Descrizione
I codici della nostra speranza. Le religioni al tempo del virus
Stiamo camminando lentamente sull’orlo della nostra fragilità e non distinguiamo che cosa c’è oltre. Non conviene neanche guardare più di tanto, perché le vertigini potrebbero mettere pericolosamente alla prova il nostro equilibrio.
Pensavamo che l’esperienza della guerra fosse racchiusa nei filmati delle cineteche, nelle memorie dei sopravvissuti. Invece eccoci qui, siamo in guerra, alcuni negli avamposti, altri nelle retrovie, ma nessuno sa, di qui a poco, chi e che cosa resterà uguale a prima. Mentre nei laboratori si lavora senza sosta, cercando l’arma più combattiva del nemico, a noi, gente comune, cosa resta?
Una vita in stand-by?
L’osservanza dell’imperativo don’t touch, in un mondo tutto orgogliosamente touch?
L’attesa, il virtuale, la consolazione a misura di immagine o video condivisa via chat, dal taglio più o meno esilarante con stile?
La pubblicità progresso ci trasmette la pedagogia dei nuovi gesti, ricorda di prendere le dovute distanze anche da se stessi, in particolare evitare orecchie, naso, bocca e occhi. Nei discorsi confidenziali ci si chiede: basterà?
Non siamo pratici della materia, ma intuiamo che non ci sono risposte inoppugnabili. Il nemico è invisibile, quindi può essere ovunque e da nessuna parte. Le indicazioni degli esperti sono da tenere in conto e da rispettare non soltanto per sé, ma per senso di responsabilità. Improvvisamente non ci stringiamo più, ma scopriamo di far parte di una collettività, anch’essa invisibile nella sua unità. A volte appare come minaccia che può contagiare, altre come famiglia ilare, in cui il pericolo è velocemente esorcizzato grazie a una risata e alla condivisione di un ambiente finora sconosciuto, la quarantena (anche se “quarantena” non è)!
Perché è ovvio, se tu ti ammali, io finisco in isolamento fiduciario, volontario, diciamo pure obbligatorio, e viceversa!
E così … saremo insieme, uniti dallo stesso virus. E nella politica internazionale, come in quella minuta, il principio diplomatico conserva tutta la sua validità: il nemico del mio nemico è mio amico. E siamo tutti amici, ma ognuno chiuso in casa propria. E allora cosa resta?
Mentre gli analisti da laboratorio possono validamente applicarsi a nuove, salutari, chimiche vie della scienza medica, a noi, gente comune, forse restano da esplorare i geni di altri codici, quelli della nostra speranza. La si potrebbe attingere da tanti pozzi. Quando si partecipa a un concorso o a una gara si spera, ma anche quando si fa un incontro importante, persino quando si gioca una schedina. Nelle occasioni spicciole si confonde facilmente con il caso e con la fortuna. Nel frangente attuale ciò non potrebbe essere di grande aiuto, tutt’al più si potrebbe concretizzare in un augurio generico fatto di fatalismo. Ci sono dei codici antichi, specializzati nell’affrontare il male, dedicati ad aprire palestre sui tetti del mondo e sugli orli del baratro, e sono le religioni. Il XXI secolo sta destinando davvero uno spazio inedito al sacro, ne parla, lo analizza, lo mette in questione e in relazione. Gli aspetti formali della religiosità sono abbastanza popolari.
Persino in questi giorni, non sono mancati comunicati, videomessaggi, vignette un po’ da tutte le parti e a tutte le latitudini, veicoli di altrettante indicazioni e rassicurazioni. Nelle chiese evangeliche che non hanno sospeso i culti si ribadisce la distanza di sicurezza e di contattare il pastore per telefono in caso di bisogno, agli ebrei si ricorda di ricorrere ai social per non far sentire solo chi non può uscire, molti musulmani hanno procrastinato il pellegrinaggio alla Mecca, quanto ai cattolici, dove le chiese sono chiuse e le messe sospese, non ne facciano un dramma, e, se invece i riti resistono, dimentichino il segno di pace e la comunione sotto le due specie. E in tutti gli anni in cui abbiamo praticato, ricevuto, trasmesso, che cosa abbiamo costruito che ora ci può tornare utile, se non proprio la speranza come capacità di reazione e relazione prospettica?
Talvolta ho avuto la sensazione che questo aspetto sia stato messo molto da parte nei nostri metodi educativi, l’aspetto che induce a coltivare la fede per ricamare una bussola interiore, per affinare gli strumenti della speranza, quella modalità che entra in gioco specie quando il gioco si fa duro. Quando non molto tempo fa, ragionandone con qualcuno, mi sono sentita rispondere: Non avevo mai pensato alla religione in questi termini, mi sono detta che forse era il caso di farlo.
La seduzione del male – Il virus incoronato idolo? Il male è tale perché assoggetta a sé le proprie vittime. Talora ha un aspetto allettante, talaltra s’impone con prepotenza, ma il risultato è lo stesso: diventa signore e padrone. E separa la vittima da se stessa e dal suo nucleo generatore. In questo modo il male riesce a potenziarsi, man mano che gli viene lasciato spazio. Le grandi tradizioni religiose attaccano come nemico radicale gli idoli e l’idolatria. Nella Bibbia giudaico-cristiana si legge: Io sono il Signore Dio tuo… Non avere altro Dio oltre a me (Es 20,2-3); …il Signore è uno solo! Dt 6,4); nel Corano è scritto: Egli, Dio è uno …non c’è nessuno pari a lui (Cor 112, 1.4), che coincide anche con la prima parte del primo pilastro della fede islamica. Non si tratta di un principio teologico astruso, al contrario manifesta effetti molto pratici nella vita ordinaria. Iniziare e terminare la giornata consultando il bollettino (da guerra), comprensivo dei posti letto occupati presso i reparti di rianimazione, parlare continuamente, sentir continuamente parlare, anche in radio, televisione, sui social, del coronavirus, significa di fatto consegnargli le nostre vite, contagiati o non.
E quando il nostro tempo è totalmente dedicato a qualcuno o a qualcosa, questo diventa il nostro idolo, che ce ne accorgiamo oppure no. I nostri sentimenti di maggiore o minore devozione consapevole sono secondari. In un certo senso, l’azione, il fatto, parla di più. Malgrado quello che comunemente si crede delle religioni, più spesso viste come codici impositivi, autorità normative atte a restringere la libertà personale, queste contengono l’antidoto più potente contro la schiavitù.
Non accettare la dipendenza da uno o più idoli significa esercitare la signoria propria della libertà. Ciò non vuol dire sottovalutare o mistificare il male, significa non attribuirgli un posto che non è il suo. Un male può anche ucciderci, consegnarsi a lui, però, è qualcosa di diverso: è una scelta.
…decidete oggi chi volete servire (Gs 24,15), tuonava Giosuè a Sichem. Le religioni sono una via di riscatto e un continuo esodo dalla terra della schiavitù verso la terra della libertà.
Il buddhismo con il suo nobile ottuplice sentiero si propone come via di liberazione dal dolore. La cultura mondiale di ogni tempo ha prodotto grandi capolavori, che certamente offrono spunti alla resistenza e alla creatività. Va bene leggere e rileggere Giovanni Boccaccio, Alessandro Manzoni, Albert Camus, José Saramago e tanti altri. Ma perché non ritornare, osservando il presente, alla Bibbia, specie al libro dell’Esodo, ai Canestri della tradizione buddista, ai Veda, al Corano?
Riconoscere la signoria di Dio significa non finire schiavi di alcun potere. Significa spendere l’esistenza alla luce di un ordine dotato di senso. Oltre ad aver riconosciuto una corona, sarebbe bene non aggiungere scettro e trono a questo virus, non consacrare a lui il nostro tempo, tutte le nostre idee e nemmeno tutte le nostre paure. In fondo, è un nemico, sì, ma non certamente l’unico. Inoltre, il vaccino c’è …da qualche millennio.
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