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N. 1

Author: Ezio Greggio

Il prezzo originale era: €17,00.Il prezzo attuale è: €16,15.

La notte che con Gianfranco D’Angelo «si vendettero» le stanze del residence. Quella volta in cui, al Drive In, Carlo Pistarino venne convinto di essere stato escluso da un ricevimento con la Regina Elisabetta. E quando a Los Angeles Mel Brooks, vittima di uno scherzo, staccò furibondo un assegno da duemila dollari… per vederselo restituire poco dopo.
Ezio Greggio ripercorre quasi mezzo secolo di carriera senza un attimo di respiro: retroscena e aneddoti divertenti, scherzi combinati a colleghi e a malcapitati vari, trasferte per serate di cabaret che sembrano episodi di una fiction. E i racconti esclusivi legati a tante amicizie: da Gianfranco D’Angelo a Mel Brooks, da John Landis a Enzo Iacchetti, da Kelly LeBrock a Carlo ed Enrico Vanzina, passando per Leslie Nielsen e una sua certa infernale invenzione.
Vediamo scorrere la storia dello spettacolo – ma anche del nostro Paese – da una prospettiva privilegiata, quella di chi l’ha fatta: dalla nascita delle Tv private con Telebiella, al cinema dei favolosi anni ’80 con Yuppies e la nuova commedia all’italiana, e poi il mondo del cinema internazionale, da Hollywood a Montecarlo dove Greggio ha fondato assieme a Mario Monicelli un festival del cinema dedicato alla commedia.
Ezio Greggio è nato nello stesso anno della televisione e la frequenta da quarantacinque anni ma non l’ha mai sposata: in queste pagine c’è infatti la televisione ma c’è, soprattutto, la vita. Gli incontri, la goliardia, il divertimento e l’autentica felicità di chi sa di aver vissuto una stagione speciale. E la condivide con i lettori, con lo stile brillante che lo ha reso celebre e la generosità che lo rende davvero «numero uno».

Informazioni aggiuntive

Editore

Data di pubblicazione

10 gennaio 2023

ISBN-13

9788828211945

Lingua

Italiano

Copertina flessibile

€ 17,00

COD: 8457 Categoria: Tag: Product ID: 20705

Descrizione

Gli inizi a Telebiella

 

Il mio debutto televisivo è avvenuto a Telebiella, la prima Tv libera italiana. Trasmettevamo via cavo. Parliamo degli inizi degli anni Settanta, quando un signore di nome Peppo Sacchi, ex collaboratore della Rai di Torino, aprì un’emittente locale in sfida al monopolio televisivo nazionale.

Si andava in onda dal Convitto Biellese, gentilmente prestato dal Comune di Biella, attraverso una rete di cavi che mandava il segnale a bar, circoli, gallerie commerciali e in alcuni palazzi della città.

Non c’erano altre televisioni in Italia, oltre ai canali Rai era possibile vederne qualcuno estero, come Tele Capodistria, la Tv Svizzera, Tele Monte Carlo. L’arrivo di Telebiella, ma soprattutto il concetto che qualcuno aprisse un’emittente con una voce non addomesticata dalla politica, venne considerato un atto delittuoso. Lo Stato disse no. Arrivarono i funzionari dell’Escopost, la polizia postale, inviati dall’allora ministro Gioia: tagliarono e sigillarono il cavo che portava le immagini alla rete della città. Ma come dice il proverbio «morto un cavo se ne fa un altro», Sacchi e i suoi tecnici fecero proprio così: staccarono il cavo tagliato dall’impianto di trasmissione e ne misero uno nuovo. E tornammo in onda con Telebiella A21 Tv, testata giornalistica registrata in nome dell’articolo 21 della Costituzione che specifica: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Se oggi esistono le Tv private, i network, lo si deve alla battaglia condotta da Peppo Sacchi, alla sua idea di Tv libera e rivoluzionaria che si chiamava Telebiella e a quel manipolo di suoi collaboratori dei quali ho fatto parte.

Sacchi aveva sentito parlare di me che muovevo i primi passi nel cabaret e chiese di riprendermi durante una manifestazione che io organizzavo e conducevo a Cossato che si chiamava Cossato in piazza. La serata fu un successo, pubblico entusiasta, ma dovete sapere che all’epoca le apparecchiature tecniche di Telebiella erano veramente obsolete, di seconda mano, più che analogiche possiamo dire manuali: le trasmissioni venivano registrate su nastro, spesso non nuovo ma riutilizzato, che si avviava ruotando delle manopole anche queste parecchio consumate. E nelle riprese di una diretta, per di più lunga un’ora, se le manopole non facevano agganciare bene il nastro alle testine di registrazione… non si registrava nulla. Quella volta accadde proprio così. Alla fine dello spettacolo, Sacchi venne da me e con voce più roca del solito, guardando un po’ per terra e un po’ verso l’infinito, mi disse: «Ezio… una cortesia, dobbiamo rifare una cosa».

«Ok Peppo, cosa?»

Pausa interminabile e poi sbottò, rientrando verso la regia mobile: «Ma niente… tutta la tua performance, l’ampex non ha registrato».

Era l’una del mattino, io da solo sul palco, senza un’anima viva di fronte perché il pubblico se n’era già andato, rifeci lo show per Telebiella.

Fui più fortunato anni dopo quando lavorai con Carlo Vanzina che dopo il primo ciak urlava: «È buona! Buona la prima!».

 

Da Yuppies a Lockdown all’italiana

 

Carlo ed Enrico Vanzina per me sono stati molto più che un regista e uno sceneggiatore, con loro è nata una stima, un’amicizia, una fratellanza che va avanti da quasi quarant’anni, da quando mi chiamarono a Roma e al bar del Grand Hotel e mi proposero di essere uno dei protagonisti di Yuppies. Un film che è diventato un cult e che ha continuato la strada, avviata anni prima dai Vanzina, verso una nuova commedia all’italiana. Conosco una marea di persone che, pazzi di Yuppies, si riuniscono e lo vedono in compagnia degli amici una o due volte l’anno in DVD. Una volta, in Puglia, a una cena, una mia amica costumista mi presentò un suo conoscente che sapeva a memoria tutte le battute del film, ma non solo le mie… l’intera colonna dialoghi, anche le battute delle comparse! Tutto, dall’inizio alla fine.

Con Enrico, straordinario sceneggiatore e conoscitore di cinema, abbiamo sempre lavorato molto sul copione, sulle battute e mi ha sempre permesso di portare in scena il mio stile, il mio umorismo, divertendoci a lavorare insieme.

Stessa cosa con Carlo che sul set era adorabile, sempre pronto a cogliere un’idea, un suggerimento, a creare un ambiente allegro, elemento basilare se devi far ridere in una commedia.

Una volta arrivai in ritardo, mi rimproverò come se dovesse farlo perché era anche produttore di quel film. Ma un secondo dopo mi prese sottobraccio e mi sussurrò ridendo: «Che hai combinato ieri sera birbaccione… è lui o non è lui? Cerrrto che è lui!». Un tesoro.

L’ultima volta che lo vidi, prima che se ne andasse prematuramente, fu sempre a Roma, sempre in un hotel come la prima volta, al First, e parlammo di un progetto nuovo da realizzare. Non ci siamo riusciti, la malattia bastarda se lo è portato via. Se ne è andato in punta di piedi, con quell’eleganza e signorilità che lo hanno accompagnato per tutta la sua carriera anche nella vita di tutti i giorni.

Con Enrico a quel punto si è creato un legame ancora più forte. Quando nel 2020 mi parlò di Lockdown all’italiana gli dissi subito che lo volevo fare. Non mi interessava il contratto, il cachet, volevo essere al suo fianco nel suo primo film da regista nel raccontare l’Italia attraverso la storia di due coppie durante il periodo drammatico del virus. Il film, girato tra tamponi quotidiani, mascherine, distanziamenti, fu un successo al botteghino nelle poche settimane di riapertura dei cinema, balzando subito al primo posto della classifica degli incassi. Poi quel fenomeno del ministro Franceschini chiuse di nuovo tutto, non capendo che al cinema il pericolo di contagio era davvero inesistente. Il successo continuò fortunatamente prima grazie alla piattaforma di Amazon e poi al passaggio televisivo su Canale 5, dove nell’ottobre 2022 è stato il più visto del Prime Time battendo addirittura Rai Uno. C’è una scena del film scritta da Enrico nella quale, sul terrazzo della casa dove abita il mio personaggio, faccio un monologo su come la gente stava vivendo quel momento terribile. Erano giorni che avrebbero cambiato la nostra vita, dicevo che «là fuori c’erano persone che stavano morendo mentre nelle case altre persone compravano prodotti via Internet, facevano selfie e storie su Instagram, cucinavano di tutto e non capivano il dramma che stavamo vivendo e che il mondo sarebbe cambiato». In sala, e ci sono andato tante volte in quei giorni in varie città, accadeva un fatto unico: il pubblico applaudiva. Credetemi, sentire il pubblico in una sala cinematografica applaudire a scena aperta come se fossimo in teatro è un fatto veramente inusuale. Era il segno che quell’istantanea girata da Enrico e interpretata da me era lo specchio di quel momento, raccontata attraverso la commedia ma anche con la sensibilità e la commozione di quel periodo così dramma

tico. Quando il film è passato in Tv ho risposto a messaggi di complimenti sui social per giorni. Durante le riprese spesso io ed Enrico Vanzina ci guardavamo, in silenzio, senza proferire parola. Con un po’ di commozione sapevamo che entrambi stavamo pensando alla stessa cosa: a Carlo che era lì con noi presente sul set, lo sentivamo, una mano sulla spalla di Enrico e una sulla mia. Ciao Carlo, ti voglio bene.


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