Descrizione
Jesse Rosenberg
Lunedì 23 giugno
33 giorni prima dell’inaugurazione del XXI Festival Teatrale di Orphea
La prima e ultima volta che vidi Stephanie Mailer fu quando s’imbucò nel piccolo ricevimento organizzato in occasione del mio congedo dalla polizia di stato di New York.
Una folla di agenti di tutte le squadre si era riunita, sotto il sole di mezzogiorno, di fronte al palco di legno che veniva montato per le grandi occasioni nel parcheggio della centrale regionale della polizia di stato. Accanto a me, sulla pedana, c’era il maggiore McKenna, che mi aveva seguito e guidato per tutta la carriera e che adesso stava tessendo le mie lodi.
“Jesse Rosenberg è un capitano di polizia ancora giovane, ma ha chiaramente una gran voglia di andarsene,” disse il maggiore, suscitando le risate degli astanti. “Non avrei mai pensato che se ne andasse prima di me. La vita è proprio sconclusionata: tutti vorrebbero che fossi io ad andarmene, eppure sono sempre qui, e tutti vorrebbero che Jesse restasse, eppure lui se ne va.”
Avevo quarantacinque anni e lasciavo la polizia felice e contento. Dopo ventitré anni di servizio avevo deciso di approfittare della pensione cui ormai avevo diritto per realizzare un progetto che mi stava a cuore da tempo. Avevo ancora una settimana di lavoro, fino al 30 giugno. Dopodiché sarebbe iniziato un nuovo capitolo della mia vita.
“Ricordo il primo caso importante di Jesse,” continuò il maggiore. “Si trattava di un terribile quadruplice omicidio, e lui lo risolse nonostante nella sua squadra nessuno lo ritenesse capace di farlo. Era ancora un giovane poliziotto alle prime armi, ma da quel momento tutti hanno capito di che stoffa era fatto. Chiunque l’abbia frequentato sa che è stato un impareggiabile segugio, e credo di poter affermare che è stato il migliore tra noi. L’abbiamo ribattezzato ‘Capitano 100%’ per avere risolto tutte le indagini cui ha partecipato, e questo fa di lui un investigatore davvero unico. Poliziotto decorato, ammirato dai colleghi, consultato per la sua esperienza e istruttore dell’accademia per diversi anni… Làsciatelo dire, Jesse: è da vent’anni che siamo tutti gelosi di te!”
Il pubblico scoppiò a ridere ancora una volta.
“Non abbiamo ben capito quale sia il progetto che ti aspetta, Jesse, ma ti auguriamo buona fortuna per questa tua nuova impresa. Sappi che ci mancherai: mancherai ai tuoi colleghi, ma soprattutto alle loro mogli, che alle feste della polizia ti mangiavano con gli occhi.”
Il discorso si concluse con un uragano di applausi. Dopo avere ricevuto l’abbraccio caloroso del maggiore, scesi dalla pedana per salutare tutti quelli che mi avevano onorato con la propria presenza prima che si precipitassero al buffet.
Poi, trovandomi momentaneamente solo, fui avvicinato da una donna molto graziosa sulla trentina, che mi sembrava di non avere mai visto.
“È lei il famoso Capitano 100%?” mi chiese in tono ammiccante.
“Pare proprio di sì,” risposi, sorridendo. “Ci conosciamo?”
“No. Mi chiamo Stephanie Mailer,” disse. “Sono una giornalista dell’‘Orphea Chronicle’.”
Ci stringemmo la mano, poi lei mi chiese:
“Le dispiace se la chiamo ‘Capitano 99%’?”
Aggrottai la fronte.
“Sta forse insinuando che non abbia risolto una delle mie indagini?”
Per tutta risposta, Stephanie tirò fuori dalla borsa la fotocopia di un articolo dell’“Orphea Chronicle” del 1° agosto 1994 e me la porse:
QUADRUPLICE OMICIDIO A ORPHEA:
IL SINDACO E LA SUA FAMIGLIA ASSASSINATI
Sabato sera il sindaco di Orphea, Joseph Gordon, sua moglie e il figlio di 10 anni sono stati trucidati nella loro casa. La quarta vittima è Meghan Padalin, di 32 anni. Quest’ultima, che al momento dei fatti stava facendo jogging, deve avere assistito per caso alla scena ed è stata freddata in piena strada, davanti alla casa del sindaco.
A corredo dell’articolo c’era una foto che ritraeva me e il mio compagno di squadra dell’epoca, Derek Scott, sul luogo del delitto.
“Dove vuole andare a parare?” le chiesi.
“Lei non ha risolto quel caso, capitano.”
“Ma che sta dicendo?”
“Nel 1994 ha sbagliato colpevole. Mi sembrava giusto che lo sapesse prima di lasciare il corpo.”
Per un istante pensai a uno scherzo di cattivo gusto dei miei colleghi, ma poi capii che non era così. Stephanie era serissima.
“Sta forse conducendo una sua indagine personale?” le chiesi.
“Più o meno, capitano.”
“Più o meno?” ripetei, infastidito da quella frase enigmatica. “Dovrà essere più chiara, se vuole che le creda.”
“Le ho detto la verità, capitano. Ho appuntamento con una persona che dovrebbe fornirmi una prova inconfutabile.”
“Chi è questa persona?”
“Capitano,” disse lei in tono divertito, “non sono una principiante. È uno scoop che nessun giornalista rischierebbe mai di perdere. Prometto che la informerò delle mie scoperte appena sarà il momento. Nel frattempo devo chiederle un favore: consentirmi l’accesso al fascicolo della polizia di stato.”
“Se lei questo lo chiama favore, io lo chiamo ricatto!” replicai. “Cominci col dirmi quello che sa. Le sue affermazioni sono molto gravi.”
“Ne sono consapevole, capitano Rosenberg. E proprio per questo non intendo farmi fregare dalla polizia di stato.”
“Le ricordo che ha il dovere di condividere con la polizia tutte le informazioni rilevanti in suo possesso. Lo prevede la legge. Potrei anche venire a perquisire il suo giornale.”
Stephanie sembrò delusa dalla mia reazione pragmatica e poco conciliante.
“Peggio per lei, Capitano 99%,” disse. “Pensavo che potesse interessarle, ma evidentemente sta già pensando alla pensione e a quel progetto di cui parlava il maggiore nel suo discorso. Di che si tratta? Restaurare una vecchia barca?”
“Non sono affari suoi,” risposi seccamente.
Stephanie scrollò le spalle e fece per allontanarsi. Ero sicuro che stesse bluffando, e in effetti si fermò dopo pochi passi e si voltò verso di me.
“La risposta era sotto i suoi occhi, capitano Rosenberg. Solo che non l’ha vista.”
Ero al tempo stesso incuriosito e irritato.
“Temo di non seguirla, Stephanie.”
Lei alzò una mano e la portò all’altezza dei miei occhi.
“Cosa vede, capitano?”
“La sua mano.”
“Le sto mostrando le dita,” mi corresse.
“Ma io vedo la sua mano,” ribattei, senza capire.
“È proprio questo il problema,” disse lei. “Ha visto ciò che voleva vedere e non ciò che le veniva mostrato. È stato questo il suo sbaglio, vent’anni fa.”
Quelle furono le sue ultime parole. Si allontanò lasciandomi con il suo enigma, il suo biglietto da visita e la fotocopia dell’articolo.
Tra la folla che si accalcava al buffet scorsi Derek Scott, il mio ex compagno di squadra che adesso vegetava tra le scartoffie dell’amministrazione. Mi affrettai a raggiungerlo e gli mostrai il ritaglio.
“Hai sempre la stessa faccia, Jesse,” mi disse sorridendo, divertito di fronte a quel reperto d’archivio. “Cosa voleva quella tizia?”
“È una giornalista. Secondo lei, nel 1994 abbiamo preso un granchio. Dice che nell’indagine ci è sfuggito qualcosa e abbiamo sbagliato colpevole.”
“Come?” esclamò incredulo Derek. “Ma è assurdo!”
“Lo so.”
“Cosa ha detto esattamente?”
“Che la risposta era sotto i nostri occhi e non l’abbiamo vista.”
Derek mi guardò perplesso. Sembrava anche lui turbato, ma decise di non prendere in considerazione quell’ipotesi.
“Non ci credo neanche per un istante,” borbottò infine. “Quella è solo una giornalista di quart’ordine che vuole farsi pubblicità a buon mercato.”
“Forse hai ragione,” dissi. “Ma forse no.”
Voltandomi verso il parcheggio, vidi Stephanie salire in macchina. Mi fece un cenno con la mano e gridò: “A presto, capitano Rosenberg.”
Ma quel “presto” non arrivò mai.
Perché quello fu il giorno della sua scomparsa.
Derek Scott
Non dimenticherò mai il giorno in cui è cominciata questa storia. Era sabato 30 luglio 1994.
Quella sera Jesse e io eravamo di servizio. C’eravamo fermati a cenare al Blue Lagoon, un ristorante alla moda dove Darla e Natasha lavoravano come cameriere.
A quell’epoca Natasha stava con Jesse già da qualche anno. Darla era una delle sue migliori amiche, e volevano aprire un ristorante insieme. Passavano le giornate a elaborare il loro progetto: avevano trovato un posto adatto e stavano aspettando di ottenere le autorizzazioni per i lavori. La sera e nei week-end lavoravano al Blue Lagoon e mettevano da parte metà dei guadagni per investirli nel ristorante.
Al Blue Lagoon sarebbero state anche disposte a occuparsi della gestione o a lavorare in cucina, ma il proprietario ripeteva sempre: “Con quei bei faccini e quei bei culetti, il vostro posto è in sala. E non lamentatevi, guadagnate molto più in mance che lavorando in cucina.” Su quest’ultimo punto non aveva torto: molti clienti andavano al Blue Lagoon solo per essere serviti da loro. Erano belle, dolci, sorridenti. Avevano tutto quello che serviva. Era evidente che il loro ristorante avrebbe avuto un enorme successo – già ne parlavano tutti.
Darla era single, e confesso che, da quando l’avevo conosciuta, facevo una certa fatica a non pensare a lei. Assillavo Jesse per convincerlo a venire con me al Blue Lagoon quando Natasha e Darla erano di turno, per bere un caffè. E quando le due ragazze si vedevano a casa di Jesse per lavorare al progetto del loro ristorante, mi intrufolavo cercando di far colpo su Darla, riuscendoci solo a metà.
Verso le 20:30 di quel fatidico 30 luglio, Jesse e io stavamo cenando al Blue Lagoon e scherzavamo con Natasha e Darla mentre servivano ai tavoli. All’improvviso il mio cercapersone e quello di Jesse si misero a suonare simultaneamente. Ci guardammo con aria preoccupata.
“Per far suonare i vostri cercapersone nello stesso istante, dev’essere una cosa grave,” commentò Natasha.
Ci indicò l’apparecchio pubblico del ristorante e il telefono sul bancone. Jesse si diresse verso il telefono, io optai per il bancone. In entrambi i casi, le nostre telefonate durarono solo pochi istanti.
“Abbiamo una chiamata di priorità assoluta per un quadruplice omicidio,” dissi a Natasha e Darla dopo avere riattaccato, e mi precipitai verso l’uscita.
Jesse stava infilandosi il giubbotto.
“Spicciati,” gli dissi. “L’indagine spetta alla prima unità dell’anticrimine che arriva sul posto.”
Eravamo giovani e ambiziosi. Quella era la nostra prima occasione di condurre insieme un’indagine importante. All’epoca ero un poliziotto più esperto di Jesse e avevo già il grado di sergente. I miei superiori mi apprezzavano enormemente. Tutti dicevano che avrei fatto una formidabile carriera in polizia.
Uscimmo di corsa in strada e raggiungemmo la nostra auto. Io mi misi al volante e Jesse si sedette accanto a me.
Mentre mettevo in moto e sgommavo, lui afferrò il lampeggiatore posato sul pavimento. Lo accese e lo piazzò sul tetto dell’autocivetta, illuminando di bagliori rossi la notte.
Fu così che ebbe inizio tutto.
Dicker, Joël (2018-05-08T23:58:59.000). La scomparsa di Stephanie Mailer (Italian Edition) . La nave di Teseo. Edizione del Kindle.
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