Descrizione
DEFCON 5
Livello di allerta più basso.
1
Vista da un aereo, la macchina poteva sembrare uno scarabeo che arrancava lento su una spiaggia senza fine, con il sole che si rifletteva sulla sua corazza nera e lucente. In realtà procedeva a cinquanta chilometri orari, la massima velocità che si poteva tenere su una strada piena di buche e crepe imprevedibili. Non faceva piacere a nessuno dover cambiare una gomma in mezzo al deserto del Sahara.
La strada portava da N’Djamena, la capitale del Ciad, verso nord attraverso il deserto fino al lago Ciad, la principale oasi del Sahara. il panorama era una piatta distesa di sabbia e roccia con qualche cespuglio rinsecchito color paglia e pietre, grandi e piccole, disseminate a caso, il tutto della stessa tonalità di beige e desolato come un paesaggio lunare.
Il deserto era un po’ come lo spazio cosmico, pensò Tamara Levit, inquieta, e la macchina la loro astronave. E se la sua tuta spaziale avesse avuto un problema, lei sarebbe potuta morire. Il paragone bizzarro la fece sorridere. Ciononostante lanciò un’occhiata verso il fondo dell’auto, dove c’erano due grosse taniche di plastica piene d’acqua, sufficienti a tenerli in vita in caso d’emergenza, finché non fossero arrivati gli aiuti. Forse.
La macchina era americana, progettata per terreni impervi, alta da terra e con marce ridotte. I finestrini erano oscurati e Tamara indossava gli occhiali da sole, ma anche così la luce che si rifletteva sulla strada di cemento le feriva gli occhi.
Tutte e quattro le persone a bordo portavano occhiali da sole.
L’autista, Ali, era un uomo del posto, nato e cresciuto lì in Ciad. In città vestiva in jeans e T-shirt, ma quel giorno indossava l’abbigliamento tradizionale, una tunica lunga fino ai piedi chiamata galabia con una kefiah di cotone avvolta intorno alla testa per proteggersi dal sole impietoso.
Seduto davanti accanto ad Ali c’era un soldato americano, il caporale Peter Ackerman. Il fucile che teneva poggiato sulle ginocchia era una carabina leggera a canna corta in dotazione all’esercito americano. Il caporale aveva una ventina d’anni ed era uno di quei ragazzi che paiono sprizzare allegria e socievolezza. A Tamara, che di anni ne aveva quasi trenta, sembrava terribilmente giovane per maneggiare un’arma letale. Ma era un tipo sicuro di sé … Una volta aveva avuto persino la faccia tosta di chiederle di uscire. “Pete, tu mi piaci, ma sei decisamente troppo giovane per me” aveva risposto lei.
Di fianco a Tamara, sul sedile posteriore, c’era Tabdar Sadoul, detto Tab, attaché presso l’ambasciata francese a N’Djamena. Tab aveva i capelli di un bel castano lucido e li portava lunghi con un taglio alla moda, ma per il resto aveva l’aria di un uomo d’affari in vacanza, con i suoi pantaloni color kaki e la camicia button-down azzurra con le maniche arrotolate a mostrare i polsi abbronzati.
Tamara era assegnata all’ambasciata americana di N’Djamena. Era vestita come sempre quando lavorava, con un abito a maniche lunghe sopra un paio di pantaloni, i capelli scuri raccolti sotto un foulard. Era un abbigliamento pratico che non recava offesa a nessuno, e lei con i suoi occhi castani e la pelle olivastra non sembrava neppure una straniera. Nei paesi ad alto tasso di criminalità come il Ciad era più sicuro non farsi notare, specialmente per una donna.
Teneva d’occhio il contachilometri. Erano in viaggio da un paio d’ore ma ormai erano vicini alla loro destinazione. Tamara era in ansia per l’incontro che li aspettava. Da quello dipendevano molte cose, compresa la sua carriera.
«La nostra copertura è una missione conoscitiva» disse a Tab. «Sai qualcosa del lago?»
«Quanto basta» rispose lui. «Il fiume Chari nasce nell’Africa Centrale, scorre per millequattrocento chilometri e muore qui. n lago Ciad dà sostentamento a parecchi milioni di persone in quat tro paesi: Niger, Nigeria, Camerun e Ciad. Sono piccoli agricoltori, allevatori e pescatori. !I loro pesce preferito è il persico del Nilo, che può arrivare a pesare centottanta chili per quasi due metri di lunghezza.»
Con i francesi che parlavano in inglese, rifletté Tamara, avevi sempre l’impressione che stessero cercando di portarti a letto. E forse non era solo un’impressione. «Immagino che non ne prenderanno molti, di persici del Nilo, adesso che l’acqua è così bassa» osservò.
«Hai ragione. Un tempo il lago copriva un’area pari a ventiseimila chilometri quadrati, ma ora si è ridotto a circa milletrecento. Molte di queste persone rischiano di morire di fame.»
«Cosa ne pensi del progetto cinese?»
«Un canale lungo quasi duemilacinquecento chilometri che porta l’acqua dal fiume Congo? Al presidente del Ciad l’idea piace parecchio, e questo non mi sorprende. Potrebbe anche realizzarsi, i cinesi fanno cose incredibili, però non sarà a buon mercato e ci vorrà del tempo.»
Gli investimenti cinesi in Africa erano guardati dai superiori di Tamara a Washington e da quelli di Tab a Parigi con lo stesso misto di ammirazione e diffidenza. Pechino spendeva miliardi e faceva grandi cose, ma qual era il suo vero scopo?
Con la coda dell’occhio colse un lampo in lontananza, uno scintillio di luce sull’acqua. «Ci stiamo avvicinando al lago?» chiese a Tab. «Oppure era un miraggio?»
«Dobbiamo essere vicini» rispose lui.
«Le voilà» rispose l’autista.
L’auto rallentò approssimandosi a un incrocio segnalato soltanto da un cumulo di pietre. Lasciarono la strada e imboccarono una pista che attraversava un tratto ghiaioso. In certi punti era quasi impossibile distinguerla dal deserto che la circondava, ma Ali sembrava sicuro di sé.
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