Descrizione
L’INNESCO
SABATO 18 LUGLIO 64 D.C.
Roma, ore 22.30: bassifondi del Circo Massimo
C’è un momento in cui il cielo estivo e i sogni hanno lo stesso colore. È il momento in cui, subito dopo il tramonto, i tuoi occhi e la tua pelle sono investiti dal blu acceso della volta celeste e ti sembra che tutto sia in equilibrio, sia dentro che fuori di te. È una sensazione che ti coglie all’improvviso e non dura molto. Quel cielo invita ai viaggi, alla libertà, a mondi lontani senza confini. Bisogna saperlo assaporare e lasciarsi andare, trascinati dalla corrente dei pensieri e dei desideri.
È quello che ha fatto la ragazza dai capelli corvini. Sui suoi tratti giovanili sembra essere scesa una polvere di luce, che addolcisce le gote, fa brillare gli occhi e rende le labbra ancora più sensuali. Ha gustato quel momento fino all’ultimo, con il viso rivolto al cielo, come quando, a bocca aperta, si lasciano cadere le ultime gocce di vino da una coppa ormai vuota…
Non ha potuto vedere il sole tuffarsi oltre l’orizzonte, perché è scomparso ben prima, inghiottito dai tetti e dalle alte case di Roma. Ma i suoi ultimi raggi hanno illuminato ancora a lungo il margine più alto del Circo Massimo. Illuminato così, sembrava un braciere acceso, sospeso sulle strade ormai avvolte dall’oscurità.
Proprio l’ombra perenne di tanti vicoli, strozzati tra gli alti caseggiati fatiscenti della Roma di Nerone, fa sì che all’imbrunire il buio della notte non scenda dal cielo, ma sembri salire verso l’alto come la nebbia, sgorgando dalle vie ormai vuote e silenziose.
Ed è in questo mare scuro che brillano gli occhi della ragazza, mentre continua a guardare affascinata il cielo, che in questa sera d’estate sta regalando l’ennesimo spettacolo: la luna piena sta sorgendo, perfettamente inquadrata al centro di una via, tra le sagome scure delle case. Il suo disco color oro promette una notte meravigliosa sulla Città dei Cesari.
Ma non per la ragazza dai capelli corvini. Dopo un lungo sospiro, rientra nella sua umile dimora, uno dei tanti magazzini che si trovano sotto le arcate del Circo Massimo. Lei è una schiava e la sua “casa” è un semplice soppalco di legno sopra una distesa di merci di ogni tipo, alcune preziose, altre dozzinali, ma… quasi tutte infiammabili.
Lei non lo sa, nessuno a Roma lo sa, ma è proprio qui che scoppierà l’incendio più devastante della Storia antica.
Il Circo Massimo potrebbe essere definito una specie di “dottor Jekyll e mister Hyde” della Roma imperiale. Di giorno è pieno di vita, con le strade percorse dalla folla e le botteghe aperte che offrono ogni tipo di merce. Di notte, il suo volto cambia totalmente, trasformandosi in un simbolo spettrale dei bassifondi di Roma.
Giovenale ci dice che con le tenebre l’area diventa malfamata, animata da ruffiani e, soprattutto, prostitute di origine orientale. Queste offrono i loro “servizi” nell’oscurità di un lungo porticato che si trova tra la strada e le tabernae, molte delle quali ormai chiuse. Ai tempi di Nerone questo porticato forse non esiste ancora, perché Giovenale è vissuto in un’epoca successiva, ma il commercio del sesso già fiorisce da tempo attorno al Circo. Le meretrici adescano i clienti anche nelle osterie e nelle taverne aperte fino a tardi nel quartiere: stranieri, perditempo, scommettitori, uomini brilli da spennare…
Le prostitute sono facili da riconoscere: per legge sono obbligate a indossare la toga, priva tuttavia della stola, che era un attributo riservato solo alle matrone romane. Hanno spesso vestiti e capelli (o parrucche) tinti con colori sgargianti, come il rosso o l’azzurro.
E ne esistono di vari tipi, in base anche alle tasche dei clienti o alle loro fantasie erotiche. Plauto ci dice che quelle di strada si vestono in modo da collimare con il desiderio che ha in testa il cliente. E allora, ecco l’abito da “nobildonna”, da “mendicante” o da “regina esotica”. Il mondo della prostituzione romana, insomma, copre bene ogni “settore” del mercato. Anche quello più povero. Nella Suburra, per esempio, può capitare di vedere delle meretrici già molto in là con gli anni, dall’aspetto così trasandato e poco attraente da sembrare, spesso, uomini travestiti da donna. Sono le prostitute del livello più basso, i cui clienti appartengono agli ultimi anelli della società. Vengono chiamate “meretrici da pergula” perché, appunto, aspettano i loro clienti sedute sotto tettoie o ripari fatiscenti, di solito nelle aree più povere e sudicie della città.
Qui al Circo si incontrano invece soprattutto le noctilucae, cioè le lucciole, le passeggiatrici notturne che camminano su e giù nella via (esiste anche la loro “versione diurna”, le ambulatrices), o altre che aspettano i loro clienti ferme sotto le arcate (fornices) delle botteghe o dei vicoli e che per questo vengono chiamate fornicariae: da qui deriva il verbo moderno “fornicare”.
Le meretrici più famose del Circo Massimo, stando agli autori latini, vengono dalla Siria. Si tratta delle ambubaiae. Chi sono? È da circa 250 anni che potete vederle a Roma. Inizialmente si trattava di flautiste siriane che si esibivano suonando il loro strumento nazionale: un semplice flauto di canna chiamato abbub, dal suono cupo e roco.
Ben presto, per sopravvivere, visto che il mestiere rendeva troppo poco, iniziarono anche a prostituirsi, e con un incredibile successo, perché diventarono molto richieste.
Si esibivano nei locali indossando la mitra (un alto copricapo) e si muovevano sinuose in danze esotiche al suono del loro strumento. Ora potete vederle anche per la strada. I loro movimenti erotici eccitano i clienti. Svetonio racconta che lo stesso Nerone, durante i grandi banchetti pubblici che dava nel Circo, in Campo Marzio o nella Naumachia a Trastevere, si faceva “servire da tutte le puttane della città e dalle suonatrici ambulanti” (ambubaiae).
A completare l’atmosfera notturna delle vie attorno al Circo Massimo ci sono indovini e astrologi che, a sentire Cicerone, sono piuttosto richiesti e “fan quattrini”. Giovenale stigmatizza i loro clienti più assidui. Sono le donne del popolino che vanno a chiedere consigli amorosi… Se socchiudete gli occhi sembra quasi di vedere la scena: “Il destino dei poveretti sta scritto nel Circo […] sicché colei che sul nudo collo ostenta un’aurea collana […] chiede se abbandonare l’oste e sposare un venditore di stracci”.
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