Descrizione
1
Martha aveva sistemato con scrupolosa cura la scultura di legno in una grande scatola. Il suo amico Tom le aveva portato della pagliuzza artificiale, quella che avvolge ogni piccola sporgenza, ogni punto vulnerabile di un oggetto che deve essere trasportato e arrivare a destinazione senza aver subìto il minimo danno.
Un materiale leggero, quasi impalpabile, ma capace di neutralizzare le conseguenze del più piccolo urto.
Martha aveva messo nella scatola anche la lettera scritta il giorno prima.
Dopo aver sigillato con nastro adesivo il pacco, vi aveva incollato un foglio su cui aveva scritto l’indirizzo.
Il pacco era destinato a sua nonna Lyza, che lei avrebbe poi raggiunto il mese successivo.
«Grazie Tom, sei stato molto gentile ad aiutarmi… ora possiamo spedirlo.»
Era un caldo pomeriggio di inizio settembre e i due giovani erano nella casetta del giardino. Martha, leggermente scarmigliata, girava intorno al grande pacco, con le mani sui fianchi. Sul viso la tipica espressione incredula, stupita, di chi non riesce a godere pienamente della bella cosa che gli è successa per il semplice motivo che è impossibile che tutto ciò sia veramente accaduto!
«Chissà come sarà felice mia nonna» ripeteva Martha «Vorrei essere presente quando aprirà questo pacco!»
Sorrideva, guardava il suo amico e gli occhi le brillavano di gioia.
«A tua nonna non avresti potuto fare un regalo più prezioso. Davvero un colpo di fortuna, insperato… se ci penso… è pazzesco!» aveva sottolineato Tom.
Anche Tom non riusciva a credere a quanto era successo. “Questa Martha mi ha stravolto l’estate, non sono mai stato tanto coinvolto… io non sono abituato a un ritmo così veloce, è quasi un vortice” pensava il giovane.
«Lo spediremo domani mattina. Ora rientriamo e ci mettiamo in ordine. Facciamo due passi?» mentre faceva questa proposta Martha si era avviata alla casa. Tom l’aveva seguita e spiacente le aveva risposto: «Di pomeriggio Venezia è splendida, ma io non posso accompagnarti… purtroppo devo studiare».
2
Martha aveva da poco compiuto diciotto anni e viveva a New York. Per il suo compleanno e per la maturità conseguita aveva ricevuto come regalo dai genitori un viaggio-vacanza dalla nonna con una lunga tappa (più di un mese) a Venezia.
A Venezia alloggiava in una casa con giardino, lasciata molti anni addietro da Mrs. Giuditta, cugina di una sua bisnonna, ai parenti americani.
La casa e il giardino erano custoditi dai genitori di Tom, Bèrto e Rosetta. Avevano imposto quel nome al loro unico figlio in ricordo di un caro amico, un pittore.
Martha era una ragazza minuta, con capelli lunghi, ricci, scuri e ribelli. Quando sorrideva, e succedeva spesso, mostrava denti perfetti.
Il naso un po’ a patata non era bello, ma nessuno lo notava perché lei riusciva a distrarre con la sua loquacità e la sua vivacità i suoi interlocutori.
Aveva fatto subito amicizia con Tom e i due giovani trascorrevano molto tempo insieme.
«Mi piacerebbe, anzi penso che lo farò, frequentare Ca’ Foscari. Mi piace Venezia, la sua dimensione… io amo le lingue classiche e sono convinta che in questa università prestigiosa potrei avere un’ottima preparazione» aveva confidato Martha un pomeriggio a Tom, mentre erano in campo Santa Margherita.
«Poi cosa vorresti fare?» le aveva chiesto il ragazzo.
«Vorrei insegnare queste lingue, in America sono molto apprezzate… molti vogliono studiarle – e dopo una breve pausa – la mia amica Julia invece è attratta dalle materie artistiche…
3
Alvise aveva sessantadue anni. Era una persona semplice, serena, con un invidiabile atteggiamento positivo verso la vita. Era cugino di Bèrto ed essendo entrambi figli unici erano cresciuti affettivamente fratelli.
Coltivava il suo orto, come l’aveva coltivato suo padre e viveva da solo nella stessa casa ai bordi della laguna dell’isola di Sant’Erasmo.
Non amava viaggiare: «La laguna è un mondo che se anche campassi duecento anni non riuscirei a conoscerlo tutto. Quello che io vedo agli altri sembra sempre uguale, invece non c’è niente di uguale…» questo diceva a Tom mentre gli faceva notare barene, pesci, telline, granchi, uccelli migratori. Conosceva anche i suoi gabbiani e sapeva individuare velocemente gli intrusi.
Alvise aveva una vecchia barca a remi, la Penelope, alla quale, dopo molti anni, aveva messo il motore per arrivare più velocemente nel mezzo della laguna. A quel punto spegneva il motore e per muoversi in silenzio e lentamente usava i remi.
«Non dobbiamo spaventare i pesci e nemmeno gli uccelli… ascoltiamo la laguna…» ripeteva a Tom con fermezza. Tom ascoltava, guardava e con il tempo l’attrazione, la passione per quelle basse acque e per i suoi abitanti erano nate e cresciute nel suo animo.
«Ma non hai paura di perderti, di non riuscire più a tornare a casa?» più di una volta Tom gli aveva fatto questa domanda esprimendo i suoi timori.
Questo quando le giornate nebbiose non permettevano di vedere il lontano profilo del campanile di San Marco.
«Non temere conosco bene ogni orizzonte.»
«Ma le barene si muovono! Come facciamo a tornare?»
Il vecchio Alvise, tranquillo e sorridente rispondeva: «Sei un gran fifone, ma imparerai…».
«Ma oggi c’è nebbia!»
«Non preoccuparti, riconosco il suono di ogni campanile e come un faro mi indica la strada» la sicurezza di Alvise rincuorava il bambino.
«Prova a remare… vai laggiù… sono passati già tre giorni e forse nella rete è entrato qualcosa.»
Tom, con fatica e impegno, aveva remato «Sì, è proprio dove tu hai detto… ci sono dentro dei pesci!».
4
Con il tempo Tom era diventato un ragazzo forte e Alvise gli cedeva con fiducia i remi. Fra i due c’erano spesso pause di silenzio, che avevano come sottofondo il lento e ritmato sciabordio dei remi che con delicatezza entravano nell’acqua.
“I remi accarezzano l’acqua… come una mamma accarezza un bambino… come mia madre…” rifletteva Tom.
Ora Tom sapeva portare la barca con sicurezza. I suoi muscoli erano forti e i remi stretti dalle sue mani robuste erano come cavalli ormai domati dal loro padrone.
Erano arrivati i diciotto anni e per l’occasione Alvise gli aveva regalato la sua vecchia Penelope.
«Io non la uso più, la Salute – la sua nuova barca – è più grande, ha un buon motore e tu adesso sei in grado di andare in laguna da solo.»
Alvise sorrideva, ma era emozionato quanto il ragazzo.
«La mia vecchia Penelope…» e accarezzava il bordo ruvido e malconcio del vecchio sedile.
Mentre gli porgeva i remi, guardandolo da uomo a uomo «Ricordati di portarli sempre a casa, come lo scalmo e il motore, se non vuoi ritrovarti senza barca!».
«Sì lo so, lo so» gli aveva risposto serio Tom, mentre abbracciava quei remi come un prezioso giocattolo. “Mi sembra impossibile… una barca tutta mia!”
Tom aveva prontamente spinto in acqua la Penelope e con un veloce e agile balzo vi era saltato dentro.
«La porto subito a casa» e aveva acceso il motore. «Aspetta, ti seguo… se il motore si dovesse inceppare ti trascinerò con la Salute» aveva replicato Alvise e ne aveva acceso il motore. «Rio San Giovanni è molto lontano, non ce la faresti con solo i remi.» Tom non aveva fatto obiezioni. Aveva capito che Alvise non accompagnava solo lui, ma soprattutto accompagnava la sua vecchia Penelope.
Per Alvise non sarebbe stato facile, dopo tanti anni, svegliarsi e non vederla più attraccata al solito posto.
I due erano partiti insieme, diretti a Rio San Giovanni.
«Una barca tutta mia!» andava ripetendo incredulo Tom, con gioia e con fierezza.
La barca l’aveva poi portata in giardino, vicino alla casetta e per più di due mesi era stata oggetto delle sue attenzioni e delle sue cure. Giorno dopo giorno la considerava sempre più bella. Tutta ridipinta, la vecchia Penelope per Tom ora era splendida come può esserlo una ragazza con un vestito nuovo dai colori sgargianti.
«Finalmente ho finito! È stupenda!» aveva detto a voce alta Tom quel giorno.
Aveva aperto le braccia come chi è finalmente arrivato in un posto incantevole e vorrebbe abbracciare tutto quello che solo gli occhi riescono ad abbracciare.
«Era estate e Tom aveva usato la barca tutte le volte che gli era stato possibile farlo.
Quando il tempo a disposizione era poco faceva brevi tragitti nei rii vicini ma, alcune volte, era rimasto fuori tutta la giornata.
In compagnia di un amico, studente in lingue orientali, un giorno era arrivato a San Lazzaro degli Armeni.
«Che silenzio! Un posto che invita alla riflessione… questi antichi testi sono preziosi come reliquie!» aveva esclamato l’amico.
«Un ambiente quasi mistico» aveva osservato Tom.
Senza rendersene conto, i due giovani parlavano sottovoce.
Un altro pomeriggio Tom l’aveva trascorso a San Michele, un luogo che suscita la tristezza, lo sconforto dei normali camposanti. Se in città i monumenti testimoniano le ricchezze e il prestigio perduti, a San Michele le tombe dei nobili veneziani e degli artisti più famosi, nella loro decadenza, testimoniano la caducità delle cose e infondono una malinconica dolce nostalgia.
Erano passate due estati da quel giorno che Tom aveva ricevuto in regalo la Penelope e di giornate a spingere i remi ne aveva trascorse molte.
Alvise era sempre il suo compagno preferito e rimaneva sempre un maestro insostituibile.
Ogni volta che uscivano insieme, Tom imparava qualcosa o scopriva nuovi angoli della laguna, e riprovava quella indescrivibile sensazione della gioia della scoperta di nuovi mondi. La gioia che appaga tanta fatica e stimola e invoglia ad andare oltre.
Spesso Tom portava un album di fogli bianchi, matite, carboncini e una tavola di legno. Quando l’acqua lagunare era piatta, ferma e non c’era vento, fermava la barca e iniziava a disegnare chiese, palazzi e camini.
«Non c’è modo migliore per studiare l’architettura» diceva ai genitori «A Venezia ci sono tutti gli stili.
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