Descrizione
Parte Prima
I giorni dell’innocenza
Capitolo 1
Nova
Amo la mia famiglia.
Anche se Rachel mi ha appena costretta a indossare un vestito di lana, di un’impronunciabile maison francese, che mi prude ovunque. Non vado pazza per la moda, a meno che non sia io a crearla. Adoro disegnare abiti da sposa, immaginarli addosso a ragazze emozionate e raggianti in attesa di coronare il loro sogno d’amore.
Guardo la baia oltre la finestra della camera, quella che zia Bernice ha arredato di rosso, il mio colore preferito. Il patio è riscaldato da due grandi stufe da esterno. Paradise Cay è bellissima, vestita a festa, con le lanterne bianche che ondeggiano sopra la tavola imbandita.
Non era necessario tutto questo sfarzo, ma Bernice sa essere incorreggibile, soprattutto quando c’è qualcosa di bello da celebrare. Mi stringo nell’abito, aggiusto i capelli e vado incontro al mio destino: i Goldsmith. Sono qui per me, la piccola di casa che fra tre settimane farà il suo debutto nel mondo delle pubbliche relazioni. La prima mostra d’arte organizzata da Supernova Mars: HOLES di Lyle Bass. Non è un matrimonio, ma come prima prova è perfetta. Al resto ci sto lavorando.
Mamma è in cucina, sta aprendo una bottiglia di vino californiano quando la raggiungo.
«Tesoro, sei pronta per fare carriera? Come ti senti?»
«Come quando al bingo estraggono il numero settanta e tu hai il sessantanove e il settantuno» ribatto. «Sono felice e terrorizzata.»
«Andrai alla grande. Ti sei trasferita a San Diego da tre mesi e ti hanno già affidato una mostra e due matrimoni. I tuoi capi si fidano di te e i clienti sono in buone mani. Abbi fede, Nova.»
Io ho fede, ma la fede… non ha fede in me? Qualcosa del genere.
Mamma mi dà un buffetto sulla guancia e torna a controllare l’etichetta sulla bottiglia. «Non vedo l’ora di far ubriacare Rachel. Fa’ cose assurde quando beve.»
«L’ultima volta ha fatto volare Isaac in piscina.»
«Una sana e vecchia abitudine.»
«E ha detto che papà dovrebbe restare confinato in eterno su Marte insieme alle sue orribili magliette.»
Mamma annuisce. «Aveva ragione!»
Ho già detto che amo la mia famiglia?
I Goldsmith sono la mia vita, ma cambiare aria e andare al sud della California è stata una benedizione. Sono felice che i miei genitori mi abbiano dato fiducia e non posso deluderli. Se la mostra d’arte andasse male, significherebbe farli pentire di avermi concesso la possibilità di essere indipendente.
Soprattutto dopo il pasticcio che ho combinato.
Sul patio, mio cugino Isaac è il primo a salutarmi, insieme a sua figlia Lizzie. Ha quasi sei anni ed è la bambina più sveglia che abbia mai conosciuto.
«Dov’è Audrey?»
«Le ho chiesto di andare all’emporio a prendere la senape di Dijon e le ho dato le indicazioni sbagliate. Divertente, vero?» È Rachel a rispondermi.
Sbuca alle mie spalle e solleva l’angolo della bocca. È avvolta in un aderentissimo tubino nero, sembra annoiata come sempre, almeno finché i suoi occhi non incontrano quelli di Desmond, il suo fidanzato. «Ehi.»
Lui spinge gli occhiali alla radice del naso. «Ehi. Sei molto… sei… quel vestito è consequenziale.»
Prima che possa chiedergli cosa intende, Isaac si mette tra noi. «È uno scherzo di merda, Rachel. Audrey sa usare Google Maps.»
«Peccato che le abbia nascosto il telefono.»
«Cos’hai fatto?»
Rachel afferra un calice di vino dal tavolo del buffet e solleva le sopracciglia. «Tranquillo, guanciotte. Se non sarà tornata entro mezz’ora chiamerò la polizia, forse la ritroveranno nel Minnesota.» Resto interdetta. Tra la sorella e la moglie di Isaac è guerra aperta, senza esclusione di colpi. So che in fondo si vogliono bene, ma ormai i loro battibecchi sono diventati una tradizione di famiglia. Non mi sono mai schierata apertamente, però la mia preferenza è per Audrey. Dolce, romantica e sognatrice, è la donna che vorrei diventare ed è anche la mia più cara amica.
E, cosa molto importante, ho disegnato io il suo abito da sposa. Ci sono voluti cinque cartamodelli, tre macchine da cucire inceppate, la consulenza di uno stilista di fama internazionale e una quantità di tessuto non quantificabile per arrivare al dunque.
È stato bellissimo vedere la mia passione più grande diventare realtà. Sapere che un vestito nato da una mia idea, cresciuto tra le mie dita e dipinto su un blocco da disegno sia riuscito a rendere così felice una persona a cui voglio bene.
«Nova, guarda.» Lizzie mi fa segno di avvicinarmi al divano. Tra le mani ha il mio libro preferito: l’album fotografico con i cinquanta abiti da sposa più belli di sempre. «Questo vestito ti starebbe benissimo, saresti proprio una bambola.»
«Lady Diana? Ma stava bene solo a lei. Sembrerei un gigantesco confetto.»
«I confetti sono buoni.»
Volto un paio di pagine. «Ecco, questo è quello dei miei sogni.» Le indico il meraviglioso abito di Grace Kelly al matrimonio con Ranieri III di Monaco. «Ventiquattro metri di taffetà e quasi trecento di pizzo. Guarda questi bottoncini che chiudono il corpetto, sono molto pregiati.»
Lizzie accarezza la pagina con la manina paffuta. «Era una principessa. Anche tu sposerai un principe?»
«Sposerò Ethan Cohen, il mio principe.»
«Mi racconti ancora la vostra fiaba?»
Sono felice che Lizzie abbia ereditato il romanticismo di Audrey, oltre che l’amore per le formule da Isaac. È una Goldsmith al cento percento, ma il fatto che sia appassionata di storie d’amore la rende un po’ più simile a me che al resto della famiglia.
Per quanto mi riguarda, da mamma e papà ho preso solo le lentiggini e i capelli biondi. Chiudo il libro e lo stringo al petto. «C’era una volta una ragazza di ventidue anni che viveva in un grande castello moderno, a picco sull’oceano, insieme ai suoi adorati prozii. I suoi genitori erano sempre in viaggio per lavoro e così lei passava i pomeriggi a studiare in giardino, a prendere il tè con la sua migliore amica Audrey e sognare che un giorno sarebbe arrivato qualcuno a incollare i cocci del suo cuore spezzato. Un principe azzurro, magari.»
Lizzie appoggia il mento sui palmi delle mani, unite a coppa. «La ragazza studiava Pubbliche Relazioni alla Golden Gate University?»
Le faccio l’occhiolino. «Esatto.»
«E poi?»
«Poi, un giorno, lo zio della ragazza decise di organizzare una grandissima festa a corte. I preparativi durarono settimane, perché tutto doveva essere perfetto. Si celebravano i cinquant’anni dello studio legale di famiglia, un evento importantissimo. Il castello moderno era stato riempito di fiori e luci colorate. I cuochi avevano preparato un banchetto straordinario.»
«Soprattutto i muffin al cacao.»
Ridacchio nel ripensare a Lizzie che, di nascosto da tutti, ne aveva mangiati quattro e aveva girato con la bocca sporca di cioccolato in mezzo agli ospiti. «Soprattutto quelli. La ragazza indossò il suo vestito migliore, del suo colore preferito, cioè…»
«Il rosso, come un papavero!»
«Il rosso, giusto. Proprio mentre chiacchierava con un paio di dame e cavalieri molto noiosi, le porte del castello si spalancarono ed entrò il più bel principe che la ragazza avesse mai visto. Indossava un abito scuro, con la camicia bianca, un fiore all’occhiello, ed era alto, con i capelli biondi, la pelle rosea e gli occhi verdi. Suo padre era un grande amico dello zio.»
Lizzie si alza dal divano, ruba un salatino dal vassoio degli antipasti e torna da me. «Arriva la mia parte preferita.»
«Il principe si chiamava Ethan Cohen, aveva ventidue anni, proprio come la ragazza, e studiava Medicina a Oxford, in Inghilterra. Lo zio fece le presentazioni e fu un colpo di fulmine. Nonostante la distanza, i due innamorati si fidanzarono subito: lui viveva in Europa, lei in America, ma non importava. L’amore era più forte delle miglia che li separavano.»
«E il loro primo bacio?»
«In giardino, proprio lì» dico sottovoce, mentre un po’ di calore mi imporpora le guance. Allungo l’indice verso un roseto accanto alla scogliera. «Molto romantico.»
Un rumore alle nostre spalle attira la mia attenzione. Rachel sta svuotando il calice di vino in un grande vaso colmo di piante grasse.
«Rachel?» La guardo allibita. «Cosa fai?»
«Mi è salita la glicemia con la tua storiella d’amore. Questo non serve più.»
Isaac le toglie il bicchiere di mano e le cinge il gomito. «Non potresti comportarti in modo normale almeno stasera? Anzi, sai che ti dico? Va’ a cercare mia moglie.» Le fa penzolare un mazzo di chiavi sotto al naso. «Prendi la mia macchina.»
«Scordatelo, guanciotte.»
«Se le è successo qualcosa…»
«Qualcosa? Mal che vada sarà inciampata nel tappeto di qualche libreria e scivolata proprio di fronte alla sezione dei romanzi rosa.» Lizzie mette fine al battibecco con la sua vocina squillante. «Ehi, guardate!»
Il cancello della villa si apre e una macchina nera si ferma nel parcheggio, sotto alla tettoia. Non può essere Audrey, perché la sua auto è rossa, e quindi deve per forza essere Ethan. È riuscito a venire. Ce l’ha fatta.
Ci vogliono tante ore di volo dall’Inghilterra a Frisco. Io vivo a San Diego, lui è sempre sommerso di dispense da studiare, il tempo per frequentarci è pochissimo, ma nonostante tutto ha trovato il modo per raggiungermi alla festa.
Ethan è la seconda occasione che la vita mi ha regalato.
Rachel si accorge subito del mio entusiasmo, dunque decide di smorzarlo. «Il principe azzurro ha una ruota sgonfia.»
Lizzie mi affianca. «Il principe azzurro è…»
«Papà?!»
Dalla portiera destra sbuca il primo uomo della mia vita. La star della serata, della città, del mondo intero: Chase Reeve Goldsmith. Deglutisco un boccone di amara consapevolezza mentre lo guardo avanzare con le braccia spalancate. A guidare era Logan, il CFO dell’EventHorizon, che ora lo segue mesto.
Anche questa volta Ethan non ce l’ha fatta a venire. «Ho comprato l’edizione scientifica da tavolo di Chi vuol essere milionario?.» Papà allunga il braccio e ci indica uno a uno. «Vi straccerò tutti.»
Rachel fa roteare gli occhi. «Un miliardario che gioca a Chi vuol essere milionario?, wow. Posso astenermi?»
Si allontana senza attendere la risposta e raggiunge il bordo della piscina riscaldata. Dieci secondi dopo è stesa su una sdraio, avvolta in una coperta di pile, con il tablet, e sono certa che stia controllando le e-mail di lavoro.
Papà batte le mani. «Allora, chi vuole sconfiggere un vero milionario?»
Arriva sul patio, toglie la giacca e fa bella mostra di un maglione con scritto MAKE MARS GREAT AGAIN.
Essere la figlia di Chase Goldsmith è…
«…complicato.»
Mi volto verso mamma, apparsa al mio fianco, che ha appena dato una risposta inconsapevole ai miei pensieri. Si piazza vicino a papà, gli dà un lungo bacio appassionato e gli toglie il gioco di mano. Invidio il loro amore, ma sono sicura che quando Ethan finirà gli studi e tornerà negli States vivremo una favola, proprio come quella dei miei genitori.
«Non è complicato se sei un Goldsmith» sghignazza Isaac. Lizzie si siede sulle sue ginocchia. «Oh, Audrey mi ha appena scritto dal telefono pubblico. Ringrazia per lo scherzetto e dice che sta arrivando.»
Desmond apre la confezione e distribuisce cartellini e aiuti. «Non è complicato se sei un Goldsmith? Quindi io ho perso in partenza?»
«Tu fai parte della famiglia, sei fidanzato con mia sorella.»
Dall’altro lato del patio, Rachel si schiarisce la voce. «Io non sono fidanzata con nessuno.»
Mentre riparte l’ennesima discussione di famiglia sul concetto di relazione stabile, controllo il cellulare. Di Ethan nessuna traccia, né una chiamata persa né un messaggio. L’ultima volta in cui ci siamo sentiti, questa mattina, era già sui libri. Gli mando un’emoji, ma non compaiono doppie spunte. Forse ha il telefono spento.
Papà mi abbraccia da dietro, all’improvviso, facendomi sussultare. Si china e la sua barba ispida, ormai più grigia che bionda, mi fa prudere la guancia. Sono la sua bambina e lui è sempre il mio eroe, anche se ogni volta che lo guardo sento di essere molto diversa dalla figlia che vorrebbe.
Credo di averlo deluso troppe volte.
«Come stai, esplosione di stelle?»
«Tutto okay, papà.»
«Ethan?»
«Impegnato con lo studio, come sempre.»
Lui si sistema al mio fianco. Ha un profumo buono, che mi ricorda l’infanzia passata accanto alla sua scrivania, all’headquarter dell’EventHorizon. Sono cresciuta nello stesso luogo in cui i miei genitori lavoravano, tra schemi di ingegneria aerospaziale e propulsori, con una tata sempre al mio fianco. Forse mamma e papà credevano che farmi giocare con modellini di razzi e pianeti mi avrebbe spinta a essere come loro, ma… non è successo.
Ecco perché fatico spesso a sostenere lo sguardo di mio padre.
«La tua nuova guardia del corpo? Come hai detto che si chiama?» mi chiede.
«Si chiama Maverick, ha venticinque anni di esperienza e ha lavorato anche con Beyoncé. Viene dalla migliore agenzia di San Diego, sta’ tranquillo. È molto discreto e gentile. Non parla mai.»
«Perfetto. Mi piace. Voglio che tu sia al sicuro, in quella città.»
Deglutisco. Al sicuro da chi? L’unico pericolo per Supernova Mars Goldsmith è… Supernova Mars Goldsmith.
A differenza delle altre ricche ereditiere, come le definiscono i giornali, io non ho una vita mondana degna di essere paparazzata. Non partecipo a feste, non frequento star, cantanti, attori e politici. Non faccio scandalo, non ho profili social e non sono nemmeno un genio.
«Sono al sicuro, papà. Non interesso a nessuno.»
«Interessi a tante persone senza scrupoli. A volte i paparazzi sono il problema minore.»
So a cosa si riferisce e non mi va di parlarne. «Già.»
Lui intreccia le dita con le mie e abbassa gli occhi. «Queste povere pellicine,» sussurra, «cosa ti hanno fatto di male?» «Sono cannibale» scherzo. Le mie cuticole massacrate non si stanno di certo divertendo. «Attenzione, potrei mangiare anche te.»
Bernice deposita sul tavolo delle verdure crude, poi afferra il cartellino del gioco di società con la prima domanda. «Rebecca, per te: in quale anno è stato dimostrato per la prima volta il teorema della divergenza?»
Mamma accarezza la lunga treccia fulva e, come niente fosse, dice: «1831».
«Da chi?»
«Michail Ostrogradskij.»
Papà sbuffa. «So che stai pensando a quella vecchia questione del tuo quoziente intellettivo superiore al mio.»
«In realtà pensavo a questa domanda. Troppo facile.»
Facile?
«Desmond: quali tipi di tessuto muscolare esistono?» chiede Bernice, leggendo un altro cartellino. «So che avresti preferito rispondere al quesito di prima.»
«Tu mi conosci bene.» Des toglie gli occhiali e li pulisce con un lembo della camicia. «Muscolo scheletrico, liscio e cardiaco.»
«Ottimo. Isaac: quand’è che un campo irrotazionale si definisce conservativo?»
Un cosa si definisce come?
Mio cugino fa spallucce e sciorina un elenco di assurdità così incomprensibili che sembra le stia recitando in un’altra lingua. Capisco solo “lemma di Poincaré” perché mi ricorda tanto il pancarrè con il burro di arachidi.
«Nova, per te: qual è l’elemento della tavola periodica che ha come numero atomico 40?»
Isaac mi dà una gomitata. «Non vale, è troppo semplice.»
«È una domanda da cinquanta dollari» replica Bernice. «La tua ne valeva diecimila.»
Pianto le unghie nella carne. Potrei chiedere aiuto con uno sguardo a Logan, alle spalle di tutti, ma è concentrato sul buffet e poi ha già puntato Rachel. Farà un volo dritto in piscina, ne sono sicura.
«Vuoi chiedere l’aiuto da casa?» scherza papà. «Prego, è un tuo diritto.»
So che la sua è solo una battuta, ma il mio cuore fa crack. Guardo le rughe intorno ai suoi occhi, che una stupida rivista di gossip ha definito “super sexy”, e riesco a pensare solo a quanto sia diversa da lui. Se fossi nata con un po’ di talento in più, avremmo potuto condividere tanto. Si sarebbe divertito a portarmi all’osservatorio e io avrei capito tutti i suoi discorsi; come hobby avrei disegnato stelle e razzi, invece che abiti da sposa; avrei lavorato con lui e per lui, all’EventHorizon.
Lizzie scatta in piedi. «L’elemento è lo zirconio!»
Isaac scoppia a ridere. «Nova battuta da una bambina. Non eri tu ad avere vinto il Decathlon Accademico con il progetto sui frattali?»
La squadra di cervelloni e io, certo. L’intrusa inserita nel gruppo solo perché nessuno ha avuto il coraggio di dare un secco rifiuto alla figlia dell’uomo più ricco del mondo, anche se non era abbastanza intelligente per prendere parte alla gara.
L’unico traguardo di quella gita è stato riuscire a fare mettere insieme Rachel e Desmond. Con l’amore sono davvero brava.
Bernice mi porge la replica di una banconota da cinquanta dollari. «Per te.» Afferra il mio tagliando dell’aiuto da casa e lo ripone nella scatola. «Prossima domanda.»
Scatto in piedi. «Ho dimenticato un appuntamento importante.»
Mamma mi guarda imbronciata. «Scherzi? È la tua festa.» «Mi dispiace, mi aspettano al canile di Corte Madera. C’è la pesca di beneficenza e avevo promesso di partecipare. Chiedo a una delle vostre guardie del corpo di accompagnarmi, non preoccupatevi per me.»
La pesca c’è davvero, ma io avevo detto al proprietario del canile che non ci sarei stata. Sarà felice di vedermi, insieme ai cuccioli. Afferro la borsetta e saluto tutti, lasciando Lizzie per ultima. A lei do un bacio sulla guancia. Solo quando sono quasi arrivata alla rimessa delle auto mi accorgo che papà mi ha seguita.
«Ci sarà qualcuno con me, sta’ tranquillo.» Lui mi accarezza la guancia. Le sue mani ruvide sono calde. Riesco a sostenere il suo sguardo solo per qualche secondo. «Nova, non me ne frega niente se non conosci la tavola periodica a memoria. Non ti voglio geniale, ti voglio felice.»
Gli butto le braccia al collo. «Oh, papà, sono un disastro ambulante.»
«Che importa se non sei brava con la scienza? Sei la miglior organizzatrice di eventi del mondo, disegni abiti meravigliosi e sono orgoglioso di te. Fa’ solo attenzione alle persone. Non fidarti di nessuno, okay? Non dare confidenza agli sconosciuti e rimani sempre al sicuro.»
Svio il discorso un’altra volta. «Di’ ad Audrey di chiamarmi, quando torna.»
Lui s’incupisce. Forse si aspettava un’altra frase, un abbraccio più forte, o magari un altro tipo di figlia. «Non fare tardi. Ti aspettiamo per tagliare la torta.»
Dopo l’ennesima raccomandazione mi dà le spalle e si allontana, le mani ficcate nei pantaloni cachi.
«Papà?» lo richiamo. La voce mi si incrina in gola. «Ti voglio bene.»
Il suo sorriso buono scintilla anche a una ventina di metri di distanza.
«Io di più.» «Più di quanto ne vuoi a Marte?»
«Io sono Marte e tu il mio Sole. Tutto ruota intorno a te, Supernova.»
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