Descrizione
Capitolo 1
Quien es?
I primi ad avvistarlo erano stati, la notte prima, alcuni comancheros radunati attorno a un fuoco acceso al limitare del deserto con arbusti e sterpaglie rintracciati sul posto, tanto per proteggersi dall’abbassamento vertiginoso della temperatura notturna e scivolare nel sonno dentro quel buon tepore, conciliati dall’acquavite e dalle chiacchiere scambiate tra loro in un castigliano mal masticato.
Avevano appena finito di contare i proventi dei loro smerci di giornata, cambiando mentalmente i dollari in pesos. C’era chi aveva da congratularsi con sé stesso quanto ai risultati raggiunti e brindava per festeggiare tutti i santi che avessero contribuito alle sue fortune. E c’era chi invece malediceva lo scarso guadagno e si consolava ricorrendo pur sempre a quel bruciabudella dal retrogusto chimico.
Subito subito, quindi, quando lo strano essere balzò tra loro, non sapevano bene se dare la colpa alle prime avvisaglie di un delirium tremens galoppante o se davvero quello che si erano ritrovati a fissare fosse un uomo in carne ossa.
Costui apparve all’improvviso, come vomitato fuori dal buio pesto che li circondava, iniziando appena al di là dei riverberi del fuoco. Il volto infiammato dai fluttuanti riflessi del falò, un colore marrone, di sangue raggrumato, a coprirlo interamente, come si trattasse di una seconda pelle, che tornava di un rosso fresco quando illuminato dalla fiamma viva.
«El chupacabra!» esclamò esterrefatto il più giovane della compagnia, segnando a dito quella strana creatura piombata in mezzo a loro all’improvviso.
«El diablo!» strillò in controcanto il più vecchio.
La causa di quel loro spavento si drizzò in piedi e cercò di rassicurarli a gesti: «Credo di essermi perso, mi hermanos», provò a comunicare loro, quasi sillabando le poche parole. «Donde esta el pueblo de Orogrande?» Comparve un sorriso d’avorio in mezzo a quella coagulazione che gli faceva da maschera.
I messicani avevano sentito dire che Lucifero parlasse correntemente qualunque idioma…
Il meno impressionabile, pur non riuscendo a nascondere una certa tremarella, si levò in piedi. Arrivava sotto il mento dello strano uomo, a occhio e croce. Il suo braccio si stese verso le tenebre, e così fece poi il suo indice. «Por ahì…» balbettò all’indirizzo dello sconosciuto che, in risposta, si scappellò con un ampio gesto. Per un attimo la lucida massa dei suoi capelli lisciati all’indietro parve prendere fuoco per via dei mille riflessi di luce che la percorrevano, durante la riverenza che accennò per congedarsi dai comancheros e sparire verso il luogo che gli era stato indicato.
I loro occhi lo seguirono, le loro bocche non fiatavano. Non ne fecero parola in giro, l’indomani, sulle piazze, nei mercati, tra i villaggi Comanche, consapevoli dello scarso credito che già normalmente il gringo come il pellerossa davano a una banda di battitori ambulanti messicani pieni sino agli occhi di “acqua di fuoco”. Figurarsi se avessero mai spifferato di quella strana visione nel cuore della notte…
Tempo una mezza giornata e il tale rifece la sua riapparizione, stavolta di fronte a un pubblico più attendibile, sebbene dalle menti non meno offuscate da fiumi di liquori scadenti di quelle dei comancheros accampati non lontano dal deserto.
Avvenne presso il saloon degli O’Kelley, nel centro di Orogrande. Anzi, a tal proposito si diceva che prima avessero piantato le fondamenta del saloon e che solo in un secondo momento, tutt’intorno a esso ci avessero costruito il paese.
Orogrande. Poco più di una cacatina di mosca su una mappa. Un posto sorto dalla notte al giorno, all’ombra di una collinetta poco più grande di una schiena di mulo, per dare ricovero a una masnada di pulciosi avventurieri abbindolati a suo tempo dalla notizia di un giacimento aurifero appena scoperto da quelle parti. Una notizia poi rivelatasi più fasulla di una moneta da tre dollari.
Gli orograndesi erano rimasti lì però, troppo pigri per spostarsi nuovamente da quello sputo di paese appena costruito. Per quanto malandato e privo di risorse ormai lo consideravano casa loro. Qualcuno era già alla seconda generazione nata lì. Piuttosto che andarsene in cerca di qualcosa di meglio avevano preferito arrangiarsi nei modi più disparati per continuare a campare in quella landa inospitale.
Il saloon degli O’Kelley era nato inizialmente come stazione di cambio, quando ancora ci passavano diligenze e Pony Express.
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