Descrizione
Parte prima
LA MACCHINA FILATRICE
Dal 1792 al 1793
1
Prima di quel giorno, Sal Clitheroe non aveva mai sentito suo marito urlare. E dopo quel giorno non lo sentì mai più, se non in sogno.
Era mezzogiorno quando arrivò a Brook Field. Lo capì dalla luminosità del cielo ammantato di una coltre di nuvole grigio perla. Il campo era costituito da quattro acri di terreno pianeggiante e fangoso, delimitati su un lato da un ruscello impetuoso e sull’altro da una collinetta bassa. La giornata era fredda e asciutta, ma la settimana prima aveva piovuto molto e mentre Sal arrancava tra le pozzanghere pareva che il fango vischioso volesse strapparle via le scarpe. Era faticoso, però lei era una donna forte e robusta e non si stancava facilmente.
Quattro uomini erano impegnati nella raccolta delle rape: si chinavano, si rialzavano e impilavano le radici marroni e nodose in larghi panieri poco profondi chiamati corbe. Quando una corba era piena, l’uomo la portava ai piedi della collina e rovesciava le rape dentro un massiccio carro di quercia a quattro ruote. Sal vide che avevano quasi finito, perché quella parte del campo era completamente dissodata e gli uomini lavoravano vicino alla collina.
Erano vestiti tutti allo stesso modo, con camicie senza colletto, braghe alle ginocchia tessute in casa dalle loro mogli e gilet comprati di seconda mano o dismessi dai ricchi. I gilet non si consumavano mai. Il padre di Sal ne aveva uno davvero ricercato, a doppio petto di tessuto a righe rosse e marroni, bordato di passamaneria, smesso da un elegantone di città. Non se lo toglieva mai ed era stato sepolto con quello.
Ai piedi, i braccianti portavano stivali comprati usati e riparati mille volte. Avevano tutti un copricapo, uno diverso dall’altro: un berretto di pelliccia di coniglio, un cappello di paglia a tesa larga, uno alto di feltro e un tricorno che doveva essere appartenuto a un ufficiale della marina. Sal riconobbe il berretto di pelliccia. Era di suo marito Harry. Lo aveva cucito lei stessa, dopo aver catturato il coniglio e averlo ucciso con una pietra, scuoiato e cotto in pentola con una cipolla. Ma Harry lo avrebbe riconosciuto anche senza cappello e da lontano, per via della barba rossa.
Harry aveva un fisico esile ma muscoloso, ed era insospettabilmente forte: portava carichi pesanti quanto gli uomini più grossi di lui. Il solo guardare il suo corpo asciutto e sodo in fondo al campo fangoso provocò in Sal un fremito di desiderio, l’anticipazione di un piacere come quando, venendo dal freddo, si avverte l’odore caldo della legna che arde.
Mentre attraversava il campo, cominciò a udire le voci degli uomini. Ogni tanto si chiamavano l’un l’altro e scambiavano qualche battuta, che finiva con una risata. Sal non riusciva a capire le parole, ma immaginava il tenore dei loro discorsi: motteggi solo all’apparenza pungenti, insulti giocosi e spassose volgarità, facezie che alleviavano la monotonia di un lavoro faticoso e ripetitivo.
Un quinto uomo li osservava, in piedi vicino al carro con un frustino in mano. Era vestito meglio, con una marsina blu e lucidi stivali neri alle ginocchia. Si chiamava Will Riddick, aveva trent’anni ed era il primogenito del signore di Badford. Il campo apparteneva a suo padre, come il carro e il cavallo. Will aveva folti capelli neri tagliati all’altezza del mento e un’espressione imbronciata. Sal credeva di conoscere il motivo. Sovrintendere al raccolto delle rape non era compito suo e lui lo considerava indegno, ma il fattore si era ammalato e Sal immaginava che Will fosse stato costretto suo malgrado a sostituirlo.
Al fianco di Sal camminava suo figlio. A piedi nudi, incespicava e scivolava sul terreno paludoso nel tentativo di tenere il passo, finché lei si voltò, lo tirò su senza sforzo e proseguì tenendolo con un braccio, la testolina del piccolo appoggiata alla sua spalla. Strinse a sé il corpicino caldo con più forza del dovuto, tanto era l’amore che provava per lui.
Avrebbe voluto altri figli, ma dopo due aborti e un bambino nato morto aveva smesso di sperare e cercato di convincersi che, poveri com’erano, uno era più che sufficiente. Era molto legata a suo figlio, forse troppo, visto che spesso i figli se li portavano via le malattie o gli incidenti, e le si sarebbe spezzato il cuore se lo avesse perso.
Lo aveva chiamato Christopher, ma quando lui stava imparando a parlare aveva storpiato il nome in Kit, e da allora tutti lo chiamavano così. Aveva sei anni ed era minuto per la sua età. Sal sperava che crescendo diventasse come Harry, esile eppure forte. Di certo dal padre aveva ereditato i capelli rossi.
Era il momento del pasto di mezzogiorno e Sal portava un cesto con dentro del formaggio, del pane e tre mele raggrinzite. A una certa distanza dietro di lei veniva un’altra abitante del villaggio, Annie Mann, una donna energica della stessa età di Sal. Altre due si stavano avvicinando dalla direzione opposta, scendendo la collina con i cesti appesi al braccio e i bambini al seguito. Gli uomini interruppero il lavoro, grati, pulendosi le mani sporche di fango sulle braghe, e andarono verso il ruscello dove c’era un po’ d’erba su cui sedersi.
Sal raggiunse il sentiero e posò dolcemente Kit a terra.
Will Riddick tirò fuori dal taschino del gilet un orologio appeso a una catena e lo guardò con espressione accigliata. «Non è ancora mezzogiorno» sbraitò. Mentiva, Sal ne era certa, ma nessuno di loro possedeva un orologio. «Continuate a lavorare» ordinò. Lei non si sorprese. Will aveva una vena di cattiveria. Suo padre, il signore del villaggio, aveva il cuore duro, ma Will era ancora peggio di lui. «Finite il lavoro e dopo potrete pranzare» disse. C’era una nota di disprezzo nel modo in cui pronunciò la parola “pranzare”, quasi che ci fosse qualcosa di spregevole nel pasto dei braccianti. Will se ne sarebbe tornato al maniero a mangiare arrosto e patate, pensò Sal, probabilmente accompagnati da un boccale di birra forte.
Tre degli uomini si chinarono per riprendere il lavoro, ma il quarto no. Era Ike Clitheroe, lo zio di Harry, un uomo sulla cinquantina con la barba grigia. «Meglio non caricare troppo il carro, signor Riddick» disse in tono mite.
«Lascia che sia io a giudicare.»
«Vi chiedo scusa» insistette Ike «ma il freno è quasi del tutto consumato.»
«Non c’è niente che non va in questo dannato carro» ribatté Will. «Volete solo smettere di lavorare prima del tempo. È così ogni volta.»
Il marito di Sal si intromise. Era sempre pronto a dire la sua in ogni discussione. «Fareste meglio a dare ascolto allo zio Ike» disse, rivolto a Will. «Diversamente potreste perdere carro e cavallo, oltre a tutte le vostre maledette rape.»
Gli altri uomini scoppiarono a ridere. Però non era saggio divertirsi alle spalle dei signori. Will si rabbuiò e replicò: «Chiudi quella boccaccia insolente, Harry Clitheroe».
Sal sentì la manina di Kit insinuarsi nella sua. Il padre si stava facendo trascinare in una discussione e, per quanto piccolo, Kit avvertì il pericolo.
L’insolenza era il punto debole di Harry. Era un uomo onesto e un gran lavoratore, ma pensava che i signori non fossero migliori di lui. Sal lo amava proprio per il suo carattere indomito e lo spirito libero, però i padroni non lo sopportavano e lui finiva spesso nei guai per la sua insubordinazione. Adesso, però, avendo detto la sua, non aggiunse altro e se ne tornò al lavoro.
Le donne posarono i cesti sulla riva del ruscello. Sal e Annie andarono ad aiutare i mariti a raccogliere le rape mentre le altre due donne, che erano più anziane, rimasero sedute vicino ai cesti.
Il lavoro fu presto concluso.
A quel punto fu chiaro che Will aveva commesso un errore lasciando il carro ai piedi della collina. Avrebbe dovuto posizionarlo una cinquantina di iarde più in giù per consentire al cavallo di prendere velocità prima di attaccare la salita. Ci pensò su un momento e poi disse: «Voi spingete il carro da dietro per dare l’abbrivio al cavallo». Saltò sul sedile, agitò la frusta e incitò l’animale con un grido. La cavalla grigia cominciò a tirare.
I quattro braccianti si posizionarono dietro il carro e spinsero. I piedi scivolavano sul sentiero bagnato. I muscoli delle spalle di Harry guizzavano. Sal, che era forte quanto gli uomini, si unì a loro. E così pure il piccolo Kit, suscitando l’ilarità di tutti.
Le ruote si mossero, la cavalla abbassò la testa seguendo le tracce, la frusta schioccò e il carro si avviò. Gli uomini rimasero indietro a osservarlo mentre risaliva il pendio. Ma la cavalla rallentò e Will si voltò, urlando: «Continuate a spingere!».
Corsero tutti in avanti, poggiarono le mani sulla parte posteriore del carro e ricominciarono a spingere. Ancora una volta il carro prese velocità. Per qualche iarda la cavalla proseguì, con le spalle possenti che sforzavano contro i finimenti di cuoio, però presto non ce la fece più a tenere il passo. Rallentò e incespicò nel fango scivoloso. Subito dopo parve riprendersi, ma ormai aveva perso l’abbrivio e il carro si fermò di colpo. Will cominciò a frustare la bestia mentre Sal e gli uomini spingevano con tutte le loro forze, senza riuscire a trattenere il carro. Le alte ruote di legno cominciarono lentamente a girare all’indietro.
Will tirò la leva del freno, quindi tutti udirono uno schianto e Sal vide le due metà del freno di legno spezzato volare oltre la ruota posteriore sinistra. Poi sentì la voce di Ike: «Io gliel’avevo detto. Gliel’avevo detto a quello stupido!».
Spinsero con quanta forza avevano in corpo, ma furono a loro volta spinti all’indietro e Sal ebbe un’orribile sensazione di pericolo imminente. Il carro arretrava sempre più rapidamente.
«Forza, maledetti sfaticati!» gridò Will.
Ike staccò le mani dalla traversa e disse: «Non terrà!». La cavalla scivolò di nuovo e questa volta cadde. Alcune parti dei finimenti di cuoio si ruppero, la bestia crollò a terra e venne trascinata dal carro.
Will saltò giù. Il carro, ormai fuori controllo, prese velocità. Senza neppure pensare, Sal raccolse Kit con un braccio e fece un salto di lato, fuori dalla traiettoria delle ruote.
«Allontanatevi tutti!» gridò Ike.
Gli uomini schizzarono via mentre il carro sbandava e si rovesciava su un lato. Sal vide Harry sbattere contro Ike e poi i due cadere a terra. Ike rotolò di lato al sentiero, Harry invece finì nella traiettoria del carro che gli piombò addosso colpendolo alla gamba con il bordo del pesante pianale di quercia.
Fu allora che urlò.
Sal si immobilizzò col cuore stretto in una morsa di terrore. Harry era ferito, gravemente ferito. Per un istante tutti rimasero a guardarlo, inorriditi. Le rape rotolarono giù dal carro, e alcune finirono dentro il ruscello.
«Sal! Sal!» gridò Harry con voce arrochita.
«Presto, spostate il carro!» urlò lei.
Appoggiarono tutti le mani al carro. Lo sollevarono dalla gamba di Harry, ma l’operazione era resa più difficile dalle grosse ruote e Sal si rese conto che avrebbero dovuto alzarlo prima di poterlo raddrizzare. «Facciamo leva con le spalle!» gridò e tutti capirono che aveva ragione. Il carro, però, era pesante e loro dovevano spingere in salita. Ci fu un terribile istante in cui Sal pensò che il carro rischiasse di cadere di nuovo e schiacciare Harry una seconda volta. «Su, avanti, alzate!» urlò. «Tutti insieme!» Si misero a far forza al grido di “issa” e all’improvviso il carro si ribaltò, rimettendosi in piedi, e le ruote atterrarono con uno schianto.
A quel punto Sal vide la gamba di Harry e rimase senza fiato per l’orrore. Era schiacciata dalla coscia allo stinco. Dalla pelle spuntavano frammenti d’osso e le braghe erano zuppe di sangue. Lui aveva gli occhi chiusi e dalle labbra semiaperte usciva un gemito agghiacciante. Sal udì lo zio Ike sussurrare: «Buon Dio, risparmialo».
Kit scoppiò a piangere.
Anche lei avrebbe voluto piangere, ma si trattenne: doveva chiamare aiuto. Chi di loro correva più veloce? Si guardò attorno e il suo sguardo si posò su Annie. «Corri al villaggio, Annie, più veloce che puoi, e va’ a cercare Alec.» Alec Pollock era barbiere e chirurgo. «Digli di venire a casa mia. Lui saprà cosa fare.»
«Bada tu ai miei bambini» disse Annie e corse via.
Sal si inginocchiò accanto a Harry, nel fango. Lui aprì gli occhi. «Aiutami, Sal» disse. «Aiutami.»
«Ora ti porto a casa, amore mio.» Gli infilò le mani sotto il corpo ma, quando cercò di sollevarlo, lui lanciò un altro urlo. Sal ritrasse le mani dicendo: «Signore, aiutami».
Sentì Will che ordinava: «Voi, cominciate a rimettere le rape sul carro. Su, avanti, svegliatevi».
«Qualcuno lo faccia stare zitto prima che ci pensi io a chiudergli la bocca» mormorò Sal.
«Cosa facciamo con la cavalla, signor Riddick?» chiese Ike. «Ce la fa a rialzarsi?» Girò intorno al carro per guardare la povera bestia, distogliendo l’attenzione di Will da Harry. “Grazie, zio Ike. Sei davvero in gamba” pensò Sal.
Si voltò verso il marito di Annie, Jimmy Mann, l’uomo col tricorno. «Va’ al deposito di legname, Jimmy» gli disse. «Chiedi di costruire una barella con due o tre assi, per trasportare Harry.»
«Corro» rispose lui.
«Aiutatemi a rimettere in piedi questa cavalla» gridò Will.
Ma Ike ribatté: «Non si rimetterà mai più in piedi, signor Riddick».
Ci fu una pausa e alla fine Will disse: «Forse hai ragione».
«Perché non andate a prendere un fucile» gli chiese Ike «e ponete fine alle sofferenze di questa povera bestia?»
«Sì» rispose lui, ma senza il suo solito tono categorico, e Sal capì che, sotto l’atteggiamento arrogante, era scosso.
«Bevete un sorso di brandy, se avete con voi la fiaschetta» suggerì Ike.
«Buona idea.»
Quando ebbe finito di bere, Ike disse: «Un goccetto farebbe bene anche a quel povero ragazzo con la gamba stritolata. Potrebbe alleviare il dolore».
Will non rispose, ma qualche istante dopo Ike tornò con una fiaschetta d’argento in mano. Nello stesso momento Will si allontanò a passo svelto nella direzione opposta.
«Ben fatto» mormorò Sal.
Ike le porse la fiaschetta e lei l’accostò alla bocca di Harry, facendogli scivolare un rivoletto di liquore tra le labbra. Lui tossì, deglutì e aprì gli occhi. Sal gliene diede dell’altro e lui lo bevve avidamente.
«Fagliene bere il più possibile» disse Ike. «Non sappiamo cosa dovrà fare Alec.»
Per un istante Sal si chiese cosa intendesse, poi capì che lui pensava che avrebbe potuto essere necessario amputare la gamba a Harry. «Oh, no» mormorò. «Signore, ti prego.»
«Tu fagli bere dell’altro brandy.»
Il liquore riportò un po’ di colore sulle guance di Harry. «Mi fa male, Sal. Mi fa tanto male» sussurrò in modo appena percettibile.
«Il chirurgo sta arrivando.» Non le venne in mente altro da dire e si infuriò nel sentirsi così impotente.
Mentre aspettavano, le donne fecero mangiare i bambini. Sal diede a Kit le mele che aveva nel cesto. Gli uomini cominciarono a raccogliere le rape sparse ovunque e a rimetterle dentro il carro. Tanto, prima o poi andava fatto.
Jimmy Mann tornò con una porta di legno in equilibrio precario su una spalla. La abbassò con difficoltà, ansimando per lo sforzo. Era pesante e l’aveva portata per mezzo miglio. «È per quella nuova casa che stanno costruendo vicino al mulino» disse. «Si sono raccomandati di non rovinarla.» La posò a terra accanto a Harry.
Era venuto il momento di spostare Harry sulla barella improvvisata, e sarebbe stato doloroso. Sal si inginocchiò accanto alla sua testa. Lo zio Ike si fece avanti per darle una mano, ma lei lo allontanò con un gesto. Nessun altro avrebbe cercato di essere delicato quanto lei. Afferrò le braccia di Harry vicino alle spalle e lentamente fece scivolare la parte superiore del corpo sulla porta. Lui non reagì. Allora lo tirò, poco alla volta, finché il torso poggiò interamente sulla base di legno. Alla fine, però, fu costretta a spostare anche il resto. Si mise in piedi a cavalcioni sopra di lui, quindi si chinò, lo afferrò per i fianchi e gli spostò le gambe con un unico, rapido movimento.
Harry urlò per la terza volta.
L’urlo si trasformò in un singhiozzo prolungato.
«Solleviamolo» disse Sal. Si accovacciò vicino a un angolo della porta e i tre uomini presero gli altri angoli. «Piano, mi raccomando. Tenetela dritta.» Afferrarono la porta e la sollevarono gradualmente, infilandosi sotto di essa il più in fretta possibile, quindi se la posarono sulle spalle. «Pronti?» chiese lei. «Cercate di tenere il passo. Uno, due, tre, via.»
Partirono attraverso il campo. Sal si voltò a guardare e vide Kit, inebetito e sconvolto, che la seguiva dappresso portando il cesto. I due bambini piccoli di Annie camminavano dietro il padre, Jimmy, posizionato all’angolo posteriore destro della barella.
Badford era un grosso villaggio, con un migliaio di abitanti o più, e la casa di Sal distava un miglio. Sarebbe stata una camminata lunga e faticosa, ma lei conosceva così bene la strada che avrebbe potuto percorrerla a occhi chiusi. Aveva vissuto lì tutta la vita e i suoi genitori riposavano nel camposanto accanto alla chiesa di St Matthew. L’unico altro luogo che conosceva era Kingsbridge, e l’ultima volta che vi era stata risaliva a dieci anni prima. Ma Badford era cambiata, nel corso della sua vita, e non era più così facile andare da un’estremità all’altra del villaggio. Idee nuove avevano trasformato il modo di coltivare, e ora si incontravano steccati e siepi. Il gruppetto che trasportava Harry fu costretto a superare cancelletti e passaggi tortuosi che correvano tra proprietà private.
A loro si accodarono uomini al lavoro in altri campi e donne uscite dalle case per vedere cosa stesse succedendo, e bambini piccoli, e cani, tutti dietro, a chiacchierare tra loro e a parlare del povero Harry e delle sue terribili ferite.
Mentre camminava, con la spalla che le doleva sotto il peso di Harry e della porta, Sal ripensò a se stessa a cinque anni, quando per tutti era Sally e considerava la terra oltre il villaggio una periferia vaga ma ristretta, un po’ come un giardino intorno alla casa in cui si vive. Nella sua immaginazione, il mondo intero era poco più grande di Badford. La prima volta che l’avevano portata a Kingsbridge era rimasta frastornata: migliaia di persone, strade affollate, i banchi del mercato coperti di cibo, abiti e cose di cui non aveva mai sentito parlare… un pappagallo, un globo, un libro su cui scrivere, un piatto d’argento. E poi la cattedrale. Incredibilmente alta, strana e meravigliosa, fredda e silenziosa all’interno, palesemente la casa di Dio.
Kit era poco più grande di lei quando aveva compiuto quel primo, stupefacente viaggio. Sal cercò di immaginare cosa stesse pensando in quel momento. Probabilmente aveva sempre considerato il padre invulnerabile – per i bambini di solito è così – e ora stava cercando di abituarsi all’idea di Harry ferito e inerme. Doveva sentirsi confuso e spaventato. Avrebbe avuto bisogno di conforto.
Finalmente arrivarono in vista della casa. Era una delle più umili del villaggio, costruita con torba e un intreccio di rami chiamato graticcio. «Kit, corri ad aprire la porta» disse Sal. Lui obbedì e portarono Harry direttamente all’interno. La folla rimase fuori ad allungare il collo.
La casa era costituita da un’unica stanza. C’erano due letti, uno grande e uno piccolo, due semplici piattaforme di assi grezze inchiodate assieme da Harry. Ognuna era coperta da un saccone di tela imbottito di paglia. «Posiamolo sul letto grande» disse Sal. Abbassarono con cura la porta con sopra Harry, pallido e immobile, che respirava appena. «Signore, ti prego, non portarmelo via» mormorò lei.
Kit, in piedi davanti alla madre, la abbracciò premendole il volto contro il ventre, che era rimasto flaccido dopo la sua nascita. Lei gli accarezzò la testolina. Avrebbe voluto dirgli parole rassicuranti, ma non gliene venne in mente nessuna. La verità era spaventosa
. Si accorse che gli uomini osservavano la casa. Era davvero misera, però le loro non dovevano essere molto diverse, perché erano tutti braccianti agricoli.
In mezzo alla stanza c’era la ruota per filare, costruita e intagliata con cura e lucidata. Sal l’aveva ereditata dalla madre. Accanto a questa c’era una piccola pila di rocchetti sui quali era avvolto il filato finito, che attendevano di essere ritirati dal commerciante di tessuti. La ruota per filare serviva a pagare certi lussi: tè con lo zucchero, latte per Kit, carne due volte la settimana.
«Una Bibbia!» esclamò Jimmy Mann individuando l’unico altro oggetto di valore della casa. Il grande libro era posato al centro del tavolo, il fermaglio d’ottone ossidato dal tempo, la rilegatura in cuoio macchiata da troppe mani sudicie.
«Era di mio padre» spiegò Sal.
«Ma tu sai leggere?»
«Mi ha insegnato lui.»
Gli uomini rimasero colpiti. Sal pensò che nessuno di loro fosse in grado di leggere più di qualche parola: i loro nomi, probabilmente, e forse i prezzi scritti col gesso al mercato e nelle taverne.
«Cosa ne dite di trasferire Harry sul materasso?» chiese Jimmy.
«Starà più comodo» disse Sal.
«E io sarò più felice quando avrò riportato la porta al deposito di legname.»
Sal andò all’altro lato del letto e si inginocchiò sul pavimento di terra battuta. Tese le braccia, pronta a ricevere Harry quando fosse scivolato giù dalla porta. I tre uomini afferrarono l’altro lato. «Piano, fate piano» raccomandò Sal. Sollevarono il bordo, la porta si inclinò e Harry scivolò di pochissimo, gemendo. «Inclinatela un po’ di più» disse lei. Questa volta Harry scivolò fino al bordo. Sal gli teneva le mani sotto il corpo. «Ancora un po’» soggiunse «e poi tirate via la porta.» Allungò le mani e poi gli avambracci sotto di lui. Lo scopo era di farlo stare il più fermo possibile. Parve funzionare, perché lui non emise alcun suono. E allora le passò per la mente che quel silenzio potesse essere di cattivo auspicio.
Alla fine ritirarono la porta troppo bruscamente e la gamba maciullata di Harry atterrò sul materasso con un leggero tonfo. Lui urlò di nuovo. Questa volta Sal lo prese come un segno positivo. Se non altro, era ancora vivo.
Annie Mann arrivò con Alec, il chirurgo. La prima cosa che fece lei fu accertarsi che i bambini stessero bene. Poi guardò Harry. Non disse nulla, però Sal capì che era turbata dalle sue condizioni.
Alec Pollock era un uomo pulito e ordinato. Indossava una marsina e braghe molto usate ma ben tenute. Non aveva ricevuto alcuna preparazione medica a parte quanto aveva imparato dal padre, che aveva praticato quella professione prima di lui e gli aveva lasciato in eredità i coltelli affilati e gli altri attrezzi che costituivano gli unici requisiti necessari per un chirurgo.
Portava una piccola cassetta di legno con il manico, che posò per terra accanto al camino. Poi guardò Harry.
Sal scrutava il volto di Alec cercando di carpire qualche segnale, ma la sua espressione non tradiva nulla.
«Harry, riesci a sentirmi?» domandò. «Come stai?»
Lui non rispose.
Alec guardò la gamba spappolata. Il pagliericcio sotto di essa era intriso di sangue. Alec toccò le ossa che spuntavano da sotto la pelle. Harry lanciò un urlo di dolore, ma non terribile come quelli precedenti. Alec tastò la ferita con un dito e lui lanciò un altro urlo. Quindi Alec afferrò la gamba per la caviglia e la sollevò, e Harry urlò fortissimo.
«È grave, vero?» chiese Sal.
Alec la fissò, esitante, e poi rispose semplicemente: «Sì».
«Cosa puoi fare?»
«Non posso aggiustare le ossa rotte. Certe volte ci riesco: se si tratta di un osso solo e non è troppo fuori posto posso rimetterlo nella giusta posizione, legarlo con una stecca e lasciare che col tempo guarisca. Ma il ginocchio è troppo complicato e il danno è troppo esteso.»
«Allora…»
«Il pericolo maggiore è che la ferita si infetti e causi la putrefazione della carne. Quella può essere fatale. La soluzione è amputare la gamba.» «No» disse lei, con voce tremante per la disperazione.
«No, non puoi segargli la gamba, ha già sofferto abbastanza.»
«Potrebbe salvargli la vita.»
«Deve pur esserci un altro modo.»
«Posso provare a sigillare la ferita» disse lui, titubante. «Ma se non funziona, l’amputazione è l’unica strada.»
«Provaci, ti prego.»
«D’accordo.» Alec si chinò e aprì la cassetta di legno. «Sal, puoi aggiungere un po’ di legna al fuoco? Mi serve molto calore.» Lei corse ad alimentare le fiamme sotto la cappa.
Alec prese dalla cassetta una ciotola di terracotta e una brocchetta chiusa con un tappo. «Non hai del brandy, immagino?» disse, rivolto a Sal.
«No» rispose lei, poi si ricordò della fiaschetta di Will. Se l’era infilata nel vestito. «Sì che ce l’ho» disse e la tirò fuori.
Alec inarcò le sopracciglia.
«È di Will Riddick» spiegò lei. «L’incidente è tutta colpa sua, maledetto idiota. Vorrei che fosse lui ad avere un ginocchio maciullato.»
Alec finse di non sentire l’insulto rivolto al figlio del signore. «Fagliene bere il più possibile. Se perde i sensi, tanto meglio.»
Sal si sedette sul letto accanto a Harry, gli sollevò la testa e gli versò qualche goccia di brandy in bocca mentre Alec scaldava l’olio nella ciotola. Quando la fiaschetta fu vuota, l’olio bolliva, e quella vista la fece star male.
Alec fece scivolare un piatto largo e poco profondo sotto il ginocchio di Harry. Gli astanti guardavano inorriditi insieme a Sal: i tre braccianti, Annie con i suoi due bambini e Kit, pallido come un morto.
Quando arrivò il momento, Alec agì con rapidità e precisione. Usando un paio di pinze, prese la ciotola dal fuoco e rovesciò il liquido bollente sul ginocchio di Harry.
Lui lanciò l’urlo peggiore di tutti e perse i sensi.
I bambini scoppiarono a piangere.
Nell’aria si diffuse un odore nauseabondo di carne umana bruciata.
L’olio colò nel piatto posizionato sotto la gamba di Harry e Alec lo fece ruotare, accertandosi che il liquido bollente raggiungesse anche la parte posteriore del ginocchio perché la sigillatura fosse completa. Quindi tolse il piatto, versò l’olio nella brocchetta e la richiuse.
«Manderò il conto al signor Riddick» disse, rivolto a Sal.
«Spero tanto che ti paghi» rispose lei. «Perché io non posso.»
«Dovrebbe farlo. Un signore ha dei doveri verso quelli che lavorano per lui. Ma non c’è una legge che lo obblighi. E comunque, è una faccenda tra me e lui. Tu non preoccuparti. Harry non vorrà mangiare, però cerca di farlo bere, se puoi. Il tè è la cosa migliore. Ma va bene anche la birra o dell’acqua fresca. E tienilo al caldo.» Cominciò a riporre le sue cose nella cassetta.
«C’è altro che posso fare?» chiese Sal.
Alec si strinse nelle spalle. «Pregare per lui.»
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