Descrizione
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Antefatto al Belvedere
La mattina del 3 dicembre 1936 re Edoardo VIII aspettava ansiosamente che la sua amante Wallis Simpson scendesse a colazione nel salotto privato di Fort Belvedere. Nel castello finto gotico, che lui aveva fatto ristrutturare e ampliare su una collina ai margini del Gran Parco Reale di Windsor, la coppia viveva di fatto assieme, lontana dagli occhi indiscreti di Londra. Era per questo che David, come lo chiamavano in famiglia, prediligeva questo nido d’amore, dove negli anni passati si era già gioiosamente intrattenuto con altre due amanti «stabili». Ma con l’americana Mrs Simpson era tutt’altro affare: un affare capace di precipitare il Regno Unito, e la monarchia, in una gravissima crisi costituzionale, la più seria dei tempi moderni.
Fino a quel momento il re, che pure ne era il protagonista, sembrava non rendersene conto. Ma quel mattino un evento traumatico mise in moto la valanga che l’avrebbe costretto all’abdicazione. Ecco come lo ricorda lui stesso nelle sue memorie.
«Wallis entrò nel salotto. Aveva in mano un giornale illustrato di Londra.
«‘Hai visto questo?’ chiese.
«‘Sì’, risposi. ‘Orrendo.’»
Il mondo – commenta indignato l’ex re – «riserva pochi choc peggiori per una donna sensibile che imbattersi senza preavviso nel suo ritratto grossolanamente ingrandito sulla prima pagina di un giornale scandalistico».
Sembra che a urtarlo sia più l’affronto al suo senso estetico, o all’avvenenza di Wallis, che l’incombente minaccia alla sua corona rappresentata dalla storia sparata in prima dal Daily Mirror. Fino a quel momento, benché ampiamente nota tra i ranghi dell’establishment, la relazione adulterina del sovrano era rimasta un segreto per la stragrande maggioranza dei suoi sudditi. In piena «età della deferenza» nessuno della ridottissima cricca dei «baroni della stampa» avrebbe mai permesso al proprio giornale di danneggiare la monarchia. Al massimo la famiglia reale veniva considerata come un’utile fonte di notizie innocue destinate a gonfiare la tiratura, ma editori e direttori stavano ben attenti a tenere fuori dalle loro pagine ogni allusione a vicende più o meno compromettenti per i reali. Finché non se ne presentò una troppo grossa per riuscire a nasconderla.
Da questo punto di vista la data del 3 dicembre 1936 rappresenta un vero spartiacque nella storia intrecciata della monarchia inglese e dell’informazione. Per la prima volta i Windsor si trovarono ad affrontare l’esplosione di uno scandalo innescata dai tabloid. Nei decenni a venire, e soprattutto dopo i Favolosi Anni Sessanta, questa sarebbe diventata la regola, ma negli anni Trenta la monarchia appariva ancora agli inglesi, e soprattutto alla classe dominante, un’istituzione non da contestare ma da proteggere. E questo valeva soprattutto per i media.
Di questo scudo omertoso, verniciato di sacralità, i figli di Giorgio V avevano ampiamente approfittato tra gli anni Venti e Trenta, quando Londra somigliava a qualcosa a metà tra Babilonia e Weimar: a Mayfair e Marylebone gli sfarzi decadenti e dissoluti dell’aristocrazia, nell’East End il rumore sempre più minaccioso delle masse operaie disoccupate e l’eco delle battaglie di piazza tra antifascisti e «camicie nere» di Oswald Mosley, il baronetto ammiratore di Mussolini. Lontani dalle tensioni politiche e sociali, i giovani principi erano per converso al centro di un’alta società sfrenatamente libertina: l’upper crust, decimata e disillusa dall’olocausto della Grande Guerra, si era spogliata – alla lettera – di regole e convenzioni morali per adorare tutto ciò che sapeva di nuovo, dinamico e radicale, dall’arte d’avanguardia alla cocaina, dal jazz al sesso. Una ricerca ossessiva del piacere sembrava il miglior antidoto a un mondo che appariva ancor più instabile e pericoloso nelle nuove divisioni postbelliche. Ma per il principe di Galles e per i suoi fratelli, come per il resto dei circoli sociali da loro frequentati, non c’era dubbio che la Russia sovietica rappresentasse, per il sistema e direttamente per loro, una minaccia di gran lunga maggiore dei nazisti che s’ingoiavano la Germania. Dopotutto, non erano stati forse i bolscevichi a massacrare nella cantina di Ekaterinburg i cugini Romanov, che loro avevano conosciuto da bambini?
Dei quattro giovani Windsor arrivati all’età adulta, solo il secondogenito Albert, Bertie in famiglia, si era sposato relativamente presto, nel 1923, a poco più di ventisette anni. Gli altri fratelli non mostravano alcuna fretta di farlo, felici com’erano di sow their wild oats – letteralmente, seminare la loro avena selvatica –, ovvero di correre la cavallina, come diciamo noi. Le loro vite debosciate erano quanto di più lontano dai valori saldamente vittoriani della cognata scozzese Elizabeth Bowes-Lyon, e tanto bastava perché dopo averla sposata anche Bertie si tenesse a distanza da loro. Il terzo fratello, Harry duca di Gloucester, era solo un mediocre ufficiale dell’Esercito appassionato di caccia alla volpe. Ma Edward e il quartogenito George, creato duca di Kent, condividevano le propensioni degli antenati Hannover alla bisboccia e alle frequentazioni pericolose, e in questa gara il più piccolo era chiaramente in vantaggio.
Secondo tutte le testimonianze, George era il più intelligente e il più affascinante dei principi. Si atteggiava a esteta ma la posa nasceva da un interesse autentico per le arti, il teatro, il design. Suonava il pianoforte, parlava fluentemente italiano e francese, e come il fratello maggiore era un maniaco della moda maschile, tanto da guadagnarsi una fama da dandy. Se Edward si limitava a brillare nei salotti aristocratici, le velleità culturali di George lo portavano invece a contatto di una bohème artistica di varia e colorita estrazione, raramente incontrata dai reali. La droga comunque correva in pari misura in entrambi gli ambienti, e tutti sapevano della tossicodipendenza del giovane duca. Il ricorso illimitato a cocaina e morfina accompagnava la sua notoria promiscuità, che non faceva distinzione tra i sessi. Non ci volle molto perché si ritrovasse su una china autodistruttiva dalla quale, nel totale disinteresse dei genitori, fu solo il fratello maggiore a salvarlo. Edward lo costrinse a sottoporsi alla disintossicazione, e in più lo spinse a corteggiare e sposare l’affascinante cugina Marina di Grecia e Danimarca. Lei era non meno spregiudicata e libertina di lui, ma assieme formavano una coppia brillante e nel loro salotto di Belgravia attiravano molti dei talenti di quegli anni. Il matrimonio sembrava funzionare, ma era soltanto una facciata. George continuava a vivere nel suo mondo segreto di passioni pericolose. Che si fecero repentinamente innocue davanti a quella del fratello per Mrs Simpson.
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