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Cross My Heart

Author: Kat Sherman

14,50

Hunter e io siamo nati lo stesso giorno, nella stessa stanza, quasi alla stessa ora, ed eravamo due bambini in un fortino fatto di cuscini quando abbiamo giurato che non avremmo mai più passato un compleanno da soli e che avremmo esaudito ogni desiderio dell’altro per tutti i sedici aprile della nostra vita.
Sette anni dopo la promessa, Hunter McNeal è diventato un giovane uomo sfuggevole quanto brillante, profondamente legato alla sua Irlanda e innegabilmente attraente. Tutte le ragazze lo vogliono e tutti i ragazzi vorrebbero essere lui, soprattutto quando è sul campo da calcio a dare prova del suo talento.
So tener fede a una promessa, ma gli anni non hanno tenuto conto di quanto sia folle e sciocca la speranza perché lui è il ragazzo con cui ho misurato tutti gli altri, il Nord sulla mia bussola, la fonte del mio odio e della sua controparte, l’unica falla nella mia armatura.
Eppure, non posso negare di aver bisogno di lui.
Ho saputo che è tornato dall’Irlanda e che andremo entrambi all’NYU, e dato che oggi è il sedici aprile, credo di avere il diritto di chiamarlo e chiedergli di portarmi via da questa terribile serata. I miei genitori hanno dimenticato il mio compleanno, il mio ragazzo mi ha tradita, la mia migliore amica mi ha mentito: sono validissime ragioni.
Perciò mi asciugo gli occhi e lo aspetto sul marciapiede, con una borsa di vestiti e senza uno straccio di piano, provando a tenere a freno il cuore impazzito, consapevole che sto per salire nell’auto dell’unica persona al mondo che potrebbe spezzarmelo per sempre.

Non c’è niente che possa tenere lontani Hunter e Violet.
E non c’è niente che possa tenerli insieme.
La loro storia intensa e rocambolesca si insegue negli anni, mostrando un amore innegabile quanto complicato, perfetto e sbagliato, forte e imprevedibile.

Informazioni aggiuntive

Editore

ISBN-13

979-8376126110

Data di pubblicazione

19 aprile 2023

Formato
Copertina flessibile

€ 14,50

COD: 8943 Categoria: Tag: Product ID: 21217

Descrizione

1

VIOLET

Questa storia comincia dalla fine.

Fine della mia casa lussuosa con il marmo italiano. Fine degli occhi malinconici di mia madre e di quelli distratti di mio padre. Fine della stanza invalicabile di Noelle. Fine delle risate che suonano tristi come un clown alla fine del suo numero, quando si toglie il trucco dal viso e intorno c’è solo silenzio.

Ho riempito una borsa con alcuni vestiti, lo spazzolino da denti, la piastra per i capelli, i miei documenti, i risparmi, un sasso irlandese, il deodorante e della biancheria pulita.

Tutto ciò che da oggi in poi possiederò sobbalza e mi colpisce il fianco a ogni passo, ricordandomi che anche un peso così leggero può fare male.

È incredibile quanto poco spazio riesca a occupare l’essenziale.

La pubblicità ci illude di aver bisogno di riempire la nostra vita di cose ma, in realtà, tutti quegli oggetti non fanno altro che sottrarre attenzione a ciò che conta davvero.

Per la cronaca, sì, un sasso può far parte dell’essenziale.

Dipende dal sasso e dalla sua storia. Perché tutto nella vita acquista un senso solo nel momento in cui scegliamo di attribuirgliene uno.

Quasi non respiro.

Una morsa mi attanaglia la bocca dello stomaco mentre percorro il viale di casa verso il cancello esterno.

Le ombre alla base del tacco vertiginoso sembrano armi proiettate sulla mia via di fuga.

Sono quelle con le quali mi difenderò finalmente da questo inferno di ghiaccio nel quale sono nata e cresciuta.

Sono stata messa al mondo per amore, solo che quell’amore non era riservato a me ma a mia sorella Noelle.

Non l’ho mai conosciuta, e probabilmente finirò nella peggior succursale dell’inferno per questa affermazione che non lascia margine alla misericordia del dubbio, ma io la odio.

Sinceramente e senza uno straccio di ragione condivisibile.

Mi consolo pensando che anche lei al posto mio mi avrebbe odiata. Oppure era un’idiota dal cuore così tenero da non essere in grado di accogliere la verità nuda e cruda e coltivare in sé un senso di ribellione. Il che è anche peggio che trasformarsi in un contenitore di odio con una bella chioma fluente perché hai il parrucchiere di tua madre gratis, h24.

Mi fermo sul ciglio della strada.

Il vento non mi permette di vedere quello che ho davanti.

Non lego i capelli perché ho bisogno dell’illusione di un riparo; anche se, per difendermi dall’impatto di Hunter Moody McNeal, mi ci vorrebbe uno schermo antiradiazioni nucleari, di quelli in dotazione agli astronauti della NASA.

Perché la luce che lui irradia è la stessa di una supernova in esplosione. E il buio che emana è identico a quello di un buco nero che ha appena svolto il suo misterioso compito di affascinare per un momento e poi inghiottire subito dopo.

Sono sette anni che non respiro la sua stessa aria, che non vedo il suo sorriso dal vivo. Ma devo ammettere di aver creato un profilo Instagram fake solo per osservarlo da lontano.

No, non finirò all’inferno anche per questo.

Spiare mi serviva. Era per la ricerca.

Sono alle prese con uno studio di vitale importanza scientifica: “Forse gli esseri umani non sono tutti delle complete merde egoiste, e altri esperimenti”.

Lascio cadere la borsa su questo marciapiede perfetto di Noho, New York City; il peso che atterra sul cemento levigato è così leggero che mi fa accapponare la pelle.

Prendo il telefono dalla tasca della giacca di jeans e rileggo il messaggio frettoloso che ho invitato a Hunter.

Le parole zoppicavano mentre gli ricordavo chi fossi con un tono a metà strada fra patetica disperazione e un ordine perentorio, basato su una promessa stretta quando eravamo entrambi in prima media: “Nel giorno del nostro compleanno ci saremo sempre l’uno per l’altra, croce sul cuore. Lasceremo tutto e tutti per salvare l’altro da qualunque mostro. E non ne esisterà mai uno più forte della nostra amicizia.”

Recitava esattamente così. La memoria non mi inganna.

Fisso l’imbocco della strada, tenendo a bada la nausea.

Strana amicizia, la nostra, visto che ci siamo anche sposati.

Avevamo solo dieci anni, una piccola, sciocca decade, ma le intenzioni sembravano validissime: legame, protezione, felicità.

Vedo incedere la sua auto che ancora non sono pronta.

Raccolgo la borsa e drizzo la schiena.

L’odioso jazz di mio padre, proveniente da casa mia, viene brutalmente sovrastato dal suono cadenzato del mio battito.

Non sento nemmeno più la pioggia di beep dei messaggi di Sally – quella traditrice bugiarda della mia migliore amica – né l’innumerevole quantità di squilli generata dal patetico tentativo di giustificare un tradimento da parte di Chase, che un’ora fa è diventato il mio ex e che per poco non mi ha fatto finire in prigione per tentato omicidio nel giorno del mio diciottesimo compleanno. A dire il vero, non sento nemmeno più l’aria entrarmi nei polmoni.

Cazzo, sei venuto a prendermi davvero.

Quanto sono sembrata disperata nel messaggio?

È quasi mezzanotte.

Orario indecente. Proposta indecente.

Una brillante Lexus tutta nera si accosta al marciapiede silenziosamente. Muovo un passo indietro nella più totale inconsapevolezza. Non è proprio un passo, è più una caduta nel vuoto, anche se resto in piedi sulle decolté in vernice.

Scende un tizio, il vento gli si tuffa nei capelli castani, non guarda me ma lancia un’occhiata rapida alla villa circondata da finestre a tutta altezza, che si intravede alle mie spalle, oltre il viale alberato. Arriccia leggermente il naso in una smorfia, captando le note jazz che ci raggiungono in sprazzi intermittenti.

Io, dite? Beh, io sono immobile.

Scarpe piantate a terra, battito impazzito nelle orecchie, gola sottile come un foglio di carta velina.

Deglutisco contro il mio volere, a vuoto, non riesco a spiccicare una parola, e non che il mio messaggio in direct su Instagram fosse stato chissà quanto sensato ed esaustivo.

“Ehi Hunter McNeal, ricordi quella promessa stretta quando eravamo bambini? Beh, oggi è il nostro compleanno. Ti invio l’indirizzo, non venire senza benzina. Tanti auguri.”

Colpa dei bastoncini di burro che avevo al posto delle dita.

Ho digitato la prima cosa che mi è venuta in mente o sarei rimasta in quella triste prigione artica per l’eternità.

Per un secondo, un effimero istante, la mano della versione adulta di Hunter sfiora la mia mentre prende il mio unico bagaglio e lo sistema nel vano posteriore della Lexus, nell’attimo più surreale di tutta la mia esistenza.

Se non avessi il petto pieno di macerie scoppierei a ridere forte della mia impulsività.

Ma la bocca si asciuga, i pensieri si svuotano e lacrime senza permesso mi pungono gli angoli delle palpebre, facendomi galleggiare nella mia stessa sorpresa.

Mentre imprimo particolari sulla retina, penso che il tempo lo abbia reso l’essere più bello mai creato nel gigantesco studio artistico sopra cui abitiamo, ma deve anche avergli mangiato la lingua.

Ottimo! Almeno non inizierò a desiderarla attorcigliata focosamente alla mia.

L’ultima cosa di cui ho bisogno è di aggiungere drammi ai drammi.

Nemmeno mi rendo conto di lasciarmi la mia bugiarda vita di merda alle spalle finché il rombo della Lexus non mi fa tremare le gambe come se fossi seduta su una lavatrice accesa.

Ho un sobbalzo, il cuore mi schizza di nuovo in gola.

Il cardio frequenzimetro del mio smartwatch emette una serie di scossette allarmanti che dovrebbero indurmi a calmare i nervi ma che sortiscono l’effetto contrario.

È ufficiale, morirò adesso, facendomi beffe del mio quadro clinico perfetto, quello che i miei ci tengono ad aggiornare come fosse un iPhone.

Pianto i tacchi sul tappetino, realizzando di non essermi cambiata prima di uscire; indosso una tuta jumpsuit di un nero luminoso, che mi lascia scoperte tutte le gambe, con una scollatura in picchiata sul seno florido: il mio pezzo forte, insieme alle labbra generose, a detta di Sally.

Cerco di coprirmi tirando su la stoffa.

Non dovrei ascoltare una stronza come lei.

Sapeva di Chase e non ha detto niente.

Che razza di amica è?

Amicizia significa guadagnare la lealtà dividendo a metà i momenti difficili e raddoppiando quelli felici.

E lei ha fallito miseramente.

«Buon compleanno», mi sento dire sulle note di Just Give Me A Reason (Pink ft. Nate Ruess) che si levano dallo stereo, mentre la Lexus scivola sulla strada come se l’asfalto fosse una colata di olio caldo. «Spero di non averti sottratto a nessuna festa. A casa mia ce n’era una, a dire il vero, ma non era per me. Le celebrazioni del mio compleanno sono ancora bandite dal calendario. A quanto pare, mio padre è riuscito ad accaparrarsi un atleta con un contratto milionario. Non capisco nulla di sport ma credo che ci fossero due giocatori dell’NBA a casa mia. Ho chiesto a uno di loro di prendere il borsone dal ripiano più alto dell’armadio.»

La Lexus si ferma al semaforo e io chiudo la bocca perché sto straparlando. Mi ritrovo a inspirare di scatto quando Hunter si sporge verso di me e mi slaccia lo smartwatch, che non la smette di evidenziare con quel concerto di vibrazioni del cardiofrequenzimetro il fatto che probabilmente stia avendo una specie di infarto.


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