Descrizione
1
21 novembre 1941
Golfo dell’Asinara
Nord Sardegna, Italia
Il mare calmo era increspato appena da una leggera brezza del nord che, pur non formando altro che piccole onde che si infrangevano disordinate contro il fianco di dritta del mercantile, faceva sì che i due uomini che attendevano in coperta, appoggiati al capo di banda, si stringessero nei loro cappotti. Era una notte senza luna, e le stelle si estendevano fino alla linea invisibile dell’orizzonte e ancora oltre, riflettendosi sulla superficie del Mediterraneo, come se non avessero abbastanza spazio in cielo e volessero estendere il loro dominio anche sui mari.
Dell’uomo sulla destra, ancora quasi del tutto immerso nell’oscurità – solo le luci di posizione della nave restavano accese -, saltava agli occhi la mole sproporzionata rispetto alla statura. Da vicino spiccava un grosso e malandato cappotto blu, un berretto di lana con una nappa graziosa, e sotto di questo, dei capelli castani che iniziavano a diradarsi sulla cima della testa, ma che si estendevano attraverso le basette fino a una folta barba che incorniciava un viso dai tratti delicati e miti. I malinconici occhi grigi e le guance paffute sicuramente rafforzavano quell’impressione, sebbene la bocca, i cui tratti riportavano un cenno di ironia, come se gli avessero appena fatto una battuta che solo lui aveva capito, rivelava una personalità sarcastica dietro quell’ingannevole apparenza da bonaccione.
Al suo fianco, un uomo più alto e magro, avvolto in una giacca di pelle coperta di toppe e sulla quale si potevano distinguere vecchi segni di distintivi e stellette che erano stati rimossi, si sfregava le mani per riscaldarsi. I suoi occhi inquisitori color miele sembravano fendere la densa oscurità come quelli di un gatto, mentre i muscoli tesi della forte mandibola denotavano un’indole decisa. Una caratteristica che a suo tempo gli costò la cicatrice che attraversava il suo zigomo sinistro, quando in un bar del porto qualcuno gli tagliò la faccia con una bottiglia rotta per aver cercato di difendere il buon nome di una gentildonna. Gentildonna che in seguito non si rivelò tale, né tantomeno sembrò preoccuparsi del suo buon nome, ma che, in compenso, seppe sdebitarsi ampiamente per ogni goccia di sangue versato per lei.
Come ricordando quell’episodio lontano, si toccò la guancia ruvida per la barba di due giorni mentre con l’altra mano consultava l’orologio da polso. Il vento leggero scompigliava i suoi ricci neri – ereditati dalla madre, così come la mandibola da suo padre – , non portava un berretto come il suo amico, e nemmeno il cappello da capitano che avrebbe dovuto indossare almeno quando si trovava in coperta perché dopotutto, quella era la sua nave.
– Sono in ritardo – mormorò l’uomo più corpulento portandosi alla bocca una pipa accesa, facendo sfrigolare il tabacco nel fornello.
– Sono italiani, Jack – commentò il capitano -. Non avrai creduto che sarebbero arrivati a mezzanotte in punto, no?
– Ma questo non significa che…
Il primo ufficiale interruppe di colpo la sua risposta quando sentì una voce femminile che, con un marcato accento francese, avvisò dalla cabina del ponte.
– Arrivano, capitaine – disse con un tono quasi musicale -. A babordo.
– Grazie, Julie. Avvisa tuo marito e Marco, che si mettano ai loro posti.
– Subito – rispose allegra, come se fosse stata appena invitata a una festa.
Rivolgendo lo sguardo al firmamento, Alex Riley inspirò profondamente e riempì i polmoni di aria pulita, la trattenne per qualche istante, rilasciandola lentamente per calmare i nervi.
– Finalmente… – mormorò tra sé, mentre si preparava a ricevere l’imbarcazione che si avvicinava dalla costa -. Ci siamo.
Nel giro di un’ora, la barca italiana, un peschereccio di legno scrostato di diciotto metri con residui di pittura verde e bianca che emanava un forte tanfo di pesce, si trovava già affiancata a babordo, e trenta delle trentadue casse di legno del carico erano già state trasferite da una stiva all’altra, con l’aiuto della gru del mercantile e dei cinque sgangherati marinai che componevano l’equipaggio della piccola nave.
Stranamente – soprattutto trattandosi di marinai italiani -, i presunti pescatori non si scambiarono una parola per tutto il tempo. Forse perché non c’era niente da dire, pensò Riley, senza dare troppa importanza alla cosa. Ma d’altro canto, il comandante della Madonna di Campello, che si presentò semplicemente come Pietro, non aveva smesso di scrutare l’orizzonte mentre fumava inquieto una sigaretta dopo l’altra, e Alex avrebbe giurato che avesse rivolto di nascosto dei gesti ai suoi uomini perché effettuassero il trasferimento della merce da un’imbarcazione all’altra con più calma del dovuto.
Nonostante l’intensa attività, si sentivano solo i passi sul ponte e il ritmico scricchiolare del fianco di legno del peschereccio, che sfiorava lo scafo d’acciaio del Pingarrón, una nave merci costiera di quarantacinque metri di lunghezza fuoritutto, otto di larghezza e una sovrastruttura di due ponti a poppa. Il primo dei due ponti ospitava le cabine e una piccola dispensa, mentre in quello superiore si trovava la plancia della nave, oltre alla stanza delle mappe, la cucina e la sala da pranzo, in un ampio e diafano spazio proprio lì dietro. Tutto ciò, all’ombra di un fumaiolo solitario senza stemmi a coronarne la struttura. Le quattrocentoventi tonnellate di dislocamento a vuoto della nave le permettevano di trasportare un peso quasi equivalente di merce, il che ne faceva una stupenda imbarcazione da cabotaggio.
Costruita in Scozia nel 1929 dal cantiere navale Harland & Wolff, e battezzata come Inverness, quella nave originariamente designata al trasporto, alla costruzione e alla riparazione di cavi sottomarini, da tre anni navigava battendo bandiera spagnola con un altro nome, un altro equipaggio e un altro capitano che si dedicava a un’attività molto più redditizia in tempo di guerra rispetto a quella dei cavi sottomarini.
Quando l’ultima cassa venne depositata sul ponte del Pingarrón, esaminata scrupolosamente come tutte le altre da Joaquín «Jack» Alcántara, Alex consegnò una voluminosa busta sigillata al capitano italiano che prima la soppesò, poi la aprì e ne estrasse un bel mazzo di franchi svizzeri che iniziò a contare con lentezza esasperante, sbagliando un paio di volte e dovendo ricominciare, tra vari tentativi di scuse.
Proprio quando Alex stava per offrirsi di contare lui stesso le banconote, Julie, che fino a quel momento era rimasta in disparte, si affacciò di nuovo da una finestrella del ponte e, indicando verso sud, disse allarmata:
– Capitaine! Abbiamo compagnia!
Alex corse verso la poppa sentendo odore di guai. Arrampicandosi sulla scaletta del ponte scoprì come, fendendo la notte con i suoi fari, si avvicinava a tutta velocità una motovedetta che sicuramente non si trovava lì per caso. Era ancora a una decina di miglia di distanza, ma a quella velocità li avrebbe raggiunti in pochi minuti.
– Sono i carabinieri – comunicò al suo vice -. Taglia le cime e ordina a Julie di fare rotta verso nord, a tutta velocità.
– Ma come diavolo ci hanno trovati? – protestò Jack allontanandosi.
– Credo di averne una vaga idea – disse Alex, rivolgendosi in modo poco amichevole verso i pescatori che, ormai di ritorno sulla propria barca, li osservavano tranquillamente come se la cosa non li riguardasse.
– Mi dispiace molto, capitano – finse di scusarsi il comandante italiano -. Ma sono tempi difficili – e con un gesto indicò ai suoi uomini di sfoderare dei fucili nascosti tra gli attrezzi e di puntarli contro di lui e Jack -. La motovedetta è arrivata tardi, ma comunque in tempo per risolvere questo affare in modo soddisfacente.
Alex alzò le mani e scosse la testa come se si sentisse deluso, ma poi sorrise svogliatamente, confermando a se stesso che tutto ciò fosse inevitabile.
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