Descrizione
Capitolo 1
L’ultima sonata
Lasciatevi trasportare.
La vita e i treni
passano una volta
UOMO
Succede che non sono mai stato un grande appassionato di musica, e lo sanno tutti quanti. Non so neppure fischiettare, se non dietro alle ragazze.
Quando avevo otto anni, i miei genitori cercarono di iscrivermi a un corso di pianoforte – perché, dicevano, da qualche parte dovrai pur cominciare – e io mi sono fatto venire una crisi isterica, neanche fossi stato Mozart bambino che ascolta per la prima volta una tromba.
Ecco, vedete? Succede anche questo: io sapevo a mala pena chi fosse Mozart, fino a poco fa. Adesso, vi saprei descrivere cosa gli accadde quel giorno, il malessere che lo colse nell’ascoltare il suono sgraziato di quel particolare strumento a fiato e tutto il putiferio che ne seguì.
D’improvviso.
Succede d’improvviso.
Ho mani da scaricatore di porto, non da musicista: tozze e forti, con l’abitudine a rompere le cose. Tanto per cominciare. E poi, lo ripeto, uno che fugge dalla scuola di pianoforte a otto anni e mette il broncio per giorni, quali speranze volete che abbia, in quel campo?
Insomma, io ero un predestinato all’incontrario: niente e nessuno sarebbe mai riuscito ad avvicinarmi alla musica.
Che cazzo, ho sempre pensato, ho altro da fare. Sono le parole a dire qualcosa, a trasmettere qualcosa, non quella roba che chiamano melodia. Non dice niente, non racconta niente.
Volete un esempio?
Il lago dei cigni narra la storia della povera Odette, sventurata fanciulla che, a causa di un sortilegio…
Che diavolo, no! Il lago dei cigni sono quasi due ore di lungaggini in cui ragazze denutrite ballano con finocchi in calzamaglia. Punto e basta.
Questo, per farvi un quadro di cosa penso io dell’universo musicale.
E poi, di botto, accade.
Accade che salgo in soffitta, nella casa che era del bisnonno.
Io l’ho conosciuto, il bisnonno. In quanti possono dire di aver avuto un privilegio simile? Conosci i tuoi genitori, conosci i tuoi nonni, ma i bisnonni sono facce ingiallite su fotografie color seppia. Sono il passato.
Non nella mia famiglia. Tutti gli altri bis sono andati, ma BisMarco era ancora qui, a novantanove anni sonati, e veleggiava col vento in poppa verso il traguardo dei cento. È schiattato per sbaglio. Il medico non ha detto esattamente questa parola, ha parlato di infarto del miocardio e di qualcosa che non andava nelle arterie ormai otturate, ma io credo che se non avesse messo un piede in fallo, se non fosse caduto e non si fosse rotto il femore, che è stato l’inizio della fine, oggi sarebbe ancora qui a sputare sentenze e a far roteare il suo bastone e a tuonare: Razza di sfaticato perdigiorno, guai a te se sali in soffitta!
Ma chi ci voleva salire, in soffitta? È umido e ci piove dentro. In più, dalle assi malmesse delle pareti filtra quell’odore di marcio che vien su dalla laguna, quello che ti impregna i vestiti, ti arriva al midollo e sembra non volersene andare più.
Siete mai stati a Venezia? Quando c’è l’acqua alta che poi si ritrae? Io non so bene come funzioni, perché non me n’è mai fregato un accidente e poi neppure abito qui, ma, vedete, conosco il dopo: ratti grossi come il mio piede (e porto il 46 di scarpa, non esattamente un piedino di fata), puzza di marciume e fogna scoperchiata – la soffitta, dico, non il piede –, merda di piccioni ovunque, ché a ogni uscita ti ritrovi la maglietta costellata di guano…
La romantica e tanto decantata magia di Venezia deve essere stata inventata da una guida del Touring Club con la rinite allergica. Fidatevi.
Sarà poi perché è novembre, ma tutto qui è grigio e opaco e spesso, come qualcosa che è iniziato senza aver idea di quando finirà. Così, sospeso a mezz’aria tra nuvole di malinconia.
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