Descrizione
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UNA CALDA NOTTE D’ESTATE
Anzio, venerdì 17 luglio 64 d.C. L’ora del tramonto
Il disco rosso del sole si è appena posato sul mar Tirreno in un’esplosione di tonalità che incendia tutto il cielo. È un momento perfetto, da cogliere in silenzio, cullati solo dal rumore delle onde che si allungano stanche sulla spiaggia e dalla fresca carezza della brezza sulla pelle martoriata da una giornata di fuoco. Davanti a questo panorama meraviglioso, come non amare la vita? Come non essere grati di poter assaporare delle sensazioni che appartengono solo ai sogni?
Un lungo sospiro accompagna questi pensieri… e scompare tutto. A rapire il sole assieme al mare e ai colori del cielo sono delle ciglia che si chiudono, e sul tramonto scende un sipario di palpebre pesantemente truccate.
Il paesaggio che stavamo ammirando era in realtà riflesso negli occhi di una donna. E quando, dopo lunghi secondi, questi si riaprono, regalano al mondo uno sguardo profondo, dal colore scuro come la notte che sta per venire. È uno sguardo particolare, diventato famoso in tutto l’Impero romano. Genera un fascino potente che innesca un brivido intenso, ma anche il timore di diventare la sua preda. È questo il fascino di Poppea. Una donna bella e determinata, che ha imparato a destreggiarsi con abilità negli equilibri di corte per ottenere ciò che vuole.
Un esile ciuffo ribelle, strappato dalla brezza, le frusta una guancia. Il colore rosso Tiziano si accende ancor più alla luce del tramonto. La mano della donna lo ferma e lo rimette tra i ranghi ordinati della complessa acconciatura da imperatrice.
Il colore ambrato dei capelli di Poppea è noto in tutta Roma. Li ha persino descritti lo stesso Nerone in un poema. E da quel momento, tutte le matrone hanno desiderato avere i capelli dello stesso colore della donna più potente dell’Impero romano.
Con un movimento lento, Poppea si copre il volto con un velo, lasciando scoperti solo gli occhi. È un vezzo che tutti conoscono, lo stesso Tacito ce lo dice: “Teneva una parte del volto coperta da un velo, sia che non volesse soddisfare gli sguardi altrui, sia, anche, per apparire più affascinante”.
Questo sguardo intenso si vuole nutrire dei colori del tramonto. Gli occhi di Poppea continuano a fissare il sole che gradualmente s’inabissa: il gelo del mare si fonde con l’incandescenza del sole. Già, acqua e fuoco… Lei non lo sa, ma tra poche ore questi due elementi faranno la differenza tra la vita e la morte per migliaia di persone, in una delle catastrofi più devastanti della Storia.
D’altra parte, nessuno può ancora saperlo. Anzi, il mondo sembra sorridere a Roma in questo giorno di luglio del 64 d.C. L’Impero sta vivendo, tutto sommato, un periodo d’oro e di prosperità, offuscato solo da alcuni problemi di instabilità nei suoi domini orientali. Problemi comunque molto lontani da questo tratto di costa laziale ad Anzio, una cinquantina di chilometri a sud di Roma, dove tutto è cullato solo dalla bellezza della natura, con tramonti che sembrano un regalo degli dei.
Poppea prova un senso di smarrimento quando l’ultimo bagliore del sole scompare, inghiottito dai flutti neri del mar Tirreno. Alza lo sguardo verso il cielo e scorge un nuovo piccolo bagliore; è quello di Venere, che già brilla in un crepuscolo color indaco. Sorride. In effetti, quelli che per noi sono “solo” una stella e un pianeta, nella sua mente di antica romana rappresentano molto di più: sono due divinità. Apollo, che nella sua quotidiana corsa nel cielo a bordo del suo carro infuocato è appena sparito oltre l’orizzonte, e Venere, la dea dell’amore, che appare nella volta celeste.
Poppea abbandona la balaustra di marmo bianco sulla quale si era mollemente appoggiata per assaporare il tramonto. Con passo lento, attraversa le eleganti geometrie di un grande mosaico e prosegue in un lungo porticato affacciato sul mare.
In effetti, sembra nata per dominare il mondo: ha ereditato dalla madre un’avvenenza fuori dal comune, è amabile nel parlare, ha un’intelligenza vivace. E a ogni suo passo sembra di udire l’eco delle parole degli antichi su di lei. Frasi che scolpiscono nell’aria la sua determinazione nell’ottenere ciò che vuole: “Non si curò mai di avere una buona fama, nonché di fare alcuna distinzione fra mariti ed amanti. Non era schiava di alcun sentimento affettuoso né suo, né di altri; dove scorgeva l’utile, là volgeva la sua libidinosa passione”.
È sempre Tacito a dircelo.
A seguirla, silenziose come due ombre, sono la sua dama di compagnia e una serva, rimaste per tutto il tempo in disparte. Le sagome delle tre donne appaiono e scompaiono, scandite dallo scorrere del colonnato. Le tende tese tra una colonna e l’altra si muovono sinuose al vento, imitando le movenze dell’imperatrice.
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