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P.S. Ti amo ancora

11,4014,00

Lara Jean non si aspettava di innamorarsi davvero di Peter. All’inizio era solo una recita per far ingelosire qualcun altro. E invece, alla fine, quello che fingevano di provare si è trasformato in una storia d’amore. Una storia vera, di quelle che possono spezzare il cuore. Naturalmente Lara Jean pensa che sarà lei a farsi male, che un giorno Peter tornerà con la sua ex. Poi però un ragazzo proveniente dal passato arriva a scombussolare le sue certezze.

Una ragazza può amare due ragazzi?

A volte innamorarsi è la parte più semplice dell’amore.

Informazioni aggiuntive

Autore

Editore

ISBN-13

978-8817178808

Data di pubblicazione

22 settembre 2022

Lingua

Formato

Copertina flessibile, Copertina rigida

COD: 9216 Categoria: Tag: Product ID: 21236

Descrizione

Caro Peter,

mi manchi. Sono passati solo cinque giorni, ma mi manchi come se fossero cinque anni. Forse perché non so se le cose potranno mai cambiare, se io e te torneremo mai a parlarci. Cioè, sono sicura che ci saluteremo a lezione, o nei corridoi, ma tra noi tornerà mai come un tempo? È questo a rendermi triste. Sentivo di poterti raccontare tutto. Penso che tu provassi lo stesso. Lo spero.

Dunque ti dirò tutto anche adesso, prima che perda il coraggio di farlo. Quello che c’è stato tra noi nella vasca idromassaggio mi ha spaventata. So che per te non è stato niente di straordinario, ma per me ha significato molto, ed è questo ad avermi spaventata. Non solo il fatto che la gente abbia messo in giro brutte voci a riguardo, e su di me, ma il fatto stesso che sia successo. Che sia stato tutto così naturale, e che mi sia piaciuto. Mi sono spaventata e me la sono presa con te, e di questo ti chiedo scusa.

E poi mi dispiace di non averti difeso dagli attacchi di Josh alla festa. Avrei dovuto. Te lo meritavi. Non riesco ancora a credere che tu sia venuto e che tu abbia anche portato quei biscotti con la frutta secca. Sai, eri così carino con quel maglione. E non lo dico per rendermi simpatica. Lo penso sul serio.

A volte i sentimenti che provo per te sono così forti da diventare insopportabili. Mi inondano fino a traboccare. Mi piaci da impazzire. Quando so che sto per vederti, il cuore inizia a battermi forte. E poi, quando mi guardi in quel modo, mi sento la ragazza più fortunata del mondo.

Le cose che Josh ha detto su di te non sono vere. Tu non mi hai fatto soffrire, anzi, mi hai aperto un mondo. Mi hai regalato la mia prima storia d’amore, Peter. Ti prego, non lasciarla finire.

Con amore, Lara Jean

 

1

 

Kitty non fa che lamentarsi da quando si è svegliata, e sospetto che Margot e papà soffrano dei postumi della sbornia di Capodanno. E io? Ho gli occhi a cuoricino e una lettera che brucia nella tasca del cappotto.

Mentre ci mettiamo le scarpe, Kitty sta ancora cercando una scusa per non indossare il vestito tradizionale coreano per fare visita alla zia Carrie e lo zio Victor. «Guardate le maniche! A me arrivano a tre quarti!»

Con aria poco convincente, papà ribatte: «È così che devono stare».

Kitty indica me e Margot. «Allora perché a loro le maniche stanno bene?» La nonna ci ha comprato gli hanbok l’ultima volta che è stata in Corea. Quello di Margot ha una giacca gialla e una gonna verde mela. Il mio è di un rosa acceso, con una giacca avorio e un lungo fiocco con fiori ricamati sul davanti. La gonna è voluminosa, rigonfia, e scende fino a terra. A Kitty, invece, arriva alle caviglie.

«Non è colpa nostra se tu cresci a vista d’occhio» dico io, mentre mi affanno a fare il fiocco. Il fiocco è la parte più difficile da sistemare. Ho dovuto guardare varie volte un video su YouTube per capire come farlo, eppure è ancora floscio e sbilenco.

«Anche la gonna è troppo corta» borbotta Kitty sollevando l’orlo.

La verità è che mia sorella odia indossare l’hanbok perché ti obbliga a camminare con garbo e a tenere la gonna chiusa con una mano, altrimenti si apre.

«Lo indosseranno anche i vostri cugini, e la nonna ne sarà felice» dice papà massaggiandosi le tempie. «Fine della discussione.»

In macchina Kitty continua a ripetere: «Io odio il primo dell’anno», mettendo di cattivo umore tutti tranne me. Margot ha già la luna storta perché ha dovuto lasciare il rifugio di montagna all’alba per rientrare a casa in tempo. C’è anche la questione della probabile sbornia. Niente può riuscire a mettere me di cattivo umore, invece, perché io non sono neppure in quell’auto. Ho la mente altrove, concentrata sulla lettera per Peter. Mi sto domandando se sia abbastanza sentita, come e quando consegnargliela, quale sarà la sua reazione e come andrà a finire. Devo lasciargliela nella cassetta della posta? Oppure nell’armadietto? Quando lo vedrò, mi sorriderà e farà una battuta per alleggerire l’atmosfera? Oppure farà finta di non averla mai letta, per risparmiare a entrambi l’imbarazzo? Penso che la seconda opzione sarebbe la più dura da sopportare. Mi sforzo di rammentarmi che Peter, nonostante tutto, è gentile e alla mano, e non si comporterebbe mai in modo crudele. Di questo posso essere certa.

«A cosa pensi?» mi chiede Kitty.

La sento a malapena.

«Pronto? Ci sei?»

Chiudo gli occhi e fingo di dormire, e appare subito l’immagine di Peter. Non so cosa voglio esattamente da lui, che tipo di rapporto voglio – se una storia d’amore seria o quella che avevamo prima, fatta di divertimento e qualche bacio, oppure una via di mezzo – ma so che non riesco a togliermi dalla mente il suo bellissimo viso, il sorrisetto che fa mentre pronuncia il mio nome, il modo in cui a volte mi toglie il fiato quando mi è vicino.

Ovviamente, quando arriviamo a casa degli zii, nessuno dei cugini indossa l’hanbok, e Kitty diventa paonazza dalla rabbia. Anche io e Margot lanciamo a papà un’occhiataccia. Non è molto comodo indossare tutto il giorno l’hanbok. Poi, però, la nonna mi rivolge un sorriso di approvazione che compensa ampiamente il fastidio.

Mentre ci togliamo le scarpe e i cappotti nell’ingresso, sussurro a Kitty: «Chissà, forse gli adulti ci daranno più soldi, visto che ci siamo messe il vestito tradizionale…».

«Come siete carine!» esclama la zia Carrie abbracciandoci. «Haven si è rifiutata di indossare il suo!»

Haven alza gli occhi al cielo. «Bel taglio di capelli» dice a Margot. Tra me e Haven ci sono solo pochi mesi di differenza, ma lei si considera molto più grande di me. Cerca sempre di farsi amica Margot.

Per prima cosa risolviamo il rito dell’inchino. Nella cultura coreana il primo dell’anno ci s’inchina davanti ai familiari più anziani, augurando buon anno e in cambio si ricevono soldi. Si va dai più anziani ai più giovani; dunque, essendo la più vecchia, la nonna si siede sul divano per prima, e all’inizio si inchinano la zia Carrie e lo zio Victor, poi papà, e uno dopo l’altro tutti gli altri, fino ad arrivare a Kitty, che è la più piccola. Quando tocca a papà sedersi sul divano e ricevere gli inchini, c’è un posto vuoto accanto a lui, come sempre da quando è morta la mamma. Mi dà una fitta al cuore vederlo seduto da solo, con un sorriso coraggioso e dieci dollari in mano. La nonna incrocia di proposito il mio sguardo e so che sta pensando la stessa cosa.

Quando tocca a me inchinarmi, mi inginocchio, le mani giunte davanti alla fronte, e giuro che l’anno dopo non vedrò di nuovo mio padre da solo su quel divano.

Riceviamo dieci dollari dagli zii Carrie e Victor, dieci da papà, dieci dagli zii Min e Sam, che in realtà non sono nostri zii ma cugini di secondo grado (o si dice biscugini? Ad ogni modo, sono i cugini di mia mamma) e venti dollari dalla nonna! Non perché abbiamo indossato l’hanbok, ma tutto sommato è un buon incasso. L’anno prima gli zii ci avevano dato solo pezzi da cinque.

Dopo mangiamo la zuppa di riso, che porta fortuna. La zia Carrie ha anche preparato le polpette di fagioli e insiste a farcene assaggiare almeno una, anche se nessuno ne vuole. I gemelli, Harry e Leon (i nostri cugini di terzo grado? O triscugini?) si rifiutano di mangiare la zuppa di riso e le polpette di fagioli, preferendo crocchette di pollo davanti al televisore. Non c’è abbastanza posto a tavola, così io e Kitty restiamo in cucina. Da là sentiamo gli altri ridere.

Quando inizio a mangiare la zuppa, esprimo un desiderio. Ti prego, fa’ che tra me e Peter le cose si sistemino.

«Perché a me è toccata la ciotola più piccola?» sussurra Kitty.

«Perché sei la più piccola.»

«Perché non hanno dato anche a noi una ciotola di kimchi?»

«Perché la zia Carrie pensa che non ci piaccia, visto che siamo coreane solo per metà.»

«Va’ tu a fartelo dare» mi dice mia sorella a bassa voce.

Obbedisco, principalmente perché anche a me va di mangiarlo.

Mentre gli adulti bevono il caffè, Margot, Haven e io saliamo in camera di Haven, e Kitty si aggrega. Di solito lei gioca con i gemelli, ma stavolta prende in braccio lo Yorkshire della zia Carrie, Smitty, e ci segue al piano di sopra. Ormai si sente grande.

Haven ha poster di gruppi indie alle pareti; per me sono quasi tutti sconosciuti. Li cambia in continuazione. Ce n’è uno nuovo, una stampa in rilievo dei Belle and Sebastian. «Fantastico» dico io.

«Ho intenzione di toglierlo» replica Haven. «Puoi prenderlo, se ti va.»

«Non importa» dico. So che me lo sta offrendo solo per mostrarsi superiore, come suo solito.

«Lo prendo io» esclama Kitty, e Haven si acciglia per un secondo, ma mia sorella sta già staccando il poster dalla parete. «Grazie, Haven.»

Margot e io ci guardiamo trattenendo un sorriso. Haven non ha mai avuto molta simpatia per Kitty, e il sentimento è assolutamente reciproco.

«Margot, sei stata a qualche concerto da quando vivi in Scozia?» chiede Haven. Si lascia cadere sul letto e apre il portatile.

«Per la verità, no. Sono stata molto presa dallo studio.» Margot non è molto appassionata di concerti, ad ogni modo. Sta controllando il cellulare; ha la gonna dell’hanbok aperta come un ventaglio. È l’unica di noi Song a essere ancora tutta vestita. Io mi sono tolta la giacca, dunque ho solo la sottoveste e la gonna; Kitty si è tolta giacca e gonna, per cui indossa solo una canottiera e un paio di mutandoni.

Mi siedo sul letto di fianco a Haven, per farmi mostrare le foto della loro vacanza alle Bermuda su Instagram. Mentre le scorre, appare una foto della gita sulla neve. Haven fa parte della Charlottesville Youth Orchestra, perciò conosce persone di molte scuole diverse, compresa la mia.

Non riesco a frenare un sospiro quando la vedo: la foto di alcuni di noi sul pullman l’ultima mattina. Peter ha il braccio sulle mie spalle, mi sta sussurrando qualcosa. Purtroppo non ricordo cosa.

Sorpresa, Haven alza gli occhi e mi chiede: «Ehi, questa sei tu, Lara Jean. Dov’è stata scattata questa foto?».

«Durante la gita in montagna.»

«Quello è il tuo ragazzo?» mi chiede, e mi accorgo che è colpita, anche se cerca di nasconderlo.

Mi piacerebbe poter rispondere di sì. Ma…

Kitty si accosta a noi e guarda lo schermo. «Sì. È il ragazzo più figo che tu abbia mai visto in vita tua, Haven.» Lo dice con tono di sfida. Margot, che stava guardando il cellulare, alza gli occhi e ridacchia.

«Be’, non è proprio così» dico io evasiva. Voglio dire, Peter è il ragazzo più figo che abbia mai visto in vita mia, ma non so con che genere di gente Haven vada a scuola.

«Kitty ha ragione, è figo» ammette Haven. «Come siete finiti insieme? Ehm, non offenderti, ma pensavo tu fossi il tipo che non si interessa ai ragazzi.»

Mi acciglio. Per chi mi ha presa? Per una che sta in casa tutto il giorno ad ammuffire?

«Lara Jean frequenta un sacco di ragazzi» interviene Margot per difendermi.

Arrossisco. Io non esco mai con nessuno, Peter non so nemmeno se posso ancora contarlo, ma sono contenta di quella bugia.

«Come si chiama?» mi chiede Haven. +«Peter. Peter Kavinsky.» Anche solo pronunciare il suo nome è un piacere, un qualcosa da assaporare, come un pezzo di cioccolata che si scioglie in bocca.

«Oooh» esclama lei. «Pensavo fosse fidanzato con quella bionda molto carina. Come si chiama? Jenna? Tu e lei non eravate migliori amiche da piccole?»

Provo una fitta al cuore. «Si chiama Genevieve. Un tempo eravamo amiche, ora non più. E lei e Peter si sono lasciati da un po’.»

«Allora da quanto state insieme?» mi chiede Haven. Ha uno sguardo dubbioso, come se al novanta per cento mi credesse, ma avesse ancora un dieci per cento di dubbio.

«Abbiamo iniziato a frequentarci a settembre.» Almeno questo è vero. «In questo momento non stiamo insieme; ci siamo presi una specie di pausa… ma… io sono ottimista.»

Kitty mi preme il mignolo sulla guancia, creando una fossetta. «Stai sorridendo» dice, e anche lei sorride. Si accoccola al mio fianco. «Fate la pace oggi, va bene? Voglio che Peter torni nella mia vita.»

«Non è così semplice» rispondo, anche se forse, chissà, potrebbe esserlo?

«Certo che è semplice. Tu gli piaci ancora. Digli che anche tu sei ancora innamorata di lui e… bum, tornerete insieme. Il fatto che lo hai buttato fuori di casa verrà dimenticato.»

Haven sgrana gli occhi. «Lara Jean, sei stata tu a rompere?»

«Caspita, è così difficile da credersi?» La guardo in cagnesco, mentre lei apre e poi richiude saggiamente la bocca.

Dà un’altra occhiata alla foto di Peter. Poi si alza per andare in bagno e, mentre chiude la porta, aggiunge: «L’unica cosa che posso dire è che, se fosse il mio ragazzo, non me lo lascerei scappare».

Quelle parole mi fanno fremere.

Un tempo avevo pensato la stessa cosa di Josh, e adesso… sembrano passati un milione di anni e Josh è solo un ricordo. Non voglio che accada lo stesso con Peter. Non voglio che diventi un sentimento vecchio, così lontano da rendere difficile perfino ricordare il suo viso a occhi chiusi. Comunque vada, voglio ricordare per sempre il suo viso.

Quando è ora di andare, mi metto il cappotto e la lettera per Peter mi cade dalla tasca. Margot la raccoglie. «Un’altra lettera?»

Arrossisco. In tutta fretta rispondo: «Non ho ancora deciso come dargliela, se infilarla nella sua cassetta della posta oppure inviarla. Forse è meglio consegnargliela di persona? Gogo, tu cosa mi consigli?».

«Secondo me dovresti semplicemente parlargli» risponde lei. «Vai da lui. Possiamo darti uno strappo fino a casa sua. Gli dai la lettera e poi senti cosa ti dice.»

Il cuore inizia a martellare alla sola idea. Subito? Senza prima chiamare? Senza un piano? «Non so» rispondo esitante. «Forse è meglio se ci rifletto ancora.»

Margot apre la bocca per replicare, ma Kitty ci raggiunge da dietro ed esclama: «Finiscila con queste lettere! Va’ a riprendertelo, punto e basta».

«Prima che sia troppo tardi» aggiunge Margot, e so che non sta parlando solo di me e Peter.

Non ho mai affrontato direttamente l’argomento “Josh”, per via di quello che è successo tra noi. Cioè, Margot mi ha perdonata, ma non ha senso smuovere le acque. Dunque negli ultimi giorni ho fatto il tifo in silenzio e sperato che fosse sufficiente. Margot, però, tornerà in Scozia tra meno di una settimana. Il pensiero che se ne vada senza aver parlato con Josh non mi sembra giusto. Siamo amici da una vita. Tra me e lui le cose si sistemeranno, perché siamo vicini di casa, ed è così che va con le persone che vedi spesso. Lui e Margot, però, saranno distanti. Se non si chiariscono adesso, con il tempo la cicatrice non farà che indurirsi, inspessirsi, e allora diventeranno due sconosciuti che non si sono mai amati, e questo è tristissimo.

Mentre Kitty si sta mettendo gli stivali, sussurro a Margot: «Se io vado a parlare con Peter, allora tu dovresti andare a parlare con Josh. Non tornare in Scozia senza averlo fatto».

«Vedremo» risponde. Però noto un lampo di speranza nei suoi occhi, che dona speranza anche a me.

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