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La città dei vivi

14,75

«Tutti temiamo di vestire i panni della vittima. Viviamo nell’incubo di venire derubati, ingannati, aggrediti, calpestati. Preghiamo di non incontrare sulla nostra strada un assassino. Ma quale ostacolo emotivo dobbiamo superare per immaginare di poter essere noi, un giorno, a vestire i panni del carnefice?» “Le parole di Nicola Lagioia ci portano dentro il caso di cronaca più efferato degli ultimi anni. Un viaggio per le strade buie della città eterna, un’indagine sulla natura umana, sulla responsabilità e la colpa, sull’istinto di sopraffazione e il libero arbitrio. Su chi siamo, o chi potevamo diventare. Nel marzo 2016, in un anonimo appartamento della periferia romana, due ragazzi di buona famiglia di nome Manuel Foffo e Marco Prato seviziano per ore un ragazzo più giovane, Luca Varani, portandolo a una morte lenta e terribile. È un gesto inspiegabile, inimmaginabile anche per loro pochi giorni prima. La notizia calamita immediatamente l’attenzione, sconvolgendo nel profondo l’opinione pubblica. È la natura del delitto a sollevare le domande più inquietanti. È un caso di violenza gratuita? Gli assassini sono dei depravati? Dei cocainomani? Dei disperati? Erano davvero consapevoli di ciò che stavano facendo? Qualcuno inizia a descrivere l’omicidio come un caso di possessione. Quel che è certo è che questo gesto enorme, insensato, segna oltre i colpevoli l’intero mondo che li circonda. Nicola Lagioia segue questa storia sin dall’inizio: intervista i protagonisti della vicenda, raccoglie documenti e testimonianze, incontra i genitori di Luca Varani, intrattiene un carteggio con uno dei due colpevoli. Mettersi sulle tracce del delitto significa anche affrontare una discesa nella notte di Roma, una città invivibile eppure traboccante di vita, presa d’assalto da topi e animali selvatici, stravolta dalla corruzione, dalle droghe, ma al tempo stesso capace di far sentire libero chi ci vive come nessun altro posto al mondo. Una città che in quel momento non ha un sindaco, ma ben due papi. Da questa indagine emerge un tempo fatto di aspettative tradite, confusione sessuale, difficoltà nel diventare adulti, disuguaglianze, vuoti di identità e smarrimento. Procedendo per cerchi concentrici, Nicola Lagioia spalanca le porte delle case, interroga i padri e i figli, cercando il punto di rottura a partire dal quale tutto può succedere”.

Informazioni aggiuntive

Autore

Editore

Data di pubblicazione

20 ottobre 2020

ISBN

9788806233334

Lingua

Formato

Copertina flessibile

COD: 8806233335 Categoria: Tag: Product ID: 22086

Descrizione

Parte prima

Commensali dell’uomo

 

Roma è l’unica città mediorientale che non possiede un quartiere europeo.

(FRANCESCO SAVERIO NITTI)

Non attribuiamo i guai di Roma agli eccessi di popolazione. Quando i romani erano solo due, uno uccise l’altro.

(GIULIO ANDREOTTI)

 

Il 1° marzo del 2016, un martedì’ con poche nuvole, i cancelli del Colosseo si erano appena spalancati per consentire ai turisti di ammirare le rovine più famose del mondo. Migliaia di corpi camminavano verso le biglietterie. Chi inciampava nei sassi. Chi si alzava sulle punte per misurare la distanza dal Tempio di Venere. La città, li sopra, cucinava la rabbia nel proprio stesso traffico, negli autobus in avaria già alle nove del mattino. Gli avambracci scandivano gli insulti dai finestrini aperti. A bordo strada i vigili compilavano multe che nessuno avrebbe mai pagato.

«Seee. . . vajelo a di’ ar sindaco!» L’addetta alla biglietteria numero quattro scoppiò in una risata beffarda, provocando l’ilarità delle colleghe.

L’anziano turista olandese la guardò stupito al di là del vetro. Nel pugno brandiva i due biglietti falsi che due falsi addetti al sito archeologico gli avevano venduto poco prima. Questa, di andare a protestare dal sindaco, era tra le battute più ripetute delle ultime settimane. Nata negli uffici comunali, si era diffusa tra i tassisti e gli albergatori e i netturbini e i venditori di grattachecche a cui pure, in mancanza di una più chiara autorità, i turisti chiedevano aiuto tra gli infiniti disservizi cittadini.

L’olandese aggrottò le sopracciglia. Possibile che anche la vera autorità, quella in divisa ufficiale, lo stesse prendendo in giro? Alle spalle la folla aumentava il suo brusio.

«Il prossimo!»
Il turista olandese non si mosse.
L’addetta alla biglietteria lo stette a osservare, le si dipinse in faccia un riso freddo.

«Next one!»

Molti di quei turisti avevano trascorso la notte negli alberghi economici del rione Monti, nei bed and breakfast scalcagnati intorno a Porta Maggiore. Col naso per aria ad ammirare un angelo, si erano ritrovati faccia a terra. Inciampati in una busta di immondizia, nel palo divelto di un segnale stradale. In alto il marmo candido, per strada i topi. E i gabbiani mangiavano i topi. I male informati avevano atteso invano un autobus, ma poi si erano diretti a piedi al Colosseo. Adesso erano là. Ci sarebbe stato da arrabbiarsi per la lentezza della fila, ma la morta bellezza li soverchiava tutti: il cielo sugli archi di travertino, le colonne vecchie di duemila anni, la basilica di Massenzio. Nello splendore risuonava la minaccia, come se le potenze invisibili avessero la facoltà di trascinare chi le contrariava nel regno delle ombre. Un rischio che ai romani non faceva né caldo né freddo.

L’addetta alla biglietteria servi un altro turista. Cosi fece il collega della cabina accanto. La folla li davanti era imponente, ma avevano visto di peggio. Il Giubileo della Misericordia era iniziato male. Un flop, scrivevano i giornali ostili al papa. L’anno della remissione dei peccati, della riconciliazione, della penitenza sacramentale non attirava più pellegrini di quanti ne arrivassero per festeggiare l’anno delle libagioni, dell’anarchia impunita, dello scaricabarile.

Il vecchio turista olandese abbandonò la fila. Si incamminò verso piazza dei Cinquecento. Accanto a lui un ragazzo. Raggiunsero il livello della strada, scomparvero tra gli oleandri.

«Ahò, cos’è ‘sta puzza?», sbottò l’addetta alla biglietteria. Aveva gli occhi fissi sullo schermo, la mano governava il mouse.

Un turista cinese aspettava i suoi tagliandi.
Dopo avere dato l’ordine di stampa, l’addetta alla biglietteria si guardò la mano. Fu allora che trasali. Accanto al tappetino del mouse erano apparse due macchie rossobrune. L’addetta alla biglietteria non poté battere le palpebre che le macchie erano tre. E adesso sulla scrivania le macchie erano quattro.

«Oh Madonna!»
Il turista cinese indietreggiò. L’addetta alla biglietteria scattò in piedi spaventata, si senti invadere dalla peggiore sensazione che un abitante di questa città ritenga di poter provare: la visita di una sventura che risparmi tutti gli altri.

Guardò in alto. Le gocce cadevano dal soffitto. Allora l’addetta alla biglietteria fece ciò che tutti fanno a Roma quando il sangue gronda dalle pareti di un ufficio pubblico. Chiamò il suo superiore.

Poche ore dopo, due delle quattro biglietterie del Colosseo erano state chiuse.

«Il sangue di un topo morto», disse il soprintendente ai beni archeologici.

«Un sorcio?», fece qualcuno tra le ultime file. La folla ridacchiò.

Mercoledì 2 marzo. La conferenza stampa era stata convocata per celebrare la fine dei lavori di ristrutturazione intorno al Colosseo. Ma un cronista chiese a bruciapelo come mai due biglietterie fossero rimaste chiuse per tutto il giorno prima.

Il soprintendente fu costretto a scendere nei particolari. Un grosso topo grigio si era incastrato nel controsoffitto della biglietteria. Trafitto da una staffa, doveva essersi divincolato peggiorando la situazione. «L’operatrice in servizio si è vista colare il sangue sulla scrivania. Gli sportelli sono stati chiusi per la derattizzazione».

L’emergenza topi finì sulle prime pagine dei quotidiani. Negli ultimi tempi i roditori uscivano continuamente dalle fogne. Topi nella zona della stazione Termini. Topi in via Cavour. Topi a due passi dal Teatro dell’Opera. Attraversavano la strada incuranti del traffico. Entravano nei negozi di souvenir e spaventavano i turisti.

I giornali ricordarono che i topi a Roma erano più di sei milioni. Anche a New York e a Londra i roditori non mancavano, solo che a Roma erano diventati i re della città.

«E quello che succede dopo anni di pessima amministrazione», dichiarò un urbanista.

«Il problema è soprattutto la gestione dei rifiuti, – disse un addetto alla disinfestazione, – ricordiamoci che i topi sono commensali dell’uomo».

A Roma la gestione dei rifiuti stava vivendo una stagione tragica. La spazzatura era ovunque. Gli autocompattatori marciavano a rilento. Grandi buste d’immondizia assediavano le strade. I paramedici del Sant’Eugenio (i topi scorrazzavano anche negli ospedali) dissero alla stampa che quello era lo scandalo definitivo, lo schiaffo che avrebbe costretto la città a risvegliarsi. Lo pensavano in molti. Subito dopo, però, venivano aggrediti dal sospetto di essere loro stessi ancora addormentati. L’ala di un gabbiano gigantesco riempiva d’ombra la città. I romani si ritrovavano cosi di nuovo a ridere.

«Seee, certo. . . vajelo a di’ ar sindaco!»
La battuta riscuoteva tanto successo perché a Roma, in quel periodo, un sindaco non c’era. Il comune era commissariato. Un’indagine giudiziaria denominata Mondo di Mezzo aveva messo a soqquadro la città. Erano sotto processo assessori, consulenti, notabili, dirigenti comunali, pubblici ufficiali, faccendieri, imprenditori, criminali comuni in numero stupefacente. Rarità nella rarità: a Roma c’erano due papi.

In momenti di simile confusione succedeva che gli abitanti di Roma, fedeli a un antico uso, scrutassero il cielo in attesa di un segno. Ma anche questo – cercare tra le nuvole un codice segreto – rischiava di suonare, nel 2016, come un’operazione truffaldina.

Venerdì 4 marzo fu commesso l’omicidio.

Il giorno dopo Roma fu inondata dalla pioggia.

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