Descrizione
Alex
Pandora, Cipro
Luglio 2016
Vedo la casa all’orizzonte mentre con l’auto evito le buche, presenti sulla strada ormai da dieci anni e ogni anno sempre più profonde. Proseguo per un po’, poi fermo la macchina e guardo Pandora pensando che non è poi così bella: non somiglia un granché alle foto patinate delle case di villeggiatura che si vedono sui siti Internet delle agenzie immobiliari. Se non altro, almeno da dietro, sembra solida e austera, come ho sempre immaginato che fossero i precedenti inquilini. Costruita in pietra chiara locale e squadrata come le casette di Lego che facevo da ragazzo, si erge su un terreno arido e gessoso, coperto a perdita d’occhio di giovani viti. Tento di riconciliare la realtà della casa con l’immagine che ho in testa da dieci estati, e decido che il ricordo era attendibile.
Parcheggio l’auto e faccio il giro fino alla parte anteriore della casa. Lì vedo la terrazza, l’elemento che rende Pandora un qualcosa di straordinario, spettacolare. Mi dirigo verso la balaustra, oltre la quale il terreno inizia a declinare dolcemente. Il paesaggio è pieno di viti, strane case dall’intonaco bianco e gruppi di ulivi contorti. In lontananza una striscia di acqua turchese divide il cielo dalla terra.
Il tramonto è uno spettacolo incredibile: i raggi gialli del sole penetrano nell’azzurro trasformandolo in marrone terra. Il che è interessante, in effetti, perché ho sempre pensato che unendo giallo e blu si ottenesse il verde.
Mi volto verso la casa e, con un certo sollievo, vedo che dall’esterno Pandora sembra essere sopravvissuta all’incuria. All’ingresso principale prendo la chiave di ferro dalla tasca e apro la porta. Attraverso le stanze buie, in cui la luce non penetra a causa delle persiane sbarrate, e mi rendo conto che in questo momento non provo alcuna emozione. E forse è meglio così. Non oso lasciarmi andare, perché questo posto, forse più di qualsiasi altro, racchiude l’essenza di lei…
Mezz’ora più tardi ho finito di aprire le persiane al pianoterra e ho tolto i lenzuoli che coprono i mobili del soggiorno. Immerso nei mulinelli di polvere illuminati dalla luce del tramonto, ricordo che la prima volta che ho messo piede in questo posto ho pensato che qui tutto aveva un’aria così vecchia… Guardo le poltrone imbarcate e il divano logoro e mi chiedo se, oltre un certo limite, le cose non siano semplicemente vecchie, senza un’età ben definibile, come un nonno canuto agli occhi di un bambino piccolo.
Ovviamente l’unica cosa in questa stanza a essere cambiata completamente sono io. Lo sviluppo fisico e mentale di un essere umano si compie principalmente nei primi anni di vita, in quello che per il pianeta è solo un battito di ciglia; da bambini diventiamo adulti fatti e finiti. Dopodiché, almeno esternamente, sembriamo più o meno gli stessi per il resto della vita, diventando soltanto una versione più curva e meno attraente del nostro io più giovane, quando i geni e la gravità ci presentano il conto.
Dal punto di vista emotivo e intellettuale, invece… Be’, voglio credere che possiamo godere di alcuni bonus per controbilanciare il lento declino del nostro involucro esteriore. E il fatto che mi trovi qui a Pandora dimostra che ho ragione. Torno nell’ingresso e ridacchio al ricordo dell’“Alex” che ero quando vivevo qui. Il mio vecchio io mi strappa anche una smorfia di disappunto: tredici anni e già un gran rompiscatole egocentrico.
Apro la porta del “Ripostiglio delle Scope”, l’affettuoso nomignolo che avevo dato alla stanza in cui ho vissuto quell’afosa estate di dieci anni fa. Accendo la luce e scopro che non esageravo affatto ricordandomela minuscola: anzi, se possibile, ora mi sembra addirittura più piccola. Entro nella stanzetta con tutto il mio metro e ottantacinque, e mi chiedo se, per sdraiarmi sul letto, non debba tenere i piedi fuori dalla finestrella, come Alice nel Paese delle Meraviglie.
Alzo lo sguardo sugli scaffali alle pareti e vedo che i libri, che ho passato ore e ore a sistemare in ordine alfabetico, sono ancora tutti qui. Istintivamente ne prendo uno – Ricompense e fate di Rudyard Kipling – e lo sfoglio fino a trovare la famosa poesia, Se. Leggo per l’ennesima volta le sagge parole scritte da un padre a suo figlio, e sento gli occhi riempirsi di lacrime al ricordo del tredicenne che ero, così ansioso di trovare un padre. E che dopo averlo trovato si era reso conto di averne già uno.
Quando rimetto il libro al suo posto, vedo lì accanto un piccolo volume dalla copertina rigida. È il diario che mi aveva regalato la mamma per Natale, pochi mesi prima che venissi a Pandora per la prima volta. Ogni giorno, per sette mesi, vi avevo scritto parole dure e altisonanti. Come tutti gli adolescenti credevo che le mie idee e i miei sentimenti fossero unici e rivoluzionari, pensieri che nessun essere umano aveva ancora formulato.
Scuoto tristemente la testa e sospiro come un vecchio di fronte a tanta ingenuità. Avevo lasciato qui il diario quando eravamo tornati a casa, in Inghilterra, dopo quella lunga estate a Pandora. Ed eccolo qui, dopo dieci anni, ancora tra le mie mani. Un ricordo degli ultimi mesi di adolescenza, prima che la vita mi costringesse a diventare di colpo adulto.
Esco dalla stanza portando con me il diario e vado di sopra. Mentre vago per il corridoio buio e soffocante, tentando di scegliere in quale camera stabilirmi per il mio soggiorno qui, faccio un bel respiro e vado fino alla sua stanza. Raccolgo tutto il coraggio di cui dispongo e apro la porta. Forse è la mia immaginazione – dopo dieci anni di assenza immagino sia così – ma giurerei di venire avvolto dal profumo che lei si metteva un tempo…
Richiudo la porta con decisione. Ancora non sono in grado di aprire il Vaso di Pandora, di fare i conti con i ricordi che mi assalgono in queste stanze, perciò torno di sotto. Vedo che è calata la sera e fuori è buio pesto. Guardo l’orologio, aggiungo due ore per il fuso e mi rendo conto che qui sono già le nove: lo stomaco brontola, devo mangiare qualcosa.
Scarico i bagagli dall’auto e sistemo le provviste che ho comprato in un negozietto in paese, poi prendo pane, feta e una birra ormai calda e porto tutto fuori, in terrazza. Seduto in un silenzio totale, la cui purezza è interrotta solo dal verso di qualche cicala, sorseggio la birra e mi chiedo se sia stata davvero una buona idea arrivare un giorno prima degli altri. Forse sì: starmene solo a riflettere è una cosa in cui sono molto bravo, tanto che mi è stato pure offerto di farlo per lavoro. Se non altro questo pensiero mi fa ridere.
Per distogliere la mente prendo il diario e leggo la dedica in prima pagina.
Caro Alex, buon Natale! Prova a scrivere qualcosa con regolarità, potrebbe essere interessante rileggerlo quando sarai più grande. Con amore, M xxx
«Be’, mamma, spero che tu avessi ragione.» Sorrido tristemente, sfogliando pagine e pagine di frasi altisonanti, fino ad arrivare all’inizio di luglio. E alla luce di una lampadina nuda che pende dal pergolato sopra di me, comincio a leggere.
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