Descrizione
PROLOGO
Laney
Ero seduta sul divanetto incassato nel vano della finestra, presa a guardare fuori, in attesa. I miei occhi erano fissi sul vialetto dei vicini, illuminato da un paio di lampioni appannati dallo sporco che ci si era depositato sopra nel corso del tempo.
Spostai l’attenzione sulla strada, su un paio di fanali che si avvicinavano con una certa velocità all’abitazione. Una jeep inchiodò davanti al vialetto dei De Luca e quando uno degli sportelli posteriori si aprì, ne rotolarono fuori una serie di imprecazioni, risatine e della musica di pessimo gusto, sparata a volume troppo alto per un quartiere residenziale all’una di notte.
Dom scese dall’auto e chiuse lo sportello con un tonfo, salutando gli amici e avvertendoli con un gesto della mano di abbassare la musica e fare piano. Per tutta risposta, uno scroscio di risate si levò dalla macchina, che ripartì qualche secondo dopo. I compagni di squadra di Dom erano dei veri cretini.
Vidi il mio amico avanzare sul vialetto, fare qualche tentativo a vuoto prima di riuscire ad aprire la porta e poi infilarsi dentro e spegnere la luce sulla veranda.
Saltai giù dal divanetto, mi infilai una t-shirt e un paio di pantaloncini, arraffai le scarpe da dentro l’armadio e spalancai la finestra. Scavalcai con agilità il davanzale – casa mia aveva un solo piano e la mia stanza affacciava proprio sull’abitazione dei De Luca – e uscii in giardino, come avevo fatto un milione di altre volte. Attraversai il cortile fino allo steccato che separava le due case e lo percorsi fino al punto in cui, da circa dieci anni, si trovava un’asse rotta, il mio passaggio segreto per entrare nel cortile dei vicini senza essere vista.
Raggiunsi la tamerice piantata proprio sotto la finestra di Dom e recuperai la vecchia scala di legno appoggiata al tronco. La sistemai contro il muro della casa e cominciai a salire. Avevo cominciato a sgattaiolare in camera di Dominic attraverso la finestra qualche anno prima, quando lui non poteva uscire per via di una punizione che si era beccato azzuffandosi alle scuole medie, e avevo continuato a farlo anche dopo. Mi piaceva, perché mi faceva sentire come Joey Potter in una puntata di Dawson’s Creek, la mia serie tv preferita.
Dom la sopportava a malapena, diceva che Dawson era un coglione e Joey faceva solo cose senza senso, ciononostante mi faceva compagnia ogni volta che mi andava di fare un rewatch.
Raggiunsi la finestra della camera di Dominic e sbirciai dentro. La luce era accesa, ma lui non c’era. Girai la maniglia e sorrisi quando il battente si spostò verso l’interno. Mi infilai dentro e sedetti sul letto, in attesa.
La camera di Dom era un incrocio tra la tana di un procione e un santuario dell’hockey. Era caotica, piena di vestiti sparsi ovunque, fogli, penne, quaderni buttati sulla scrivania e sulla sedia alla rinfusa, libri e riviste sopra e sotto al letto, cartacce appallottolate a terra. Non contavo più nemmeno le volte in cui avevo sentito sua madre minacciare di dare fuoco a tutto se non avesse messo in ordine. I muri erano tappezzati di poster dei Colorado Avalanche, la sua squadra preferita. La nostra squadra preferita. Seguivamo l’hockey insieme sin da quando eravamo piccolissimi, Dom mi aveva insegnato tutto e col passare del tempo ero diventata una tifosa sfegatata, di quelle che, alle partite, urlavano imprecazioni contro gli avversari. A Dom piaceva un sacco quando lo facevo alle sue. Il suo sogno più grande era proprio quello di ricevere un ingaggio dagli Avalanche dopo aver terminato il college e intendeva fare tutto il possibile per raggiungere il suo obiettivo. Era già proiettato verso il futuro e la partenza per il college; l’unica cosa a cui pensavo io, invece, era a quante poche occasioni di rivederci avremmo avuto se fosse davvero diventato un giocatore professionista. «Ehi!» Saltai sul letto, lanciando un’occhiata truce in direzione della porta. Dominic occupava tutto il vano con la sua stazza e mi stava guardando con un sorrisetto divertito. «Mi hai spaventato!» protestai, lanciandogli addosso la prima cosa che trovai sul letto, cioè un paio di calzini sporchi. Che. Schifo. «Io ti ho spaventato?» sghignazzò, sfilandosi il telefono dalla tasca dei pantaloncini. «Fino a prova contraria sei tu quella che si è infilata nella mia stanza a…» diede un’occhiata allo schermo del cellulare, «… l’una e mezzo di notte.» Feci dondolare le gambe e saltai giù dal materasso. «Tu hai sbloccato la finestra.» «Abitudine.» Mi sorrise, stavolta senza scherno, e fece per chiudere la porta, poi si fermò. «Vuoi che lasci aperto?»
Pratelli, Melissa (2023-02-23T22:58:59.000). Misconduct (Italian Edition) . Edizione del Kindle.
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