Descrizione
Capitolo 1
Mi guardo intorno e ho la sensazione di essere una straniera a casa mia, nel mio paese.
La testa mi fa male e credo che la febbre stia di nuovo salendo.
Quando esco per raggiungere il parcheggio custodito dove dovrei trovare la BMW, un’aria fresca e umida m’investe, donandomi un leggero sollievo dal bruciore.
Il parcheggio è vicino. Lo raggiungo, sbrigo le formalità ed estraggo le chiavi dalla borsa.
Il custode, però, invece di salutarmi, esprime un’opinione. <<Deve essere molto fortunata. E’ appena uscita dal concessionario>>. Mi sorride.
Quell’affermazione mi colpisce come un pugno in pieno petto e mi fa sussultare. Non so se l’uomo del parcheggio se ne accorga perché io mi allontano da lui alla velocità della luce.
Anche se il mio pensiero infastidito si dissipa alzando il viso da terra. Non posso non notare, infatti, l’auto in lontananza, perché è quella che splende più di tutte. Premo la chiave che ho in mano e si accendono le frecce, facendo scattare la serratura. Ed è esattamente l’auto che sospettavo, avrei trovato. Una M3, blu notte.
Avanzo con cautela, rallentando il passo. Ho quasi il timore di avvicinarmi troppo, forse per rendermi conto che non è un incubo, ma la peggior realtà.
Sembra tutto normale. E’ esattamente come me la ricordavo l’ultima volta che l’avevo guidata, anche se non era la mia, ha solo la guida al contrario.
Apro il bagagliaio e ci infilo all’interno il trolley con beauty, poi salgo e mi abbandono un attimo su quel sedile, identico a quello cui siederà Lui a mille miglia da me, e finalmente mi lascio andare ai singhiozzi finora repressi, cercando di svuotare il dolore in un pianto liberatorio senza più paura di essere vista.
Cosa ne farò della collana? Degli orecchini? Perché mi ha fatto questo? Ha fatto la scelta giusta con l’assegno e poi? Mi ha deluso, mi ha fatto arrabbiare e mi ha ferito nell’orgoglio.
Perfino mio padre ci mette del suo, comprandomi un’auto che mai vorrei avere. Che cosa deciderò di fare? Guiderò? O la lascerò ammuffire nel garage? Per ora, l’unica cosa che può fare quest’auto è portarmi in Mortlake Road.
Accendo l’auto con il cuore in gola, in pezzi che non riesco a ricomporre, e parto. Cerco di mantenere la calma e il controllo per non sbandare o commettere errori catastrofici e cerco di visualizzare Jaide accanto a me, lato passeggero, che mi sprona a guidare e mi sorride. Un gemito stizzoso mi esce, ma sospiro e mi concentro sulla guida. Mi fermo alla rotonda, lascio la precedenza all’auto che la sta già attraversando, poi m’immetto e mi prometto che niente mi deconcentrerà. E, così, mi rendo conto che guidarla è facile come bere un bicchier d’acqua, proprio la stessa sensazione che avevo provato a Sharjah, il pomeriggio che l’ho guidata, un giorno fa che sembra appartenuto, però, a un’epoca lontana.
Dopo aver intrapreso le strade in direzione sud verso Central London, m’immetto nella M4. Il tutto nel più assoluto silenzio. Ascoltare musica in questo momento vorrebbe dire scoppiare in un pianto a dirotto e ciò offuscherebbe la mia vista, mettendo in pericolo la mia guida.
Quanto mi è mancato tutto questo verde rigoglioso!
Non appena supero il Tamigi attraverso il Kew Bridge, comincio a decelerare. La prossima volta che girerò a sinistra troverò il vialetto di casa mia e di Henry.
Pensare a Henry, mi fa dimenticare, per un secondo, l’estenuante sensazione di malessere che provo. Non ho ancora riacceso il cellulare e non so nemmeno se troverò qualcuno non appena varcherò la porta della nostra abitazione.
Dopo circa mezz’ora di strada, poco più, poco meno, non so come, in uno stato quasi comatoso e catatonico, finalmente raggiungo la mia tranquilla e storica villetta.
Parcheggio sotto gli occhi incuriositi dalla mia nuova auto della gente che cammina sul marciapiede, scendo e cerco le chiavi di casa nella borsa. Non riesco a trovarle e comincio a sentire il panico occupare il posto della disperazione, per poi trasformarsi in terrore quando capisco di averle lasciate al campus prima della mia partenza per gli Emirati.
Non è possibile! Che cosa faccio adesso?
Chiamerò Eva o Tess.
Riaccendo il mio Smartphone e compongo in tutta fretta il numero di Eva, il primo che mi capita sotto mano.
<<Sam? Sei tu? Sei tornata?>>, strilla con tutto l’entusiasmo che ha in corpo.
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