Salta al contenuto Salta al piè di pagina

Dopo… La straordinaria inchiesta di un reporter sulle prove della vita oltre la vita

17,95

L LIBRO CHE È UN CASO MONDIALE

LE PROVE DELLA VITA OLTRE LA VITA
NELL’INCHIESTA DI UN GRANDE REPORTER

Quindici anni di indagine mi hanno costretto a dover ammettere che la vita dopo la morte è una realtà, un’ipotesi scientifica, razionale. Cosa accade realmente in quel momento? Cosa ci aspetta dopo? Dove si trovano i nostri cari defunti? È possibile rispondere a queste domande così urgenti. Chiediamo prove, sono davanti ai nostri occhi: la morte non è la fine della vita.

«La vita continua dopo la morte. Questa affermazione non è una credenza, ma una deduzione razionale. Ci sono arrivato dopo anni di ricerche, letture, interviste a studiosi di tutto il mondo e conversazioni con innumerevoli testimoni i cui racconti mi hanno profondamente colpito. Mantengo un punto di vista razionale, il che significa che chiunque intraprendesse ricerche simili arriverebbe alla stessa conclusione: la morte non è la fine della vita, ma un momento di transizione fra due realtà distinte. La morte è una porta. Siamo tutti insieme. Noi con loro e loro con noi. La mia ragione l’ha constatato, e ormai anche il mio cuore ha accettato che è così.»
Attraverso rigorosi studi e decine di straordinarie testimonianze, un grande giornalista indaga sulle prove della vita dopo la vita. Con risultati illuminanti.

«Una lettura interessante e coinvolgente»
PSYCHOLOGIES MAGAZINE

«Un’illuminante finestra di speranza»
20 MINUTES

«L’inchiesta che testimonia che la morte non esiste»
LE POINT

Informazioni aggiuntive

Editore

Data di pubblicazione

29 maggio 2024

ISBN-13

979-1281368392

Lingua

Italiano

Formato

Copertina flessibile

COD: 22475 Categoria: Tag: Product ID: 22475

Descrizione

INTRODUZIONE

La vita dopo

 

La vita continua dopo la morte.

Quest’affermazione non è frutto di una credenza, ma di una deduzione razionale.

Sono un giornalista. È stato un serrato lavoro d’indagine a portarmi ad ammettere che l’essere umano possiede una dimensione spirituale, e che la vita dopo la morte è una realtà. Ci sono arrivato dopo anni di ricerche, letture, interviste a studiosi di tutto il mondo e conversazioni con innumerevoli testimoni i cui racconti mi hanno profondamente colpito. Mantengo un punto di vista razionale, il che significa che chiunque intraprendesse ricerche simili arriverebbe alla stessa conclu-sione: la morte non è la fine della vita, ma un momento di transizione fra due realtà distinte.

Una specie di metamorfosi. Di passaggio.

La morte è una porta.

La mia ragione l’ha constatato, e ormai il mio cuore sente che è così.

Paradossalmente, questa convinzione non impedisce di essere annientati dalla morte di una persona cara. Sapere che chi amiamo continua la propria esistenza oltre la sua scomparsa non elimina il dolore, anche se può alleviare la tristezza, a trat-ti. Perché la mancanza rimane. Quel vuoto incolmabile. Una pelle che non possiamo più toccare, l’odore tanto familiare che svanisce fino a scomparire, un volto il cui ricordo sbiadisce, un telefono che resta muto. Anche se è un passaggio, la morte è nondimeno una separazione. Sapere che la vita continua non costituisce una soluzione magica al lutto. Un antidoto miracoloso capace di guarire tutto, asciugare le lacrime e compensare il dolore dell’assenza che talvolta pare insormontabile.

Come fare allora perché questa realtà – quella di un’altra vita dopo la morte – divenga una consolazione duratura? Come superare la malinconia e coltivare in noi questa speranza, questa intuizione che il nostro mondo, la nostra vita e la nostra morte

hanno un senso? Come possiamo apprezzare appieno il fatto che siamo esseri spirituali, anche se la maggior parte del tempo ignoriamo la nostra vera natura, intrappolati in un tempio di carne?

Rispondere a tali domande è uno degli obiettivi di questo libro.

Ciò di cui stiamo parlando solleva un altro interrogativo spi-noso: se la vita si protrae oltre la morte, di che vita si tratta?

Quale forma di esistenza ci aspetta dopo il decesso? Dove si trovano i nostri cari defunti? Cosa fanno? Come occupano il tempo che passa, ammesso che lo scorrere delle ore, dei giorni e degli anni abbia ancora un senso? Vengono giudicati o si giudicano da sé? Ritrovano coloro che hanno amato? A quali conoscenze hanno accesso? Possiedono tutte le risposte? Vivono in un posto preciso oppure sono ovunque? Esiste un paradiso?

Un mondo di quiete e felicità? Un luogo di perdono?

E cosa sappiamo di ciò che accade al momento della morte?

Morire all’improvviso, in un incidente, per esempio, è diverso che spegnersi lentamente in ospedale? È possibile prepararsi a questo momento? Il modo in cui abbiamo vissuto influisce su ciò che accade dall’altra parte del velo?

Le domande potrebbero continuare a lungo e probabilmente esistono tante opinioni in merito quanti sono gli esseri umani.

Dunque, come distinguere in mezzo a tutto ciò che sentiamo o leggiamo le cose che possono rivendicare lo status di fatti razionalmente verificati? Quando si parla di vita dopo la morte, qualunque mente curiosa viene rapidamente sopraffatta da una profusione di scritti e testimonianze di ogni tipo, dagli insegnamenti ispirati delle diverse tradizioni religiose alle conoscenze trasmesse da figure con i percorsi più disparati fra le quali, bisogna ammetterlo, si trova di tutto: maestri spirituali, ma anche illusi inconsapevoli e molto sicuri di sé; persone illuminate come pure gente bislacca più o meno bene intenzionata e certa di possedere la verità; saggi e bugiardi; scienziati seri e dilettanti; santi e profittatori.

È possibile fare ordine in questo caos di informazioni? È la missione in cui sono impegnato da anni.

In effetti, faccio il giornalista da trent’anni e il mio metodo di lavoro non è cambiato. Esso consiste nell’ascoltare, incrociare i fatti, individuare le costanti e sottoporle a un esame critico. Se questo metodo viene applicato con serietà e discernimento, non esiste argomento tabù. Compreso quello della vita dopo la morte.

Qualche elemento per rispondere agli innumerevoli interrogativi sulla natura dell’aldilà si trova per esempio nelle testimonianze di donne, uomini o bambini che sperimentano diverse forme di comunicazione spontanea dopo la morte di una persona cara. Esperienze che si danno senza che i testimoni le abbiano volute o cercate, e che si verificano molto più spesso di quanto si immagini.

Queste testimonianze sono cruciali. Devono essere ascoltate e analizzate in maniera obiettiva.

Sono racconti che non smettono di stupirmi, commuovermi e meravigliarmi. Evocano sensazioni di presenza, segni di ogni genere e intensità, visioni, messaggi telepatici, sogni, apparizione etc. Si tratta di esperienze di varia natura così diffuse da costituire un promemoria permanente – in un mondo che ha cancellato lo spirituale dalla sua ristretta definizione di realtà – che tale dimensione esiste eccome. I racconti di comunicazioni dopo la morte non sono aneddoti rari e sospetti, ma una realtà quotidiana e indiscutibile vissuta da milioni di persone. Io stesso ne ho fatto esperienza, in più occasioni.

Le innumerevoli testimonianze sono la dimostrazione che coloro che abbiamo amato e che la morte si è portata via sono in realtà ancora vivi altrove. Sono anche la prova del loro desiderio di mantenere un legame con noi. Si invocano le prove, ma le abbiamo davanti agli occhi, e non le vediamo.

Dunque, nelle pagine che seguono vorrei dare uno sguardo ad alcune di queste storie straordinarie e cercare di sollevare parte del velo, che potrebbe non essere così impenetrabile come pensiamo, su ciò che accade a coloro che amiamo dopo la loro morte.

Ascoltiamo ciò che hanno da dirci le persone che crediamo scomparse. Ascoltiamo ciò che ci sussurrano all’orecchio, impazienti e invisibili, cercando di attirare la nostra attenzione.

Ascoltiamo con il cuore. E scopriamo che cosa succede dopo…

1. ESPERIENZE SOGGETTIVE

 

Fra le numerosissime testimonianze delle cose strane che si verificano attorno alla morte, ho scelto di iniziare con tre storie brevi, sorprendenti e sincere, per mostrare quanto possano essere diverse le esperienze riportate dalle persone in lutto.

Adèle, Jennifer e Cécile sono fra i milioni di uomini, donne e bambini che vivono questo genere di esperienze in tutto il mondo.

Otto anni fa, Adèle ha perso il compagno Olivier, morto di cancro. Olivier era un pittore e aveva appena compiuto cinquant’anni. Adèle, produttrice di spettacoli, all’epoca aveva cinquantadue anni e non si sarebbe mai aspettata quello che le sarebbe capitato di lì a poco.

«Erano passate circa due settimane dalla sua morte, ero sdraiata sul divano quando l’ho sentito».

«Che cosa intende?»

«L’ho sentito che mi parlava nella testa… Mi sono alzata di scatto perché non era un mio pensiero, non era la mia voce interiore a parlarmi, ma la sua!»

«La sua voce?»

«Sì, la sua voce. Mi ha detto: Sono qui… Ho creduto di essere pazza! Di star perdendo la testa…»

«Che cosa le fa dire che non si è trattato della sua immagina-zione?»

«È proprio questa la cosa strana: l’ho sentito davvero. Non ho alcun dubbio».

«Cosa stava facendo in quel momento?»

«Niente di particolare, ero sul divano e non pensavo a niente di preciso, avevo la testa altrove…»

«Non si era addormentata?»

«No, so che non dormivo!»

«Davvero?»

«Sì! Sono sicura di quello che ho percepito. Ne ho perfino parlato al terapeuta che vedevo per superare il lutto…»

«Che cosa l’ha spinta a farlo?»

«Avevo bisogno di sentirmi dire che non ero pazza, che non avevo avuto le allucinazioni. Il mio psichiatra mi ha chiesto se mi fosse successo in altre occasioni, ma no, è stata l’unica volta in cui ho sentito una voce. Quindi ho cercato di razionalizzare.

Era la stanchezza, lo stress? E al tempo stesso questo ricordo è ancora così vivido dentro di me…»

«Questa esperienza ha influito sul suo dolore?»

«Ha rafforzato la mia idea che ci sia qualcosa dopo la morte, e che è possibile un contatto. Mi ha aiutata? Sì, ma non ha fatto sparire il senso di perdita, la mancanza dell’altro…»

La mamma di Jennifer è ricoverata per un tumore al cervello e le restano pochi giorni da vivere. Jennifer è la maggiore e ha sempre avuto un legame profondo con lei. Ha quindi deciso di mettere fra parentesi la sua vita perché per lei è fuori discussione restare lontana dalla madre anche solo un giorno.

Cure palliative, sedia a rotelle e assistenza a domicilio… nonostante gli ostacoli, nulla può fermarle. Escono, vanno in pi-scina, al ristorante, al cinema; Jennifer vuole dimostrare a sua madre che è presente e l’accompagnerà fino alla fine. Diventa la sua amica, la sua confidente, la sua infermiera.

Poi un giorno, mentre sua madre è ricoverata per le cure pal-liative, Jennifer arriva all’ospedale verso le nove com’è sua abi-tudine. Le porte delle camere hanno una finestrella. Jennifer lancia un’occhiata nella stanza per controllare se può entrare e vede un uomo, appoggiato al tavolo davanti al letto. Senza riflettere, si dice che dev’essere il fisioterapista, e apre la porta.

«Ma una volta dentro, mi sono resa conto che non c’era nes-suno. Soltanto mia madre..»

«È sicura di aver visto quella figura?»

«Oh, sì. Non ho alcun dubbio. Ho visto la sagoma di un uomo dalla finestrella, però stranamente quando sono entrata nella stanza e ho scoperto che non c’era nessuno, mi sono si stupita ma mi è venuto subito in mente mio nonno».

«Perché?»

«Non lo so. Ho pensato immediatamente a lui, al padre di mia madre. Era morto dodici anni prima. È inspiegabile, però mi ha rassicurata, convincendomi che sarebbe stato il giorno in cui se ne sarebbe andata».

Dall’età di otto anni, Cècile ha avuto l’impressione di avere attorno a lei i famigliari deceduti. Non ne capiva la ragione.

Queste sensazioni sono diventate più evidenti nell’adolescen-za. I suoi genitori erano persone curiose e con molti interessi, cosi hanno accolto i racconti apparentemente fantasiosi della figlia con mente aperta. A casa i bambini potevano parlare di tutto senza timore di essere giudicati. È stato questo a salvarle la vita.

«Con il senno di poi, mi rendo conto che è la paura a rendere la vita così complicata».

«La paura di questi amici immaginari?»

«Oh, no, non erano immaginari».

«Perché né è sicura?»

«Perché percepivo queste esperienze fisicamente. Si traducevano in brividi, il cuore che accelerava, cose così… il corpo reagiva prima della mente. Me ne sono accorta soprattutto quando i contatti si sono moltiplicati: il mio corpo reagiva prima che la mente avesse razionalizzato quello che succedeva. Percepivo fisicamente qualcosa e solo in seguito l’informazione arrivava al cervello. Era un’intuizione, una cosa ovvia…»

«Sentiva delle voci?»

«All’inizio erano soprattutto sensazioni fisiche, le emozioni delle persone che cercavano di contattarmi. Magari ero allegra e tutt’a un tratto venivo presa dalla tristezza senza alcuna ragione. È vero che questo genere di affermazioni può essere facilmente associato al disturbo bipolare, penso sia per questo motivo che mi sono messa a studiare psicologia. Per comprendere il funzionamento umano ed essere sicura di non avere una malattia, e di riuscire a distinguere fra le mie emozioni e ciò che percepivo».

«I suoi studi di psicologia l’hanno aiutata?»

«Ho studiato le malattie, la schizofrenia etc. Ciò mi ha consentito di capire che certe persone in cura psichiatrica non soffrono di patologie, ma provano delle cose. Poiché però non sono psicologicamente stabili già in partenza, queste percezioni le travolgono e si trasformano in sofferenza, in sostanza perché non riescono più a distinguere fra le proprie emozioni e quelle che captano degli altri».

«Può spiegarsi meglio?»

«Il lavoro psico-corporeo che ho intrapreso mi ha permesso di identificare i miei limiti, sia fisici che psicologici, e di distinguere ciò che mi appartiene da ciò che non mi appartiene. Di comprendere cosa è immaginario e cosa non lo è. È per questo motivo che parlo di altri…»

Come considerare queste testimonianze? Si tratta di esperienze soggettive? Ma “soggettivo” non significa assolutamente che non accada. La soggettività non è sinonimo di illusione, delirio o confusione.

In questi casi si parla, invece, di vissuti soggettivi di contatto con un defunto (VSCD). Quando ci si rivolge alla psichiatria per sapere se potrebbe trattarsi di allucinazioni, la risposta di chi lavora con persone in fin di vita o in lutto e che ha studiato tali testimonianze è categorica: sono esperienze molto bizzarre, che vanno chiaramente oltre la nostra comprensione, ma che non hanno nulla a che vedere con le allucinazioni. Ci torneremo sopra più nel dettaglio insieme allo psichiatra Cristophe Fauré.

Scopriremo anche che tali esperienze si verificano molto spesso: in Francia, in quasi un lutto su quattro.

Un lutto su quattro.

Solo nel mio Paese, stiamo parlando di circa centocinquantamila persone!

Episodi curiosi?

E se fosse arrivato il momento di parlare apertamente di ciò che capita a tanti di noi?

 

Acquista il libro in formato Kindle

 

Recensioni

Ancora non ci sono recensioni.

Solamente clienti che hanno effettuato l'accesso ed hanno acquistato questo prodotto possono lasciare una recensione.

Non ci sono più offerte per questo prodotto!

Domande di carattere generale

Non ci sono ancora domande.

E-mail
Password
Confirm Password