldo insopportabile lo avvolgeva. L’odioso frinire di una cicala lo stordiva. L’irritante odore della salvia e del creosoto lo nauseava. Rannicchiato in uno spicchio d’ombra ai piedi di un’altura ripida e rocciosa, si guardò attorno. Ma da nessuna parte potevano giungere grandi notizie: il territorio era corrugato e irto di cactus e l’orizzonte inesistente.
Quanto vantaggio aveva? Uno, due giorni? …dodici ore?
Era partito appena saputo che lo cercavano. Gli era parsa la cosa più giusta da fare. I conti tra lui e l’altro, che ora giaceva nel cimitero di Tombstone, erano saldati.
Gli altri ci si erano messi in mezzo perché erano fratelli e amici del morto. E perché da tempo ce l’avevano con lui. Se fosse rimasto si sarebbe scatenata una guerra.
Perciò se ne era andato: questo, secondo lui, avrebbe consentito di placare gli animi e di salvarsi la pelle.
Invece non era stato così. E aveva anche clamorosamente sbagliato direzione. Da questa parte faceva un caldo maledetto. Forse se fosse andato a nord…
Discorsi. Pensieri inutili. Lacrime su latte versato.
Si mosse, tirandosi dietro il cavallo. Se fosse riuscito ad arrivare a Come-si-chiama City forse avrebbe potuto riorganizzarsi. Per ora era alla mercé del sole, delle spine di cactus, dei serpenti a sonagli e dei cani arrabbiati che gli correvano dietro.
Pomeriggio. Fine della pista: laggiù si intravedevano dei tetti. Per la prima volta da molti giorni, sorrise. Ma solo un poco.
La cittadina era spalmata su una gobba del terreno, attaccata ai piedi di una serie di alture scoscese e dirupate coperte di cespugli rachitici. Intorno, il deserto e la sua voce: il silenzio. Il giovane spronò il riluttante cavallo sperando in cuor suo, visto come giravano le cose negli ultimi tempi, che non scomparisse tutto all’improvviso.
«Signore, non mi fare scherzi» sussurrò.
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