Descrizione
CAPITOLO 1
Grey’s Hollow, New York, gennaio 1993
«911. Qual è l’emergenza?» chiese la donna.
Bree stava tremando forte. Riusciva a malapena a tenere il telefono appoggiato all’orecchio. «Mamma e papà stanno litigando.» Si udì uno schiaffo in corridoio e Bree sussultò. «Mandate la polizia?»
«Arriva» rispose la donna. «Continuerò a parlare con te finché non sarà lì.»
«D’accordo.» Bree tirò su con il naso e se lo pulì sulla manica. Le colava il moccio sul viso. Odiava piangere davanti al papà, lo faceva infuriare di più, ma non poteva farne a meno.
«Come ti chiami?»
«Bree» rispose a bassa voce. Non pensava che il padre la sentisse, altrimenti Bree avrebbe ricevuto lo stesso trattamento della mamma. Sbirciò in corridoio. La porta della camera dei suoi genitori era aperta e il papà stava urlando. Non riusciva a distinguere tutte le parole, ma sapeva che stava dicendo cose cattive e insultando la mamma. Udì un altro schiaffo e sua madre iniziò a singhiozzare. «Sta picchiando la mamma.»
«Dove sono?»
«In camera loro.»
Erin arrivò in corridoio. Teneva il suo coniglietto di peluche per un orecchio e se lo trascinava dietro mentre andava verso la stanza dei genitori.
«Erin, non andare lì!» gridò Bree più forte che poté, ma le uscì solo un sussurro. Non voleva che il papà la sentisse.
«Chi è Erin?» chiese la donna.
«La mia sorellina» rispose Bree. «Erin, vieni qui!»
«Quanti anni ha?»
«Quattro. Io ne ho otto. Devo badare a lei. L’ha detto la mamma.»
«Otto anni.» La donna tossì.
Bree andò verso la sorella in corridoio, ma il filo del telefono non era abbastanza lungo. «Non riesco a raggiungerla.» Tenne stretta la cornetta. Non voleva metterla giù. «Erin!» gridò.
La sorella voltò la testa. Non stava piangendo, ma aveva gli occhi sgranati e si era bagnata il pigiama. Quando Erin si girò e andò verso di lei, a Bree uscì l’aria dai polmoni tutta d’un colpo e le comparvero dei puntini luminosi davanti agli occhi. Tirò Erin con sé fino in cucina.
«L’ho presa» disse Bree alla donna.
Nella terza camera, il piccolo iniziò a urlare. La sua porta era attaccata a quella della mamma e del papà. Il pianto provocò a Bree il mal di pancia. Il padre si sarebbe infuriato ancora di più.
«È tua sorella che piange?» domandò la donna.
«No. Ho un fratellino.» Bree non voleva che il papà restasse in camera con la mamma, ma non voleva nemmeno che uscisse. «Devo andare a prenderlo. Devo farlo stare zitto.» Bree si rivolse alla sorella: «Resta qui.»
Prima che lei potesse andare nella cameretta del bambino, il papà uscì in corridoio. Era rosso in volto e aveva gli occhi piccoli e cattivi. La mamma era subito dietro di lui. Le colava sangue dalla bocca e aveva dei segni rossi tutto intorno al collo.
«Fermo.» La mamma afferrò il padre per un braccio. «Lo prendo io.»
Il papà si voltò e la schiaffeggiò.
«Smettila di picchiare la mamma!» urlò Bree.
Ma lui non smise, la colpì di nuovo.
Il bambino strillò e il papà andò verso la sua camera.
«Che sta succedendo, Bree?» chiese la donna.
«Papà sta andando a prendere il mio fratellino.» Bree non sapeva cosa fare. Era spaventatissima, aveva i crampi alla pancia e le gambe le tremavano. Sua sorella si nascose sotto il tavolo della cucina. «Per favore, mandi la polizia.»
«Arrivano, Bree» le assicurò la donna. «Andrà tutto bene.»
«Fermati!» La mamma saltò sulle spalle del papà e iniziò a colpirlo. «Non toccarlo.»
Il padre ruotò di scatto e sbatté la mamma contro il muro, facendola cadere a terra di schiena. Lui si allontanò dalla porta della cameretta. Era cupo in volto, più in collera di quanto Bree l’avesse mai visto. Si tuffò verso la mamma, le agguantò il braccio e la tirò in piedi. Poi la trascinò di nuovo in camera loro.
«Devo andare. Devo andare a prendere il mio fratellino.» Bree mise giù il telefono. Mentre entrava in punta di piedi nella cameretta, riusciva a sentire la donna che parlava. Il bimbo era in piedi nella culla, urlava con il volto paonazzo, le manine aggrappate alla sbarra più alta.
«Ssh.» Bree lo prese in braccio e se lo appoggiò contro il fianco. «Devi stare zitto.»
Mentre lo portava fuori, lanciò uno sguardo verso la camera dei genitori. Il papà teneva la mamma contro il muro con una mano. Nell’altra aveva una pistola. Bree si paralizzò per un secondo. Le si gelò tutto il corpo e quasi se la fece nei pantaloni.
Poi indietreggiò e corse più veloce che poté lungo il corridoio. Il bambino smise di piangere mentre lo faceva sobbalzare sul fianco. Nascose il volto contro la sua spalla e singhiozzò. Bree superò il telefono sul pavimento. La donna la stava chiamando per nome, ma Bree non aveva tempo per parlarle.
Si fermò accanto al tavolo della cucina e chiamò Erin.
La sorella gattonò fuori da sotto il tavolo. «Bree?»
«Vieni» le sussurrò Bree. «Dobbiamo nasconderci.»
«Ho paura» si lamentò Erin.
«So dove andare. Andrà tutto bene.» Bree afferrò Erin per il braccio e la tirò fuori dalla cucina.
Erin oppose resistenza. «Promesso?»
Spostando di lato il bambino, Bree si tracciò una piccola X al centro del petto. «Ti do la mia parola.»
Si voltò di nuovo verso la porta. Finalmente Erin cedette.
Il cortile era buio e la veranda gelata sotto i piedi nudi di Bree. Il vento le soffiò attraverso il pigiama, ma lei proseguì, scese i gradini e girò intorno alla casa, fino all’asse sconnessa sotto il portico. La tirò e la tenne ferma mentre Erin si intrufolava nell’apertura. Poi spinse dentro il bambino ed entrò carponi dietro di lui. Bree rimise a posto l’asse. Si era nascosta lì un sacco di volte, quando mamma e papà litigavano.
Sotto la veranda erano al riparo dal vento, ma faceva comunque freddo.
Attraverso le assi, Bree sbirciò il cortile buio. All’ombra della stalla, i cani di papà abbaiavano dal canile. La donna aveva detto che la polizia stava arrivando. Il vento si insinuò nelle fessure tra le assi. Bree non sentiva più i genitori litigare. Che cosa starà facendo papà?
«Ho freddo.» Erin batteva i denti.
Bree strinse a sé la sorella e la zittì. Il fratellino tremava tra le sue braccia e piagnucolava. Aveva il volto raggrinzito in una smorfia, come se fosse pronto a mettersi a piangere. Se l’avesse fatto, il papà l’avrebbe sentito. Li avrebbe trovati. Bree avvolse le braccia intorno al suo corpicino e lo cullò. «Ssh.»
Una porta sbatté e Bree sussultò. Sopra di loro si udirono dei passi pesanti. Non sapeva dire se provenissero da dentro la casa o dalla veranda sul retro. Era arrivata la polizia? Forse sarebbe andato tutto bene. Proprio come aveva promesso la donna.
Si udì uno sparo. Bree sobbalzò.
Mamma!
Strinse le mani sul bambino, che iniziò a piangere. Un’altra porta sbatté. Bree voleva scappare, ma aveva troppa paura. Udì altri passi, altre grida, poi un altro sparo.
Chiuse gli occhi.
Anche senza aver visto cos’era successo, seppe che niente sarebbe più andato bene.
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