Descrizione
Partenza
1
Di’ la parola segreta e vinci cento dollari.
George, chi sono i nostri primi concorrenti?
George?… Ci sei, George?
GROUCHO MARX, You Bet Your Life
UNA vecchia Ford azzurra entrò quella mattina nel parcheggio sorvegliato: pareva un cagnetto stanco dopo una lunga corsa. Una guardia, un giovane inespressivo in uniforme cachi e cinturone, chiese il documento d’identità in plastica azzurra.
Dal sedile posteriore della macchina, il ragazzo lo passò alla madre. La madre lo passò alla guardia. La guardia lo portò a un terminale di computer che sembrava strano e fuori posto nel silenzio della campagna. Il terminale ingoiò il documento e proiettò sullo schermo:
GARRATY RAYMOND DAVIS
RD 1 POWNAL MAINE
ANDROSGOGGIN COUNTY
ID NUMBER 49-801-89
OK-OK-OK
La guardia premette un altro tasto e la scritta sparì, lasciando lo schermo del terminale verde e opaco. Con il braccio, fece un cenno ai due di proseguire.
«Non lo restituiscono, il documento?» chiese la signora Garraty. «Non…»
«No, mamma», rispose Garraty in tono comprensivo.
«Be’, non mi convince», disse lei, guidando fino a uno spazio libero. Aveva continuato a ripetere quella frase da quando s’erano messi in viaggio con il buio, alle due di notte. Questa volta, l’aveva ripetuta in tono lamentoso.
«Non preoccuparti», disse lui, soprappensiero. Era concentrato a guardarsi intorno e a cercare di razionalizzare la confusione che aveva in testa, un misto di aspettativa e paura. Scese dalla macchina un attimo prima che il motore desse l’ultimo, asmatico respiro. Era un ragazzo alto, ben piantato, con indosso uno sbiadito giubbotto militare a difesa del freddo di quel mattino primaverile, alle otto. Anche sua madre era alta, ma troppo magra. Il seno era quasi inesistente: due protuberanze simboliche. Gli occhi distratti e incerti, come impauriti. La faccia era la faccia di una malata. I capelli tinti in grigio ferro erano scompigliati sotto l’ammasso di forcine che avrebbero dovuto tenerli in ordine. Il vestito le pendeva di dosso, come se lei avesse perso di recente parecchi chili.
«Ray», disse con quel sussurro da cospiratrice che lui aveva finito con il detestare. «Ray, ascolta…»
Il ragazzo abbassò la testa e finse di sistemarsi la camicia. Una guardia mangiava da un barattolo di latta, mentre leggeva una pubblicazione a fumetti. Garraty osservò la guardia che mangiava e beveva, e per l’ennesima volta pensò: È tutto vero. E ora, finalmente, il pensiero cominciava a prendere consistenza.
«Sei ancora in tempo a cambiare idea…»
Paura e aspettativa si rincorsero nel cervello.
«No, non sono più in tempo», disse. «Ieri scadeva il termine ultimo per rinunciare.»
Ancora quel sussurro da cospiratrice che lui detestava. «Capirebbero, ne sono convinta. Il Maggiore…»
«Il Maggiore non…» cominciò Garraty, e vide sua madre irrigidirsi. «Tu lo sai, mamma, che cosa farebbe il Maggiore.»
Un’altra automobile aveva completato il breve rituale al cancello e aveva parcheggiato. Ne scese un ragazzo dai capelli scuri. I genitori lo seguirono, e per un momento tutt’e tre si fermarono a discutere, come giocatori di baseball preoccupati. Al pari di qualcun altro, il ragazzo portava sulle spalle uno zainetto. Garraty si chiese se era stata una fesseria non averne uno con sé.
«Non vuoi cambiare idea?»
Era complesso di colpa, colpa mimetizzata da ansia. Anche se aveva solo sedici anni, Ray Garraty ne sapeva abbastanza in fatto di colpa. Lei si rendeva conto di essere stata troppo assente, troppo stanca, o forse soltanto troppo presa dalle sue preoccupazioni precedenti per bloccare agli inizi la follia del figlio – bloccarla prima che l’ingombrante macchina dello Stato con le sue guardie in cachi e i suoi terminali di computer si sostituisse a lei, legandolo a quell’insensatezza sempre più strettamente, fino al giorno prima, quando il coperchio s’era chiuso con un tonfo definitivo.
Lui le mise una mano sulla spalla. «È mia l’idea, mamma. So che tu non eri d’accordo. Io…» Si guardò intorno. Nessuno prestava loro la minima attenzione. «Io ti voglio bene, ma così è meglio, in un modo o nell’altro.»
«Non è affatto meglio», disse lei, vicina alle lacrime. «Ray, non è meglio niente, e se tuo padre fosse qui, avrebbe impedito…»
«Be’, lui non c’è.» Fu brutale, nella speranza di evitare le sue lacrime… E se avessero dovuto trascinarla via? Aveva sentito che qualche volta era successo. Il pensiero lo raggelò. Con voce più dolce disse: «Lascia perdere, adesso, mamma. D’accordo?» E con un sorriso forzato rispose per lei: «D’accordo».
Il mento le tremava ancora, ma lei annuì. Non era d’accordo, ma era troppo tardi. Nessuno poteva farci più niente.
Un soffio leggero sussurrò tra i pini. Il cielo era azzurro terso. Lì davanti c’era la strada, e il semplice cippo di pietra che segnava il confine fra America e Canada. D’improvviso l’aspettativa ebbe il sopravvento sulla paura, e lui desiderò di mettersi in marcia, che lo spettacolo sulla strada avesse inizio.
«Ho fatto questi. Puoi portarli, vero? Non sono troppo pesanti?» Gli porse un involto in carta d’alluminio, che conteneva alcuni biscotti.
«Certo.» Prese il pacchetto, e poi la strinse a sé con imbarazzo, cercando di darle quello di cui lei aveva bisogno. La baciò su una guancia. La pelle era come seta vecchia. Per un attimo fu anche lui sul punto di piangere. Poi pensò alla faccia baffuta e sorridente del Maggiore e fece un passo indietro, infilandosi i biscotti in una tasca.
«Ciao, mamma.»
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