Descrizione
Capitolo 1
Bocche di Tuono
Era da poco sopraggiunto il mezzogiorno, eppure sembrava che la notte stesse per calare cupa e opprimente.
Il sole appariva come una timida macchia di luce evanescente, che faceva capolino di tanto in tanto fra gli strappi del livido sudario steso sul cielo di quel giorno.
Sospinta da un vento furioso, una grande nave beccheggiava sul mare in tempesta, circondata da uno spaventoso ribollire blu e nero e agitato al pari delle anime dell’equipaggio che la governava.
E sebbene fosse il più imponente di tutto il Regno, quel veliero a cinque alberi si rivelava adesso nient’altro che un’accozzaglia di mere assi di legno messe insieme dell’ingegno dell’uomo che s’illudeva di domare la furia perpetua delle onde.
Redoran ne percorreva pensieroso il ponte di prua.
Era un’abitudine acquisita negli ultimi cinque giorni di navigazione. Lo aiutava a distrarsi; e al contempo a riflettere. Si fermò presso il parapetto e vi appoggiò entrambi i palmi. Respirò a fondo, pensando all’ultima volta in cui aveva fissato il mare: una stella della sera e poi il bagliore della Pietra del Sussurro Mentale gli avevano fornito lo spunto per l’insperato ritrovamento di Hylenij.
Ora, fissando quel sole pallido, sperava che avvenisse di nuovo. Ma in cuor suo sapeva con certezza che stavolta ritrovare la sua compagna sarebbe stato molto più difficile.
D’improvviso dovette cancellare quei pensieri.
Il suo angoscioso rimuginare venne interrotto da un rumore di passi alle sue spalle.
Vaas Revher lo stava raggiungendo.
Redoran l’osservò mentre si avvicinava, e dovette mascherare un sorriso amaro.
L‘ammiraglio della flotta di sua Maestà che si scomodava per questo Capitano Louhyn.
Era come pensava: la cosa doveva essere davvero grossa. E salvare Hylenij questa volta avrebbe comportato non solo sforzi, ma anche una buona dose di astuzia al fine di celare gli intenti reconditi di Kolren, e ancor più per salvaguardare il segreto contenuto nella Lama Nera.
Vaas lo salutò picchiando con un breve tocco la visiera del berretto; Redoran rispose con un inchino del capo appena percettibile. Per un po’ stettero in silenzio a fissare l’invisibile rotta della nave. Poi Vaas cominciò: << Finalmente un po’ di fortuna, amico mio… >>
Con una smorfia Redoran scacciò l’entusiasmo di Vaas, ma si premurò di non farsi vedere, volgendo la faccia dall’altra parte. Fortuna…
Redoran meditò qualche attimo su quella parola.
In effetti, la Nemesi Scarlatta aveva proceduto in volo dopo l’incursione presso la biblioteca di Leksos: forse a causa del mare in burrasca di quegli ultimi giorni; forse per la fretta di raggiungere un vicino nascondiglio.
E ovviamente non era passata inosservata.
Una felice coincidenza aveva fatto sì che nella Taverna del Fuoco Fatuo a Tiopsyr, piccolo borgo del Braccio Meridionale, in cui Redoran e i suoi compagni avevano fatto sosta per recuperare le forze dopo il rapimento di Hylenij, si parlasse proprio dell’eccezionale avvistamento.
Da lì tutto era partito.
Guidato dal suo istinto di agente, Redoran aveva raggiunto il primo avamposto di guardie reali di stanza in quella regione, e da loro aveva appreso ciò che sospettava: una flotta capitanata dalla Saetta Regia stava per salpare alla ricerca della Nemesi Scarlatta. Il caso aveva voluto che la missione avesse fatto scalo in un porto non lontano. E Redoran non aveva dovuto faticare affatto per entrare a far parte dell’equipaggio d’élite. Gli era bastato esibire il tatuaggio sul collo e quello aveva garantito anche per Mohal e per i gemelli Shiinri.
Ma Redoran aveva acquistato maggior rilievo allorché aveva rivelato determinati particolari sull’aspetto, sui poteri e sull’evidente natura anomala della Nemesi Scarlatta.
Non fu un caso, dunque, che all’equipaggio della Saetta Regia fossero stati aggiunti dei maghi.
Il capitano alla guida di quell’orrore immondo dalle vele rosse agiva con spavalderia, e Redoran era convinto che la cosa avesse a che fare con l’arma di Hylenij e con l’utilizzo imperscrutabile che quell’uomo intendeva farne.
Fortuna…
Adesso la fortuna avrebbe davvero continuato ad assisterli nella prossima, imminente missione?
Riflettendo questo non aveva importanza per il messo di Kolren. Ogni cosa passava in secondo piano rispetto alla salvezza di Hylenij, e le contingenze – positive o negative che fossero – non lo avrebbero fermato.
Il capitano della Saetta Regia gli si avvicinò un po’ di più, come per annusare i pensieri che aleggiavano attorno all’agente di Kolren.
<< È un piacere avere a bordo un emissario del prestigioso Consiglio dei Maghi Superiori >>, interloquì con un sorriso di circostanza.
Allora è questa la fortuna a cui ti riferisci… tutte queste lusinghe… è sempre una questione di politica per quelli come te, non è così?
Mordendosi il labbro, Redoran valutò saggiamente di abbandonare l’acido sarcasmo che lo stava assalendo, e si decise a prendere parte a quella conversazione cui Vaas pareva non voler rinunciare.
<<È una fortuna… sì, la fortuna gira finalmente dalla nostra parte>>, ribadì Vaas come se volesse spronare il suo interlocutore a fornirgli nuovi argomenti di discussione.
L’agente di Kolren si sollevò dal parapetto e stette a braccia conserte.
<< Infatti: al fine stiamo per incontrare il Capitano Louhyn >>, soggiunse Redoran. << Ad ogni modo, Ammiraglio, mi sento di dirle che sono stato trattato da semplice marinaio fino ad ora… forse per la fretta con cui ci siamo gettati nella missione.
Fatto sta che non mi è stato detto ancora di quale crimine costui si sia macchiato secondo le leggi di Zonthar. >>
<< Insubordinazione e… diserzione. Erano anni che cercavamo quel fuorilegge >>, dichiarò seccamente Vaas, gonfiando il petto.
<< Athreon Louhyn è come quei cani che mordono la mano del padrone che li ha nutriti per anni.
Il suo temperamento è sempre stato quello del ribelle, dell’idealista fuori luogo… del traditore.
Lo conosco bene: ero suo compagno all’Accademia Navale. >>
Redoran notò un’ombra passare sul viso dell’ammiraglio Revher.
<< Louhyn ha rinnegato la Marina Zonthariana, i suoi compagni, il proprio Re e il suo credo. Lo ha fatto nel momento in cui ha disobbedito a precisi ed importanti ordini che gli erano stati impartiti. Un uomo d’onore non agisce in questo modo… >>
<< Potreste essere più specifico? A quali ordini avrebbe disobbedito Athreon Louhyn di preciso? >>, lo incalzò Redoran.
Vaas parve scurirsi ancor di più.
<< Mi dispiace, ma non posso parlarvene. Sono questioni confidenziali… mi capirete… >>
<< Sì, certo, capisco >>, soggiunse Redoran, poco convinto.
<< E di cosa si sarebbe macchiato secondo i principi di Kolren? >>, ribatté Revher.
<<Stregoneria >>, tagliò corto Redoran.
Vaas nell’udire quella parola deglutì a fatica, e si chiuse in uno strano silenzio che durò a lungo.
Vaas e Athreon erano stati compagni, amici, e poi rivali.
Erano diversi, ma curiosamente andavano d’accordo ai tempi dell’Accademia.
Vaas era quello razionale, quadrato, disciplinato e dedito all’apprendimento.
Athreon era dotato di talento, istinto e ingegno, e con sforzi piuttosto contenuti in confronto a quelli di Vaas riusciva ad ottenere gli stessi risultati. In più era orgoglioso, e al rispetto della disciplina preferiva quello per le proprie idee, anch’esse votate comunque a fini giusti e nobili.
Vaas ammirava Athreon, e al contempo nutriva gelosia per la sua indiscussa superiorità, dote che – se non ostacolata – lo avrebbe presto portato all’apice della gerarchia nella Marina di Zonthar. Il tempo e le rispettive scelte li avevano poi allontanati e resi molto distanti.
Infine, il comportamento ribelle di Athreon aveva favorito Vaas nell’ascesa alla carriera militare, ma li aveva messi l’uno di fronte all’altro come nemici.
<< Bene. Ora, se vorrete scusarmi, devo attendere alle mie mansioni. A più tardi. >>
Toccandosi ancora una volta la visiera, l’ammiraglio Vaas si congedò. Redoran lo osservò mentre si allontanava: le spalle larghe, il fisico massiccio, la folta chioma nera che sfidava i limiti del berretto. Sebbene fosse più vecchio di lui di dieci anni, Vaas era un uomo imponente e in perfetta forma. E godeva di enorme rispetto da parte di numerose alte cariche a Zonthar.
Era diventato l’uomo che sognava di essere, una figura di spicco, fiero dei propri sforzi e delle proprie scelte. Oltre alle tante medaglie che ostentava sul petto, l’orgoglio era, in effetti, ciò di cui più poteva fregiarsi.
Eppure, in quel determinato frangente, agli occhi di Redoran l’Ammiraglio Vaas Revher non era altro che un fantasma, una sagoma traslucida, una voce che gli serviva solamente per capire le mosse imminenti, dopo le quali sarebbe entrato in azione lui assieme ai propri compagni, obbedendo soltanto agli ordini che il suo cuore gli avrebbe dettato.
Athreon Louhyn fremeva, ma non c’era nulla che potesse fare. Aveva lasciato tutto nelle mani del demone. La nera creatura aveva prescritto che la donna dovesse essere preparata, e così la sua arma.
Dunque era passata più di una settimana dalla sua cattura: il rituale necessitava di tempo, e da questo non si poteva prescindere.
Il Capitano si rigirava fra le mani un corto pugnale dalla lama placcata in oro. Le sue dita provavano piacere nel saggiare la levigatezza e la squisita fattura di quel manufatto in cui bellezza e morte si fondevano così mirabilmente.
Gli fece ripensare alla spada di quella donna. Che strana arma… Un oggetto oscuro, terribile… quasi quanto la sua nave. Ma sarebbe stata davvero quella la chiave che tanto aveva atteso? Il demone che infestava il suo veliero glielo aveva assicurato più volte.
Non gli era chiaro cosa avesse esattamente in serbo quell’essere immondo, ma doveva ammettere che sino ad allora aveva mantenuto le sue promesse; anche se, ogni volta che aveva usufruito delle terribili capacità di quel mostro, Athreon era stato costretto a compromettere la sua morale, il suo futuro.
E buona parte della sua umanità. Ad ogni modo, avrebbe ottenuto potere. E con il potere avrebbe perseguito la sua vendetta.
E dopo…
Non era sicuro di cosa avrebbe fatto dopo. Non ci aveva mai pensato.
E forse non gli interessava neppure. Il suo sogno si fermava in quel punto; con la realtà avrebbe fatto i conti in un secondo momento. Dalla grande finestra ad oculo della cabina guardò il mare, tumultuoso come il suo spirito.
Le acque scure scuotevano cupamente la nave, e una fitta coltre di nebbia nascondeva l’orizzonte come a voler isolare lui e i suoi intenti dal resto del mondo. Si sentiva solo. E lo era. E da solo sarebbe rimasto alla fine, a fronteggiare i suoi fantasmi. Ma non aveva paura. Ripensò al suo passato, come spesso gli succedeva in quegli ultimi anni. Era stata la paura a farlo agire così sin dal principio.
La paura….
Ripensò al volto di Hylenij, alla paura che contorceva quel bel viso, al senso d’impotenza e di frustrazione che tempo prima aveva provato anche lui.
Si alzò di scatto dalla sua poltrona.
Doveva rivederla.
Hylenij sollevò con sforzo la testa e guardò con ansia la Lama Nera che stava di fronte a lei.
Gli scarsi e flebili raggi di luce che penetravano dalla soglia della porta chiusa donavano al cristallo riflessi sinistri. E la spada se ne stava immobile, in equilibrio sulla punta. Da quella innaturale posizione, Hylenij aveva capito che il demone stava già esercitando il suo potere sull’artefatto.
La donna strizzò poi gli occhi, e si accorse che sul pavimento di assi nere – tra la spada posta nel centro di un pentacolo e il suo corpo sospeso su un basso piedistallo e costretto da legacci ai polsi e alle caviglie – serpeggiava una larga traccia di sangue che li congiungeva.
Il demone aveva capito che per mantenere la Lama Nera nella sua forma perfetta e originaria era necessario il contatto fra essa e la sua utilizzatrice. E aveva escogitato quel macabro stratagemma per tenere le due cose lontane e vicine allo stesso tempo.
Era tutto chiaro nella sua mente perversa. Una volta che la forza vitale di Hylenij fosse completamente fluita all’interno del cristallo nero per mezzo del suo sangue, la spada avrebbe raggiunto il suo massimo potenziale.
E il frutto celato in essa sarebbe stato più succoso. Hylenij aveva percepito chiaramente la perversa eccitazione che faceva fremere quel subdolo abominio: il nero demone dagli occhi rossi avrebbe presto divorato l’anima di suo figlio, del suo innocente bambino. Quel mostro aveva intuito la vera natura dell’arma di Hylenij, e ne avrebbe tratto l’essenza nel modo più crudele. Ma intanto stava giocando con lei.
Non aveva fretta.
Sapeva che a quel punto tutto era nelle sue mani, e che peraltro il suo potere sarebbe stato a breve accresciuto enormemente.
E allora perché non intrattenersi nel frattempo?
Magari usando lei come antipasto…
L’orrida creatura, che somigliava ad una fanciulla dalla pelle di pece e dagli occhi color rubino, era lì di fronte alla duchessa guerriera; passava con piacere crescente l’affilato artiglio nero sulla sua guancia.
Poi esercitò una leggera pressione, ed una goccia vermiglia stillò dalla carne pallida di Hylenij.
Il demone fece per assaggiare quel raro nettare, ma d’improvviso qualcosa la interruppe. Un essere d’ombra, nero quasi quanto la sua pelle, comparve emergendo dalle tenebre, la scagliò lontano e le intimò di desistere dal suo scopo insano. Hylenij guardò quell’apparizione con raccapriccio.
Chi era quel fantasma oscuro? Perché stava agendo in quel modo? Perché la stava difendendo?
E soprattutto, perché provava un così profondo e istintivo terrore nel vederlo? Il demone della nave si era appena risollevato dopo il tremendo scontro con il suo avversario. Il fantasma nero era forte, più forte della fanciulla demoniaca. E stava prevalendo su di lei. Ora quest’ultima digrignava i denti a spillo, e quelli che dovevano essere i suoi muscoli parevano vibrare per la rabbia che la pervadeva completamente.
<< Quest’anima è mia. Il suo potere sarà mio! Tu non interferirai. Non potrai fermarmi! >>, sibilò al suo parallelo di tenebra.
<< Riuscirò a distruggerti prima che… >>
<< Non hai più tempo >>, sentenziò il fantasma d’ombra, mentre lentamente indietreggiava, esibendo un sorriso diabolico. << Tra poco colerai a picco assieme a questo groviglio di legno marcio. >>
Redoran meditò che fosse il caso di rivedere il prossimo piano d’azione nei dettagli, dunque si recò nella grande cabina riservata a lui e a suoi compagni. L’idea di fondo era quella di usare la propria autorità in qualità di agente di Kolren.
Aveva raccontato a Vaas Revher che durante le scorrerie della Nemesi Scarlatta erano stati rubati dei pericolosi artefatti stregati. La cosa era poi stata riferita a Kolren, che aveva inviato per l’appunto Redoran (assieme a Mohal e ai due gemelli Shiinri, che lui aveva fatto passare per la sua squadra) al fine di investigare. Sospirò; mentire non apparteneva al suo carattere. Ma riflettendo meglio, ciò che aveva dichiarato era vero almeno in parte, se considerava il furto della Lama Nera.
Poi però c’era l’altra parte, quella più delicata ed importante: Hylenij. La sua mente era completamente avvolta da quelle riflessioni, perciò quando aprì la porta e guardò all’interno della cabina per poco non sobbalzò a causa della sorpresa.
Vi era un ampio cerchio di corte candele accese che segnava una sorta di arena.
Al centro dell’arena c’erano Thouriel e Yoren legati fra loro da una corda che collegava le loro vite.
Con la maestria della loro tecnica di lotta corpo a corpo si scambiavano e paravano calci e pugni; talvolta uno dei due usava qualcuno dei curiosi coltelli a doppia lama che la loro etnia Shiinri aveva ideato, e prontamente ne derivavano scintille che riempivano la stanza di bagliori argentei. Lo spettacolo aveva ipnotizzato Redoran tanto da fargli scordare di chiudere la porta, quando una voce grave e severa lo riscosse bruscamente.
<< Spiegamela questa, ragazzo! >>, disse Mohal quasi urlando per sovrastare il baccano che facevano i gemelli.
L’Onigir se ne stava seduto sul pavimento di assi di quercia, le gambe incrociate, le braccia conserte, e guardava accigliato i gemelli che volteggiavano agilmente davanti ai loro occhi.
Redoran non si era nemmeno accorto di lui. Accennò un sorriso e, dopo aver richiuso l’uscio, si sedette a terra con l’amico.
<< Che cosa vuoi che ti dica? Li conosciamo ormai. È logico che si annoiassero. >>
<< Ma serviva davvero tutta questa pagliacciata? >>, ribatté Mohal ancor più seccato.
Thouriel tagliò di colpo la corda che lo legava al fratello, e con una capriola fu davanti ai due spettatori.
<< Servivano per farci luce! >>, protestò ad alta voce, guardando Mohal con sfida.
<< Nonostante sia giorno non si vede un accidente! E poi chi avesse ceduto ed indietreggiato, avrebbe rotto il cerchio e spento qualche candela: e così avrebbe perso! >>
<< Beh, anche a me pare alquanto ingegnoso… e suggestivo >>, disse Redoran in difesa dei due Shiinri, aggiungendo un sorriso sornione.
Mohal sbuffò: << Dovevo essere più specifico, a quanto pare. Intendevo dire: spiegami perché questi due sono ancora fra i piedi. >>
<< La parola giuramento ti dice niente, bestione? >>, inveì Thouriel. Mohal fece per alzarsi sbuffando minacciosamente dalle narici.
Ma Redoran intervenne prima: << E la parola rispetto a te dice niente, Thouriel? >> Il gemello abbassò di poco lo sguardo e finalmente stette zitto.
<< Perdonate mio fratello per i suoi modi, ma ha ragione >>, intervenne Yoren.
<< Noi abbiamo giurato a Hylenij di rimanere al suo servizio, e questo include ovviamente salvaguardare la sua vita. E adesso la sua vita è in pericolo… non è cosi, signor Redoran? >>, soggiunse il giovane mercenario con timidezza.
A quelle parole Redoran si rabbuiò.
Tacque, come se rispondere gli costasse troppo.
Poi, improvvisamente, tutti e quattro udirono un gran pestare di piedi, voci di comando che si accavallavano, e subito dopo una specie di assordante boato giunse dal ponte di coperta.
<< Ci siamo! >>, esclamò Redoran.
Si alzò di scatto e si fiondò fuori dalla cabina, immediatamente animato da una forza che pareva essere stata serbata fino a quel momento.
Louhyn perse di colpo l’equilibrio e sbatté con la spalla contro la parete lignea del corridoio.
Aveva sentito ciò che somigliava a un tuono, e in un primo momento l’aveva attribuito ad una tempesta in arrivo. La nebbia e le nuvole cupe ne erano un evidente preludio. Ma cos’era stato quell’urto che aveva fatto chinare la nave di lato con tanta forza?
L’istinto gli suggerì di sveltire il passo. Un altro boato, a cui seguì un altro colpo contro la nave. Athreon iniziò a correre, inciampando numerose volte. Spalancò la cabina che aveva riservato al demone e scoprì il raccapricciante tempio insano improvvisato dal perfido essere. Ma non ebbe il tempo di provare disgusto, che un altro tuono più intenso fece inclinare nuovamente la nave, questa volta in maniera più violenta.
Poi vide la sua nera aiutante a terra, che si sosteneva sulle mani artigliate. <<Arezhiel, che succede? >> Si sorprese a pronunciare quel nome e quasi subito si pentì che gli fosse sfuggito. Gli sembrava fosse passata un’eternità dall’ultima volta in cui era uscito dalle sue labbra. Da quando lei glielo aveva rivelato, Athreon lo aveva relegato in un angolo recondito della sua memoria, ed era stato attento a non usarlo mai.
Mentre le assi nere ancora gemevano sinistramente, un altro tremendo rombo investì la nave, ma fu ben più forte dei precedenti; Athreon ed il corpo stremato di Arezhiel rotolarono sul legno e quasi arrivarono a toccarsi, mentre Hylenij oscillava sul piedistallo trattenuta dai legacci.
Il Capitano si rialzò prontamente come per scongiurare il contatto con quella ripugnante presenza, quindi sbottò allarmato.
<< Dunque? Che significa tutto questo? >>
<< Piacerebbe capirlo anche me! >>, rispose lei con sdegno.
Arezhiel fece appena in tempo a voltare i suoi occhi rossi, che lo spettro oscuro scomparve nell’ombra così come era venuto.
La fanciulla demoniaca ringhiò, ma realizzò che oramai non aveva più tempo per il suo misterioso avversario, né per riflettere sugli scopi che avevano portato il fantasma fino a lei. Aveva capito che qualcosa stava accadendo alla nave. Lo sentiva come se quei colpi tonanti fossero inferti alla sua stessa carne nera.
<< Tienila d’occhio! >>, ordinò con rabbia. << Vado a vedere che diamine sta accadendo! >>
Così dicendo si liquefece e calò nelle assi della nave sparendo in cerca di ciò che stava minacciando i suoi folli intenti.
Il Capitano della Nemesi Scarlatta rimase solo con quella che era, in effetti, anche la sua vittima.
C’era un silenzio opprimente, insopportabile. Athreon sentiva di essere osservato; si voltò lentamente come se avesse paura di guardarla.
Poi si fece forza, si impose di guardare.
Ed incontrò gli occhi di Hylenij Veen Daer Aesjndil.
Redoran aveva corso fino alla prua, seguito da Mohal e dai gemelli. Non ebbe neppure il tempo di recuperare il fiato che imprecò a denti stretti. C’era un autentico caos sul ponte di coperta della Saetta Regia, un caos che nondimeno obbediva ad una precisa organizzazione; decine di marinai si precipitavano ad eseguire i propri compiti, come diligenti formiche operaie.
E da quel lavorio febbrile Redoran capì che la flotta reale aveva avvistato l’obiettivo. Fu dunque inizialmente difficoltoso identificarlo tra le numerose sagome che saettavano convulsamente dinanzi agli occhi; ma finalmente ecco Vaas Revher apparire tra due ali di fedeli sottoposti, che con lui discutevano circa le imminenti prossime mosse.
<< Capitano, che cosa succede? >> Vaas Revher sollevò appena lo sguardo mentre ancora bisbigliava il suo parere ad un suo attendente.
Poi prese un profondo respiro, e con un evidente atteggiamento sbrigativo concesse a Redoran qualche parola.
<< Abbiamo avvistato la Nemesi Scarlatta >>, dichiarò l’Ammiraglio.
<< Stiamo provvedendo a sferrare un attacco preventivo. >>
<< Ha a che fare con quel fracasso che abbiamo sentito poco fa? >>, interloquì Mohal.
<< Permettete che sia io ad avere il piacere di rivelare ai nostri illustri amici i dettagli, mio signore >>, disse una voce dal tono lascivo alle spalle del maestro armaiolo.
L’omino dal viso smunto coi baffi filiformi e le mani scheletriche, completamente avvolto in una veste di un verde brillante e intessuta di fili d’oro che gli copriva perfino il collo e le caviglie, era Kodrior Vril, uno dei più talentuosi incantatori al servizio del re.
<< Sono entrate in azione le nostre Bocche di Tuono, un’arma prodotta dal mio modesto lavoro e adoperata dalla forza di questo equipaggio straordinario. >> Il suo minuscolo indice guidò l’attenzione su qualcosa di somigliante a grossi cilindri di legno, coperti da una membrana verde-bruno e adagiati su una serie di supporti che si estendeva su una larga parte del parapetto destro della Saetta Regia.
<< Tamburi? >>, azzardò Thouriel.
Kodrior emise una risatina talmente stridula da somigliare ad uno squittìo.
<< Oh no, no! È quel che sembrano forse… ma sono ben altro, ve lo assicuro. >>
L’incantatore li fece avvicinare ad uno degli artefatti.
Poggiava su un piedistallo di bronzo al quale si accedeva tramite una corta scalinata di legno. Era grosso il triplo rispetto ad una capiente botte ed in effetti ad una botte assomigliava, sebbene fosse oblungo e rastremato verso la bocca che sporgeva dal parapetto dalla nave.
Il legno che lo componeva era scuro e perfettamente levigato; le sezioni che formavano il corpo dell’oggetto combaciavano perfettamente, poiché tagliate con una precisione geometrica ed accostate con maestria tale da non creare alcuna fessura fra gli elementi. La superficie lignea era inoltre tenuta insieme da borchie e chiodi di ottone lucente, che concedevano un tocco artistico alla severa sagoma, essendo rappresentati in essi minuscole facce mostruose o arabeschi.
La membrana che ricopriva il bordo circolare sul retro dell’oggetto ricordava la pelle di un serpente o di una lucertola; aveva un brillante colore dorato ed era percorsa da scaglie robuste e tutte ancora perfettamente attaccate.
L’estremità più stretta era poi mascherata da una faccia mostruosa fatta di bronzo e messa lì scenograficamente per far sembrare che il tuono uscisse dalla spaventosa bocca spalancata.
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