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Il ladro di baci

Author: L. J. Schen

12,60

Un bacio rubato a una principessa. Due re in cerca di vendetta. Tre vite intrecciate. Figlia di uno degli uomini più influenti di Chicago, a diciannove anni, Francesca ha sempre vissuto dentro una gabbia dorata con un futuro ben delineato davanti a sé: ciò che la aspetta non è il college, bensì un matrimonio organizzato. E lei è già certa dell’uomo che sceglierà tra i suoi pretendenti, il suo amore di infanzia. La sera della sua presentazione in società, Francesca è pronta a donare il suo primo bacio ad Angelo ma invece, complice il buio della notte nera di Chicago, la giovane si ritroverà con l’inganno tra le labbra del perfido senatore Wolfe Keaton. Il giovane senatore Wolfe ha ordito un piano di vendetta nei confronti del padre di Francesca: il suo primo passo sarà ricattarlo per avere la mano di sua figlia. Francesca si ritrova così costretta a sposare Wolfe, e il suo intero mondo crolla. Il senatore incarna tutto ciò che la giovane donna disprezza in un uomo: arrogante, spietato, ambizioso e donnaiolo, una persona senza scrupoli. Eppure la ragazza scoprirà ben presto che sotto la corazza di cinismo e antipatia che Wolfe Keaton si è costruito c’è molto, molto di più. L’unico desiderio di Francesca è tornare tra le braccia di Angelo, l’unico obiettivo di Wolfe è la vendetta. Ma forse entrambi hanno sottovalutato il potere dei sentimenti che provano l’uno per l’altra. Sullo sfondo di una Chicago fiabesca in mano a famiglie illustri e potenti, si dipana una storia dal gusto antico e sognante, narrata da personaggi moderni. Il ladro di baci è un romanzo autoconclusivo e non è collegato a nessuna serie.

Informazioni aggiuntive

Editore

ISBN

979-1280078087

Data di pubblicazione

14 gennaio 2021

Lingua

Italiano

Formato

Copertina flessibile

COD: 9332 Categoria: Tag: , Product ID: 22011

Descrizione

1
Francesca

 

«Non sapevo che Venere avesse le ali.»

All’entrata dell’Art Institute of Chicago, Angelo mi baciò il dorso della mano. Sentii il cuore sprofondare, poi, però, accantonai quella sciocca delusione. Mi stava solo prendendo in giro. Inoltre stasera, in smoking, era di una bellezza così sconvolgente che avrei potuto perdonargli qualsiasi errore avesse commesso, salvo un omicidio a sangue freddo.

Al galà, a differenza delle donne, gli uomini portavano tutti lo smoking e una maschera a mezzo volto. Angelo aveva abbinato il suo abito a una maschera veneziana dorata che gli copriva gran parte del viso. I nostri genitori si scambiarono i convenevoli mentre noi ce ne stavamo in piedi ad ammirare ogni lentiggine e ogni centimetro di pelle l’uno dell’altra. Non gli spiegai che mi ero travestita da Nemesi. Avremmo avuto tempo – una vita intera – per parlare di mitologia. Dovevo solo assicurarmi che questa sera condividessimo un altro dei nostri fugaci momenti estivi. Solo che stavolta, quando Angelo mi avrebbe baciata sulla punta del naso, io avrei sollevato la testa e avrei unito insieme le nostre labbra, i nostri destini.

Sono Cupido, che scaglia una freccia d’Amore dritto nel cuore di Angelo.

«Sei più bella dell’ultima volta che ti ho vista.» Angelo si chiuse nel pugno la stoffa dello smoking, nel punto dove il suo cuore batteva, fingendo un gesto di resa. Intorno a noi, tutti erano ammutoliti e notai i nostri padri che si guardavano con espressione complice.

Due famiglie italoamericane potenti e benestanti con saldi legami reciproci.

Don Vito Corleone ne sarebbe stato orgoglioso.

«Mi hai vista una settimana fa al matrimonio di Gianna.» Angelo mi guardò dritto negli occhi, e dovetti resistere alla tentazione di inumidirmi le labbra.

«I matrimoni ti si addicono, ma averti tutta per me ti si addice di più» rispose con semplicità, spedendo così il mio cuore direttamente in quarta, prima di rivolgersi a mio padre. «Signor Rossi, potrei accompagnare sua figlia al tavolo?»

Rimanendo dietro di me, mio padre mi assestò una stretta alla spalla. Ero solo vagamente cosciente della sua presenza mentre una profonda euforia mi avvolgeva. «Tieni le mani dove riesco a vederle.»

«Sempre, signore.»

Angelo e io ci stringemmo a braccetto mentre uno degli innumerevoli camerieri ci faceva strada fino ai nostri posti, a una tavola ricoperta da una tovaglia dorata e apparecchiata con raffinate porcellane di colore nero. Angelo si chinò su di me e mi sussurrò all’orecchio: «O almeno, finché non sarai ufficialmente mia.»

I Rossi e i Bandini erano stati sistemati ad alcuni posti di distanza gli uni dagli altri – con mio sommo disappunto, ma non ne rimasi sorpresa. Mio padre era sempre nel cuore di ogni festa e arrivava a sborsare delle belle cifre per accaparrarsi i posti migliori ovunque andasse. Di fronte a me, il governatore Preston Bishop e sua moglie si stavano arrovellando sulla carta dei vini. Accanto a loro c’era un uomo che non conoscevo. Indossava una semplice maschera a mezzo volto tutta nera e uno smoking che doveva costare una fortuna, a giudicare dal tessuto pregiato e dal taglio impeccabile. Era seduto a fianco a una bionda appariscente in un abito modello lingerie in tulle bianco. Una delle decine di Venere che si erano presentate con la stessa mise.

L’uomo dava l’impressione di annoiarsi a morte, faceva sciabordare il whiskey nel bicchiere e ignorava la bella donna al suo fianco. Quando la donna provò a chinarsi verso di lui per parlargli, questo si girò dall’altra parte per controllare il telefono, dopodiché perse qualsiasi interesse per entrambi e si mise a fissare il muro alle mie spalle.

Fui attraversata da una fitta di dispiacere. Lei meritava più di quanto le offrisse quel tipo. Più di un uomo gelido e foriero di cattivi presagi, in grado di farti correre dei brividi lungo la schiena senza nemmeno guardarti.

Scommetto che lui riuscirebbe a mantenere ghiacciato un gelato per giorni e giorni di fila.

«A quanto pare, tu e Angelo siete molto presi l’uno dall’altra» commentò papà in tono disinvolto, e nel contempo rivolse un’occhiata ai miei gomiti poggiati sul tavolo. Li ritirai subito con un sorriso educato.

«È simpatico.» Avrei detto: “È una forza”, ma mio padre detestava da morire lo slang moderno.

«Se la cava» tagliò corto papà. «Mi ha chiesto il permesso di uscire con te la prossima settimana, e io ho detto di sì. Sotto la supervisione di Mario, ovviamente.»

Ovviamente.

Mario era uno dei numerosi scagnozzi di papà. Aveva la stazza, e il quoziente intellettivo, di un armadio. Nutrivo il presentimento che quella sera papà non mi avrebbe lasciata sgattaiolare dove non sarebbe riuscito tenermi d’occhio, esattamente perché sapeva che io e Angelo andavamo fin troppo d’accordo. In linea di massima, papà mi sosteneva nella scelta, però voleva che le cose si svolgessero in un certo modo. Un modo che la maggioranza dei ragazzi della mia età avrebbe trovato antiquato o, forse, addirittura al limite della barbarie. Non ero stupida. Sapevo che mi stavo scavando la fossa da sola a non lottare per il mio diritto di proseguire con gli studi e a un impiego redditizio. Sapevo che avrei dovuto essere io a scegliere chi sposare.

Nonostante ciò, ero altresì consapevole che le condizioni erano quelle, prendere o lasciare. Il prezzo da pagare per la libertà sarebbe stato rinunciare alla mia famiglia, e la mia famiglia era tutto il mio mondo.

Tradizioni a parte, il Clan di Chicago era totalmente diverso da come veniva rappresentato nei film. Niente vicoli malfamati né viscidi tossicodipendenti né scontri sanguinosi con la legge. Ai giorni nostri, tutto ruotava attorno al riciclaggio, all’acquisizione e agli investimenti di denaro sporco. Mio padre blandiva apertamente la polizia, socializzava con i politici di spicco e aiutava persino la FBI a incastrare i sospettati di rilievo.

In effetti, era proprio per questo motivo che ci trovavamo qui stasera. Papà aveva acconsentito a donare una sbalorditiva somma di denaro a una nuova fondazione di beneficenza creata per aiutare i giovani a rischio a ricevere un grado elevato di istruzione.

Be’, che ironia!

Sorseggiavo il mio champagne e fissavo Angelo dall’altra parte del tavolo, intento a chiacchierare con una ragazza di nome Emily, il cui padre possedeva il più grande stadio di baseball dell’Illinois. Angelo le stava raccontando che era prossimo a iscriversi a un master alla Northwestern, e al tempo stesso avrebbe anche iniziato a lavorare nello studio del padre. La verità era che avrebbe riciclato denaro per conto di mio padre e servito il Clan per il resto dei suoi giorni. Ero assorta nella loro conversazione quando il governatore Bishop rivolse la sua attenzione a me.

«E lei, piccola Rossi? Andrà all’università?»

Intorno a noi, tutti chiacchieravano e ridevano, fatta eccezione per l’uomo davanti a me. Lui continuava a ignorare la sua accompagnatrice e il suo telefono – che si illuminava in continuazione continuazione per un centinaio di messaggi ricevuti – in favore del drink che si stava scolando.

Ora che l’uomo mi stava osservando, era come se il suo sguardo mi passasse attraverso. Soprappensiero, mi domandai quanti anni avesse. Sembrava più grande di me, ma più giovane di papà.

«Io?» Sorrisi in modo cortese, raddrizzando la schiena. Lisciai il tovagliolo sulle ginocchia. Le mie buone maniere erano impeccabili, ero ben esperta nell’arte di condurre delle conversazioni frivole. A scuola avevo studiato il latino, il galateo e le nozioni di cultura generale. Sarei riuscita a intrattenere chiunque, che si fosse trattato di un leader mondiale o di una gomma da masticare sputata. «Oh, mi sono diplomata l’anno scorso. Ora mi sto impegnando per allargare la mia rete sociale e stringere nuovi contatti qui a Chicago.»

«In altre parole, non lavora, né studia» commentò l’uomo seduto di fronte a me senza particolare interesse, buttando giù l’ultimo goccio dal suo bicchiere. Rivolse a mio padre un sorriso malevolo. Mi sentii avvampare le orecchie, così lanciai delle occhiate perplesse a mio padre, in cerca di aiuto. Di sicuro, mio padre non doveva averlo sentito, perché sembrava si fosse fatto scivolare addosso il commento.

«Cristo santo!» esclamò, arrossendo, la donna seduta accanto al maleducato. Ma lui la zittì con un cenno della mano.

«Siamo tra amici. Nessuno lo farebbe trapelare.»

Trapelare? Ma chi cavolo era questo qui?

Bevvi un sorso del mio drink per ritrovare il coraggio. «C’è anche altro a cui mi dedico, ovviamente.»

«Prego, ci dica pure» mi schernì con finta ammirazione. Il nostro lato del tavolo ammutolì. Era un silenzio spiacevole, di quelli che anticipavano un imminente momento di estrema umiliazione.

«Adoro gli enti di beneficenza…»

«Questa non è una vera attività. Che cosa fa veramente?»

I verbi, Francesca. Pensa in verbi.

«Vado a cavallo, amo il giardinaggio. Suono il pianoforte, e… ah! Esco a fare shopping ogni volta che mi serve qualcosa.» Stavo peggiorando la situazione, e ne ero consapevole. Quell’uomo, però, non mi avrebbe permesso di sviare l’argomento di questa conversazione e nessuno si era inserito in mio aiuto.

«Questi sono passatempi e lussi. Quale contributo fornisce alla società, signorina Rossi, a parte sostenere l’economia degli Stati Uniti acquistando abbastanza abiti da vestire tutto il Nord America?»

Delle posate tintinnarono contro le raffinate porcellane. Una donna boccheggiò. Ciò che rimaneva del chiacchiericcio cessò del tutto.

«Basta così» sibilò mio padre, la voce gelida e uno sguardo letale. Mi sfuggì una smorfia imbarazzata, invece l’uomo con la maschera rimase assolutamente composto, fiero nella sua postura e, semmai, allegramente divertito dalla piega presa dalla conversazione.

«Concordo, Arthur. Penso di aver appreso tutto quello che c’è da sapere su sua figlia. E nel giro di pochi secondi, per giunta.»

«Ha dimenticato a casa i suoi doveri pubblici e politici, oltre alle buone maniere?» rimarcò mio padre, come sempre ben educato.

L’uomo gli scoccò un sorriso rapace. «Tutto il contrario, signor Rossi. Penso di tenerli a mente molto chiaramente, con vostro futuro rammarico.»

Preston Bishop e sua moglie calmierarono quella catastrofe rivolgendomi altre domande sulla mia istruzione in Europa, sulle mie esibizioni pianistiche e sulla materia che desideravo studiare (botanica, ma non fui così stupida da chiarire che, nel mio destino, l’università non era prevista).

I miei genitori sorrisero davanti al mio modo impeccabile di condurre la conversazione, e persino la donna accanto a quel rude sconosciuto si unì, esitante, e ci raccontò del viaggio in Europa intrapreso durante il suo anno sabbatico. Era una giornalista e aveva girato tutto il mondo. A prescindere dalla gentilezza che tutti dimostrarono nei miei confronti però, non riuscivo a scrollarmi di dosso la terribile umiliazione che mi aveva impartito la lingua affilata del cavaliere della donna, il quale, tra l’altro, era tornato a studiare il fondo del suo bicchiere rabboccato di fresco con un’espressione che trasudava noia.

Presi in considerazione l’idea di fargli notare che non era di un altro drink che aveva bisogno ma piuttosto dell’aiuto di un professionista, che avrebbe fatto miracoli su di lui. Dopo la cena, fu la volta del ballo. Tutte le partecipanti disponevano di un carnet, in cui erano trascritti i nomi degli uomini che avevano presentato un’offerta riservata. Tutto il ricavato sarebbe stato devoluto in beneficenza.

Passai a controllare il mio sul tableau dove erano elencati i nomi delle dame partecipanti. Nel dare una scorsa alla lista lessi il nome di Angelo, e il mio cuore cominciò a battere all’impazzata. L’euforia però fu subito soppiantata dal terrore quando mi accorsi che il mio carnet era pieno zeppo di nomi italianeggianti e conteneva una lista molto più lunga di quelli circostanti; molto probabilmente avrei trascorso il resto della serata a ballare fino a non sentirmi più i piedi. Sarebbe stato davvero complicato baciare Angelo di nascosto.

Il mio primo ballo fu con un giudice federale. Poi, con uno scatenato playboy italoamericano di New York, il quale affermò di essersi presentato stasera solo per sincerarsi che le dicerie sulla mia bellezza fossero vere. Baciò l’orlo della mia gonna come un cavaliere medievale, dopodiché, ubriaco com’era, venne trascinato dai suoi amici di nuovo fino al tavolo. Ti supplico, non chiedere a mio padre di uscire con me! gemetti, tra me e me. Aveva l’aria di essere il genere di ricco cretino che avrebbe trasformato la mia vita in una specie di remake del Padrino. Il terzo a danzare con me fu il governatore Bishop e il quarto, Angelo. Sarebbe stato un valzer piuttosto breve, ma cercai di non lasciare che ciò raffreddasse il mio entusiasmo.

«Eccoti qui.» Il viso di Angelo s’illuminò mentre veniva incontro a me e al governatore per il nostro ballo. Lampadari di cristallo pendevano dal soffitto e dal pavimento in marmo si levava il ticchettio dei tacchi delle coppie danzanti. Angelo si inchinò a me col capo, mi prese una mano nella sua e posò l’altra all’altezza della mia vita.

«Sei bellissima. Ancora di più di due ore fa» sussurrò, e il suo alito caldo mi investì il viso in una carezza. Delle minuscole farfalle mi solleticarono il cuore con le loro ali di velluto.

«Buono a sapersi, perché non riesco a respirare dentro questo coso.» Sorrisi, e con gli occhi cercai disperatamente il suo sguardo. Sapevo che in questo momento non avrebbe potuto baciarmi, così le farfalle furono sommerse da un’ondata di panico, che le affogò nel terrore. E se non fossimo più riusciti a ritagliarci un attimo tutto per noi? A quel punto, il bigliettino sarebbe stato inutile.

Quello scrigno di legno potrà rappresentare la mia salvezza, oppure la mia fine.

«Mi piacerebbe un sacco farti la respirazione bocca a bocca semmai rimanessi senza fiato.» Mi sfiorò il viso e deglutì vistosamente. «Ma direi di cominciare da un semplice appuntamento la settimana prossima, se ti va.»

«Sì, mi va» confermai con un po’ troppa foga. Lui rise e avvicinò la fronte alla mia.

«Vuoi sapere quando?»

«Quando usciamo?» domandai come una stupida.

«Anche. Venerdì, tra parentesi. Comunque, intendevo quando ho capito che saresti stata tu, mia moglie» proseguì, senza incertezze. Io riuscii a malapena ad annuire. Avevo voglia di piangere. Sentii la sua mano che si stringeva attorno alla mia vita e allora mi accorsi che ero sul punto di perdere l’equilibrio.

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