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I giorni della peste (Le Avventure Di Capitan Riley)

12,90

I GIORNI DELLA PESTE è un romanzo breve, un’avventura emozionante che ha avuto luogo appena qualche mese prima dei fatti raccontati nel romanzo CAPITAN RILEY, da cui prende il nome la serie.
In questa occasione, Alex Riley e il suo equipaggio sono stati assoldati dal banchiere e contrabbandiere Joan March per portare a termine un misterioso furto in alto mare in cambio di un’indecente somma di denaro.
L’equipaggio del Pingarrón scoprirà, come sempre troppo tardi, di essersi cacciato in un guaio peggiore di quanto avesse immaginato, nell’epicentro di una terribile epidemia di peste nella città di Orano, e che le conseguenze delle proprie azioni potrebbero ripercuotersi perfino sull’esito della guerra che sta devastando l’Europa.
Così, ancora una volta, e con la propria vita in ballo, l’insolito gruppo si vedrà costretto a scegliere se fare o no la cosa giusta. O almeno, se provarci.

I GIORNI DELLA PESTE è un thriller che può essere apprezzato senza aver letto precedentemente Capitan Riley; si tratta, anzi, di un’ottima introduzione per conoscere i personaggi, dato che è più breve dei precedenti libri della serie. Un romanzo breve ma intenso.
Perciò, se vuoi imbarcarti, prendi il tuo bagaglio e preparati a salire a bordo, il capitano ha dato ordine di salpare all’alba, e an est inizia già a rischiarare.

Informazioni aggiuntive

Autore

Editore

Data di pubblicazione

3 marzo 2020

ISBN

979-8621395650

Lingua

Formato

Copertina flessibile

COD: B085HLYTJZ Categoria: Tag: Product ID: 22094

Descrizione


1

23 luglio 1941

Cartagena, Spagna

Sebbene fosse già sera inoltrata, un sole inclemente spuntava per metà sul Castillo de Galeras, emanando energia come se intendesse far bollire l’acqua della baia prima di scomparire dietro l’orizzonte.

Più in basso, una piccola nave da carico di cinquanta metri di lunghezza fuoritutto, sui cui fianchi appariva lo strano nome Pingarrón scritto con della vernice bianca, era ormeggiata al molo Alfonso XII del porto di Cartagena. Sul suo ponte riverniciato, un uomo in maniche di camicia, alto, i capelli neri scompigliati e una cicatrice sulla guancia sinistra, si affacciava nella stiva principale, dirigendo le manovre di scarico di una voluminosa macchina per pulire i minerali, destinata alle miniere di piombo situate a La Unión.

-Siamo pronti, Jack –disse voltandosi leggermente e sollevando un pollice-. Ora tirala su. Molto lentamente.

Ai comandi della gru della nave, Joaquín «Jack» Alcántara, più basso, robusto e con una folta barba scura che incorniciava il suo viso preoccupato, azionò il motore del verricello e il cavo d’acciaio iniziò ad arrotolarsi sul tamburo con un cigolio metallico.

-Fanculo… –grugnì con forte accento gallego, vedendo lo sforzo sostenuto dal motore-. Questa cosa pesa come un cadavere.

-Non preoccuparti –lo tranquillizzò Alex Riley, alzando gli occhi ambrati verso lo spinotto tremolante della gru, ben al di sopra della sua testa-. Resisterà –Aggiungendo però a voce bassa-: Spero.

Cinque metri più in basso, all’interno della stiva, un mulatto dall’aria malinconica, un gigante con la faccia da pazzo e una ragazza bella e ridente guardavano la macchina alzarsi a fatica, pregando in silenzio affinché gli ancoraggi con cui l’avevano fissata al gancio della gru reggessero.

-César, Marco, Julie! –li mise in guardia il capitano Riley dal ponte-. Fatevi da parte. Se questa cosa cade giù, non voglio dovervi raccogliere col cucchiaino.

Senza bisogno che glielo ripetesse due volte, il meccanico di origine angolana, il mercenario jugoslavo e la giovane pilota della nave fecero qualche passo indietro, per precauzione.

Centimetro dopo centimetro, l’enorme macchinario emerse dal boccaporto della stiva, come un orribile mostro di ferro grigio che sbuca dalla sua tana.

-Ci siamo. Fermati –ordinò Riley al suo secondo appena il carico superò il bordo-. Ora muovilo verso tribordo, attento a non farlo oscillare.

Jack Alcántara fu sul punto di rispondere che sapeva ciò che faceva, ma era così teso che le sue mascelle si rifiutarono di schiodarsi per permettergli di parlare.

Iniziò quindi a muovere le leve della gru per seguire le indicazioni del suo capitano e, una volta che il carico raggiunse il montante del molo di cemento, azionò lo srotolamento del verricello ancora più lentamente di prima, finché il pesante aggeggio non si posò con uno scricchiolio sulle pedane di legno che fungevano da appoggio.

Quando il cavo d’acciaio alla fine si allentò, libero dal peso, il gallego si lasciò scappare un sospiro di sollievo e, chiudendo gli occhi, si asciugò il sudore dalla fronte con la manica della camicia.

-Molto bene, Jack –si congratulò il suo capitano, voltandosi verso di lui dal capo di banda-. Come una piuma.

Il gallego aprì gli occhi e annuì a quel complimento, ancora troppo teso per spiccicare parola.

-Molto bene anche voi, lì sotto! –alzò la voce il capitano, per quelli che si trovavano nella stiva-. Forza, mettetevi dei vestiti puliti, vi offro un bicchiere di vino al bar di Lola.

Un’ora dopo, irriconoscibile dopo una doccia e con dei vestiti puliti addosso, l’equipaggio del Pingarrón al completo scendeva lungo la Cuesta de la Baronesa, ridendo dell’eccessiva quantità di colonia con cui Marovic si era cosparso.

-Cazzo, Marco –si lamentò Jack arricciando il naso-. Puzzi come una troia da quattro soldi.

Il grosso jugoslavo guardò il gallego da capo a piedi, come se stesse valutando la possibilità di assestargli un bel pugno.

-Allora ti piace, no? –rispose con un sorriso pericoloso.

-Chiedilo a tua madre –ringhiò il gallego.

-Ah, mon dieu, state un po’ zitti voi due –li interruppe Julie alzando la mano-. Guardate.

Svoltato l’angolo si erano imbattuti in una fila interminabile di uomini, donne e bambini trasandati che attendevano impazienti il proprio turno davanti a uno spaccio di tessere annonarie, vigilati da un paio di guardie civili con tricorni in capo e fucili mauser in spalla. Il loro sguardo si diresse automaticamente verso i membri del Pingarrón, che in confronto a quella gente dall’aspetto famelico e gli occhi stanchi, sofferenti per i drammatici effetti del dopoguerra, apparivano come i più ricchi, in salute e ben nutriti di tutta la zona.

-Merda –mormorò César passandogli accanto lungo la strada angusta.

-Mi sento in colpa –aggiunse la francese portandosi la mano destra alla pancia.

-Non ne hai motivo –rispose Riley senza smettere di camminare-. Stiamo già facendo tutto quello che possiamo per aiutarli.

-Davvero? –domandò Jack a bassa voce, guardando i suoi sfortunati compatrioti-. Il contrabbando conta come aiuto?

-Gli stiamo fornendo prodotti che diversamente non potrebbero procurarsi.

-Oh, certo. Gli vendiamo champagne, paté, caviale… Siamo dei fottuti eroi.

Il capitano Riley si fermò in tronco e lo affrontò, zittendolo con lo sguardo.

-Se vuoi, puoi regalargli la tua parte.

-Non intendevo questo –ribatté il gallego.

-Beh, io sì –rispose Riley e, avvicinandosi ancora di più al suo secondo, sibilò-: Ho già fatto la mia parte quando ho combattuto per questa gente nelle Brigate Internazionali.

-Lo so, c’ero anch’io –rispose con lo stesso tono-. Ricordi?

-Capitaine… –intervenne la francese prendendolo per un braccio.

-Che c’è? –sbraitò Alex. A quel punto si accorse che non erano solo le decine di persone in attesa delle tessere annonarie a guardarli, ma anche le due guardie civili avevano iniziato a studiarli con eccessivo interesse. Per esperienza, tutti loro sapevano che non era mai una buona idea destare l’interesse di quel corpo di polizia militarizzata. Meno che mai quando il loro vero lavoro consisteva nel contrabbando e si portavano appresso un carico nascosto dietro una falsa paratia della stiva della nave.


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