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Il drago rinato. La Ruota del Tempo: 3

24,00

L’Ultima Battaglia si avvicina, e così lo scontro finale tra il Drago Rinato e il Tenebroso: l’Ombra è pronta a oscurare ogni luogo del mondo. La Ruota del Tempo sarà spezzata e le Epoche verranno ricostruite a immagine del Male. Ma Rand può salvare l’umanità, accettando il suo ruolo di Drago Rinato e trovando Callandor, l’antica spada del Drago, la Spada Che Non Può Essere Toccata, la Spada Che Non È una Spada… I destini di ognuno sono legati a quello di Rand. Mat combatte fra la vita e la morte a causa della contaminazione di Shadar Logoth, mentre Perrin è scisso fra il mondo degli umani e quello dei lupi. La missione di Moiraine, proteggere Rand e far sì che le Profezie si avverino, diventa sempre più difficile e l’Aes Sedai sarà costretta a ricorrere a metodi proibiti da millenni per combattere la Progenie dell’Ombra. L’addestramento alla Torre Bianca di Nynaeve, Egwene ed Elayne prende svolte insolite, gli inseguitori si trasformano in inseguiti, l’esca e la preda si confondono, in un alternarsi di ruoli e pericoli innominabili…

Informazioni aggiuntive

Autore

Editore

Data di pubblicazione

14 maggio 2020

ISBN

978-8834739549

Lingua

Copertina flessibile

€ 24,00

COD: 7714 Categoria: Tag: Product ID: 20636

Descrizione

1

Attesa

La Ruota del Tempo gira e le Epoche si susseguono, lasciando ricordi che divengono leggenda; la leggenda sbiadisce nel mito, ma anche il mito è ormai dimenticato, quando ritorna l’Epoca che lo vide nascere. In un’Epoca chiamata da alcuni Epoca Terza, un’Epoca ancora a venire, un’Epoca da gran tempo trascorsa, il vento si alzò nelle Montagne di Nebbia. Il vento non era l’inizio. Non c’è inizio né fine, al girare della Ruota del Tempo. Ma fu comunque un inizio.

Il vento spazzava ampie vallate, azzurrine nella nebbia mattutina ancora sospesa nell’aria, alcune coperte di foreste di sempreverdi, alcune spoglie, dove l’erba e i fiori selvatici sarebbero presto spuntati. Ululava fra rovine mezzo seppellite e monumenti crollati, tutti dimenticati come chi li aveva costruiti. Si lamentava nei passi, valichi scavati dalle intemperie tra picchi incappucciati di nevi eterne. Nuvole spesse si aggrappavano alle cime delle montagne, e le loro bianche onde sembravano tutt’uno con la neve.

Nelle pianure l’inverno stava finendo o era già passato, ma sulle alture ancora resisteva, trapuntando i fianchi delle montagne con ampie chiazze bianche. Solo i sempreverdi mostravano una foglia o un ago; tutti gli altri rami erano spogli, marroni o grigi contro la roccia e il terreno non ancora risvegliato. Non si udivano suoni, solo il secco impeto del vento sulla neve e la pietra. La terra sembrava aspettare. Aspettare che qualcosa esplodesse. Seduto a cavallo in un boschetto di ericacee e pini, Perrin Aybara fu scosso dai brividi e si strinse il mantello foderato di pelliccia, impacciato dal lungo arco che reggeva con una mano e dalla grande ascia a mezzaluna attaccata alla cintura. Era una buona ascia di freddo acciaio; lui stesso aveva azionato i mantici il giorno che Mastro Luhhan l’aveva creata. Il vento gli strattonò il mantello facendo scivolare il cappuccio dai ricci ispidi, e penetrò tagliente attraverso la giubba. Perrin mosse le dita dei piedi per scaldarli e cambiò posizione sulla sella dall’arcione alto, ma a preoccuparlo in realtà non era il freddo. Guardando i suoi cinque compagni, si chiese se anche loro percepissero l’attesa. Non l’attesa di ciò per cui erano stati mandati lì, ma qualcosa di più.

Stepper, il suo cavallo, scalpitò e scrollò la testa. Perrin gli aveva dato quel nome perché aveva il passo veloce, ma adesso sembrava che lo stallone percepisse l’irritazione e l’impazienza del suo cavaliere. Sono stanco di tutta quest’attesa, si disse lui, di tutto questo star seduti mentre Moiraine ci tiene stretti in una morsa come una tenaglia. Che le Aes Sedai inceneriscano! Quando finirà?

Fiutò il vento senza pensare. L’odore dominante era quello dei cavalli, misto a quello degli uomini e del loro sudore. Un coniglio era passato da non molto fra quegli alberi, con la paura ad accelerare la sua corsa, ma la volpe sulle sue tracce non lo aveva ucciso lì. Perrin si accorse di cosa stava facendo, e si interruppe. Tutto questo vento dovrebbe quanto meno farmi venire il raffreddore, intasarmi il naso, pensò. Quasi desiderava che fosse così. E non permetterei a Moiraine di curarmi, aggiunse mentalmente.

Qualcosa gli solleticava i recessi della mente. Si rifiutò di prestarvi attenzione. Non fece parola ai compagni di queste sensazioni.

Anche gli altri cinque uomini stavano in sella, i piccoli archi da cavallo pronti all’uso, gli occhi che indagavano il cielo sopra di loro come i brulli pendii sottostanti. Non sembravano disturbati dal vento che faceva sventolare i loro mantelli come bandiere. L’impugnatura di uno spadone a due mani spuntava da un taglio nel mantello sopra una spalla di ognuno di loro. La vista delle loro teste nude, rasate a zero con solo un alto codino, faceva sentire a Perrin ancora più freddo. Per quegli uomini, questo clima era già una primavera avanzata. Tutta la loro morbidezza era stata rimossa a colpi di martello, in una forgia ben più dura di qualsiasi cosa lui avesse mai conosciuto. Erano Shienaresi, provenienti dalle Marche di Confine lungo la Grande Macchia, dove le scorrerie dei Trolloc potevano verificarsi ogni notte, e persino mercanti e contadini potevano essere costretti a impugnare la spada o un arco. E loro non erano contadini, ma soldati fin quasi dalla nascita.

A volte Perrin si stupiva per il rispetto che gli tributavano, accettando di seguire la sua guida. Era come se gli attribuissero qualche diritto speciale, una conoscenza a loro nascosta. O forse è tutto dovuto ai miei amici, si disse con amara ironia. I soldati erano meno alti di lui, e meno grossi – anni di apprendistato come fabbro ferraio gli avevano procurato braccia e spalle grandi il doppio del normale – ma Perrin aveva iniziato a radersi ogni giorno per metter fine alle loro battute riguardo alla sua giovane età. Amichevoli, ma pur sempre battute. Non avrebbe dato loro la possibilità di iniziare di nuovo, mettendosi a parlare di sensazioni.

Sobbalzando, si rammentò che anche lui doveva continuare a stare in guardia. Controllò la freccia incoccata sull’arco lungo, guardò la valle che si stendeva verso occidente, diventando sempre più ampia man mano che si allontanava, coperta di nastri contorti di neve, un lascito dell’inverno. La maggior parte degli alberi sparsi ancora protendeva verso il cielo spogli rami invernali, ma c’erano abbastanza sempreverdi – pini ed ericacee, abeti e agrifogli di montagna, e persino alcuni larici torreggianti – dritti sui pendii e nella piana per offrire una copertura a chiunque sapesse sfruttarla. E nessuno sarebbe andato laggiù senza uno scopo preciso. Le miniere erano tutte lontane, a sud, o anche più lontano a nord; quasi tutti credevano che le Montagne di Nebbia fossero un luogo di malaugurio, e non vi si avventuravano se potevano evitarlo. Gli occhi di Perrin brillavano come oro brunito. Il solletico divenne prurito. No!

Poteva vedere più lontano degli altri uomini, così fu il primo ad avvistare la figura a cavallo proveniente dalla direzione di Tarabon. Anche ai suoi occhi era solo un puntino di colori sgargianti che si muoveva sinuoso fra gli alberi in lontananza, adesso in vista, adesso nascosto. Un cavallo pezzato, pensò, e nient’affatto in anticipo! Perrin aprì la bocca per annunciarla – doveva essere una donna, ogni cavaliere precedente lo era stato – quando Masema esclamò, «Corvo!» come un’imprecazione.

Perrin alzò di scatto la testa. Un grosso uccello nero sorvolava le cime degli alberi a non più di cento passi di distanza. La sua preda poteva essere una carogna o qualche piccolo animale nella neve, ma Perrin non poteva permettersi di correre il rischio. Non sembrava che il volatile li avesse individuati, ma il cavaliere in avvicinamento sarebbe stato presto nella sua visuale. Sempre fissando il corvo, lui alzò l’arco, lo tese – l’impennatura prima alla guancia, poi all’orecchio – e scoccò il colpo, tutto in un unico, fluido movimento. Fu appena consapevole dello schiocco delle corde degli altri archi accanto a sé, tutta la sua attenzione era concentrata sull’uccello nero.

Il corvo si avvitò bruscamente su sé stesso in una pioggia di penne nere quando venne raggiunto dalla sua freccia, e cadde giù mentre altri due dardi passavano nello spazio dove si era trovato. Con gli archi parzialmente tesi, gli altri Shienaresi perlustravano il cielo per assicurarsi che non ci fossero altri uccelli.

«Devono fare rapporto,» chiese piano il ragazzo ricciuto «oppure… lui… vede ciò che vedono i corvi?» Non voleva che lo sentissero gli altri, ma Ragan, il più giovane degli Shienaresi, di quasi dieci anni più grande di Perrin, rispose mentre incoccava un’altra freccia nel suo corto arco.

«Devono fare rapporto. A un Mezzo Uomo, di solito.» Nelle Marche di Confine c’era una taglia sui corvi; nessuno si azzardava nemmeno a pensare che un corvo potesse essere solo un uccello. «Luce, se Flagella Cuori vedesse quello che vedono i corvi, saremmo morti tutti prima di aver raggiunto le montagne.» La sua voce era leggera; la sopravvivenza era un problema quotidiano per un soldato dello Shienar.

Perrin fu scosso dai brividi, ma non a causa del freddo, e qualcosa nei recessi della sua mente ruggì una sfida mortale. Flagella Cuori. Nomi diversi in regioni diverse – Flagella Anime, Cuore Zannuto, Signore della Tomba, Signore del Crepuscolo – e ovunque Padre delle Menzogne e Tenebroso, tutto per evitare di chiamarlo con il suo vero nome, col rischio di attirarne l’attenzione. Il Tenebroso si serviva spesso di corvi e cornacchie, e ratti nelle città. Perrin estrasse un’altra delle frecce a punta larga dalla faretra appesa al fianco, che bilanciava il peso dell’ascia dall’altro lato.

«Quella cosa sarà pure grande quanto una mazza,» disse Ragan con ammirazione, lanciando uno sguardo all’arco di Perrin, «ma di sicuro tira bene. Non mi piacerebbe scoprire di persona cosa può fare a un uomo in armatura.» Adesso gli Shienaresi indossavano solo una sottile cotta di maglia sotto le semplici giubbe, ma di solito combattevano in armatura, uomo e cavallo.

«Troppo lungo per usarlo in sella» sogghignò Masema. La cicatrice triangolare sulla sua guancia scura deformava ulteriormente il suo sorriso sprezzante. «Un buon pettorale è in grado di fermare molte frecce, a meno che non vengano scoccate a distanza ravvicinata, e se il primo colpo fallisce l’uomo al quale stavi puntando avrà il tempo di sbudellarti.»

«è proprio questo il punto, Masema.» Ragan si rilassò un po’ quando vide che non c’era altro volatile in cielo. Il corvo doveva essere solo. «Con questi archi dei Fiumi Gemelli, scommetto che non c’è bisogno di tirare da molto vicino.» Masema aprì la bocca.

«Voi due, smettetela di far andare quelle maledette lingue!» scattò Uno. Con una lunga cicatrice sul lato sinistro del viso che gli copriva anche un occhio, aveva lineamenti duri, persino per uno Shienarese. Aveva acquistato una benda con una toppa per quell’occhio nel corso del loro viaggio verso le montagne, durante l’autunno; vi era disegnato sopra un feroce occhio rosso permanentemente aggrottato, che non rendeva affatto più facile sostenere il suo sguardo. «Se non riuscite a tenere le vostre stupide menti concentrate su un maledetto incarico, farò in modo che stanotte un dannato turno di guardia in più vi schiarisca le idee.» Ragan e Masema parvero sprofondare sotto lo sguardo di Uno, che lanciò loro un’ultima occhiata cupa prima di cambiare espressione rivolgendosi a Perrin. «Vedi altro?» Il suo tono era un po’ più burbero di quello che avrebbe usato con un comandante impostogli dal Re dello Shienar, o dal Lord di Fal Dara, eppure qualcosa nella sua voce suggeriva la disposizione a eseguire qualsiasi cosa Perrin avesse indicato.

Gli Shienaresi sapevano quanto la vista del ragazzo fosse straordinariamente acuta, ma parevano considerarlo normale, come il colore dorato dei suoi occhi. Non sapevano tutto quello che c’era da sapere su di lui, non sapevano nemmeno la metà, ma lo accettavano per quello che era. Per quello che pensavano fosse. Sembrava che accettassero tutto, davvero qualsiasi cosa. Il mondo sta cambiando, dicevano. Tutto gira sulle ruote della sorte e del cambiamento. Se un uomo ha gli occhi di un colore diverso da tutti gli altri, che importanza ha adesso?

«Sta arrivando» rispose Perrin. «Ora dovreste essere in grado di vederla. Laggiù.» Indicò in direzione della donna e Uno si protese in avanti, strizzando l’occhio buono, e alla fine annuì dubbioso.

«Accidenti, c’è qualcosa che si muove là sotto.» Anche alcuni degli altri annuirono e mormorarono. Uno li fissò furioso, e loro tornarono a studiare il cielo e le montagne. All’improvviso Perrin si rese conto del significato che avevano gli abiti dai colori sgargianti della lontana cavallerizza. Una gonna verde brillante che sbucava da sotto un mantello rosso acceso. «È una Girovaga» esclamò sbigottito. Non aveva mai sentito parlare di altri che si vestissero con colori così accesi abbinati in modo così insolito, almeno non per scelta.

Le donne che avevano incontrato, scortandole ancor più nel cuore delle montagne, erano state di ogni tipo; una mendicante vestita di stracci, che arrancava a piedi in una tormenta di neve; una mercante che da sola guidava una cordata di cavalli da soma carichi di merci; una Lady in pelliccia e abito di seta, con nappe rosse alle redini del palafreno e decorazioni dorate sulla sella. La mendicante era andata via con una sacca d’argento, più di quanto Perrin pensava che loro potessero permettersi di darle, fino a quando la Lady non lasciò loro una sacca d’oro ancor più grande. Donne di ogni estrazione, tutte da sole, provenienti da Tarabon, Ghealdan e perfino Amadicia. Ma non si sarebbe mai aspettato di vedere una dei Tuatha’an.

«Una maledetta Calderaia?» esclamò Uno. Gli altri fecero eco alla sua sorpresa.

Il codino di Ragan ondeggiò mentre scuoteva la testa. «I Calderai non si immischierebbero in una faccenda come questa. O non è una Calderaia, oppure non è quella che stiamo aspettando.»

«Calderai» ruggì Masema. «Inutili codardi.»

L’occhio di Uno si strinse fino a sembrare il buco per incastrare i cunei su un’incudine; con quello rosso dipinto sulla toppa, assunse un aspetto malvagio. «Codardi, Masema?»

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