Descrizione
Esordio
Perché siamo tutti filosofi anche senza saperlo
Prenderla con filosofia
Difficilmente ho incontrato un’espressione più sbagliata e infelice di questa. Nell’uso comune si esorta a «prenderla con filosofia» chi è afflitto da un problema, un dubbio, da qualcosa che non lo lascia tranquillo. In questi casi, sempre nell’accezione comune, si intende, più o meno, «vivila con leggerezza», «non farne un problema», «fatti scivolare tutto addosso». Insomma, un invito alJa leggerezza, alla spensieratezza, alla frivolezza; in definitiva alla superficialità. O, al limite, al fatalismo. Prenderla con filosofia equivale così a non rifletterci troppo, a non cercate spiegazioni complesse. «Se puoi, fregatene, se ce la fai, infischiatene. Se non è proprio importante, vedi di lasciar perdere.
Ecco, se qualcuno ritiene che questo sia un atteggiamento corretto nei confronti della vita, sappia che ha in mano il libro sbagliato. E che la filosofia non fa per lui.
In primo luogo, perché la filosofia è l’esatto contrario della leggerezza, del lasciar perdere: la filosofia non vive sulla superficie della vita ma nella profondità della mente e dell’anima. La filosofia approfondisce, interroga senza sosta, indaga le cause di quanto succede, le origini di ciò che circonda l’uomo e nel quale l’uomo è immerso; non si accontenta mai, tende ad andare oltre anche quando ha raggiunto dei traguardi, i quali rimandano sempre, inesorabilmente, ad altri traguardi e altre mete. Se scopre qualcosa che può essere considerato una verità, un principio, volge il suo sguardo altrove, dove non ha ancora indagato, in quei territori della vita e della mente che non sono ancora passati al vaglio della sua incessante ricerca.
Ma non è solo questo. Penso che ognuno di noi, e non solo il filosofo «di professione», nella sua vita, faccia riflessioni su quanto gli succede; si forma delle idee, un pensiero proprio che spesso è molto vicino al pensiero filosofico di autori dei quali, magari, nemmeno conosce l’esistenza.
Si trovano tracce di filosofia nel pensiero di quasi tutti gli uomini. Provo a dimostrarlo in questo libro, soffermandomi su sei temi fondamentali della filosofia: il bene, il tempo, la persona, la coscienza di sé e l’autocoscienza, la morte, Dio. All’inizio di ogni capitolo osserveremo sinteticamente come e perché i temi trattati interrogano la filosofia; poi seguirà un racconto nel quale una o più persone comuni finiranno per confrontarsi con quel problema infine, dalle sei storie di vita narrate vedremo emergere consonanze, affinità, analogie e corrispondenze con il pensiero di uno o più filosofi, che i soggetti delle storie non conoscevano.
Di certo le persone di cui si racconta non «l’hanno presa con filosofia», ma al contrario hanno preso Ja vita sul serio, ci hanno ragionato su, proprio come Alessandro Manzoni che, quando gli chiesero come avesse fatto a scrivere I promessi sposi, rispose: «Ci ho pensato tanto su». In breve, hanno voluto capire, non si sono fermate ad accettare passivamente ciò che. accadeva, ma hanno voluto cercare di scoprire il perché, anche quando hanno capito che non era semplice, che sarebbe stato faticoso e forse impossibile. Non si sono arrese a quella che poteva sembrare l’evidenza, perché in realtà non c’era nulla di evidente: le piccole e grandi questioni della vita, spesso, sono invece nebulose, difficili, intricate proprio là dove appare difficile trovare il bandolo della matassa.
Che cos’è la filosofia.
La filosofia tratta domande generali Se le scienze «dure pongono domande particolari – Perché l’acqua bolle a una determinata temperatura? Quando si può stabilire il decesso di un uomo? Perché la Luna ruota attorno alla Terra?-, le domande cui cerca di rispondere la filosofia (non sempre riuscendoci) sono talmente generali che, come si dice, la filosofia si occupa del tutto, e insieme del problema della vita.
Si tratta di domande come: Perché nel mondo c’è qualcosa anziché niente? Noi esseri umani siamo liberi o siamo determinati da qualcosa di esterno a noi? Esiste Dio? La vita vale la pena di essere vissuta? Che cos’è il bene? Che cos’è il male? la morte conclude tutto c’è una vita oltre la morte? Si può dire che la filosofia si occupa del tutto perché è chiamata a fare domande e risolvere problemi che riguardano il senso generale dell’esistenza. Il tutto comprende quei grandi interrogativi, sconfinati, che l’essere umano, filosofo, si pone senza sosta. Domande che sorgono dalla vita delle donne e degli uomini che abitano questa Terra: è da lì che la filosofia prende le mosse. La filosofia non può mai guardare con sufficienza a nessuna esistenza umana, perché così tradirebbe il suo compito: occuparsi del problema della vita, la vita quotidiana. Altrimenti si corre il rischio – come sottolineò il filosofo tedesco Edmund Husserl nella sua opera La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1936)- che il pensiero si allontani dai «mondi della vita. (Lebenswelt), mondi concreti, visibili e pratici; quotidiani.
Non a caso, Aristotele nell’Etica Nicomachea sostiene che il metodo giusto per scrivere un’opera sia partire dalle opinioni comuni (in greco èndoxat cioè le più diffuse e anche le più autorevoli (che appartengono a coloro che sono considerati sapienti, filosofi compresi): era convinto che la verità si nascondesse nel mondo concreto, quello che conosciamo tutti, filosofi e non. Ecco perché la filosofia non può staccarsi dal problema della vita.
Come abbiamo detto, molte delle domande che si pone la filosofia coincidono con quelle dell’uomo comune. Magari l’uomo comune non si interroga in termini filosofici- altrimenti sarebbe un filosofo -, ma non cambia la sostanza, le domande rimangono le stesse.
Come scriveva giustamente Sofia Vanni Rovighi, filosofa tomista, nei suoi Elementi di filosofia (vol. I), «Infatti nel tutto sono dentro anch’io, e risolvere il problema de! tutto significa risolvere anche il problema dell’uomo, del valore della vita umana)}. Di fronte a una domanda sull’origine (da dove viene?) e sul fine (in che direzione va?) della vita umana, occorre allargare molto l’ambito della riflessione, e interrogarsi sull’anima umana, sull’universo, su Dio. Quindi, «dobbiamo studiare tutta, la realtà: il tutto, appunto. Il tutto e la vita umana si richiamano a vicenda e non sono separabili.
Le questioni generali, le grandi domande che abbiamo già sollevato, appartengono alla metafisica. L’uomo è un animale metafisico, va cioè al di là (dal greco metà) delle cose fisiche (dal greco phisikà). Nessun problema, più della morte, ci indica in che misura l’uomo sia un animale metafisico: perché la morte va al di là delle cose puramente fisiche e si interroga su ciò che fisico non è più: l’uomo che muore e il suo destino, il perché della morte.
I due limiti della filosofia: in alto la religione, in basso la scienza
La religione è da intendersi come dottrina, qualcosa cioè che insegna. Come sostiene ancora Sofia Vanni Rovighi, nell’opera citata, Partiamo dalla pura e semplice constatazione che c’è nella storia umana un/atto religioso, un insieme di convinzioni che si chiamano religione […]. Anche la religione si propone di far conoscere all’uomo il fine, e quindi il significato della sua vita, di indicargli i mezzi per conseguirlo […]. la conclusione sarà dunque che filosofia e religione 1n filosofia non si salta, si cammina: questa è la norma primaria del ragionamento e anche del confutare il ragionamento altrui.
La scienza è invece il limite inferiore della filosofia, sotto il quale si trovano la fisica, la matematica, la biologia, l’astronomia e così Via.
Se un fisico, per spiegare le sue teorie sulla gravità dei corpi sulla velocità delle particelle subatomiche, introducesse un elemento esterno – per dire: Dio, l’anima, qualche forma di anche (dal greco «inizio») – sconfinerebbe palesemente dal suo campo. La scienza descrive come accadono i fenomeni che analizza, e di solito, a prescindere dalla disciplina, sono fatti particolari: la filosofia si occupa del perché, non del come, e la sua ricerca verte su fatti universali, le cause supreme del tutto e della vita del l’uomo.
Perché
La filosofia è, come abbiamo detto, soprattutto domanda. Chiede: «Perché?» Quando le persone si interrogano sul perché della vita e del le sue questioni generali si è già entrati nella riflessione filosofica. Si è già. varcata la porta della filosofia. Ovviamente si può anche rinunciare a farsi domande e sfuggire, nella propria vita, a tutte le forze di coinvolgimento emotivo, razionale e di ogni altro tipo. Ma cos’è questo, se non rinunciare alla vita stessa? Quand’è cosl, prevalgono la mancanza di azione, l’incomunicabilità, la stasi totale, estrema, assoluta. Esattamente come nella parte teatrale Aspettando Godot di Samuel Beckctt (1906-1989), scrittore e drammaturgo irlandese, in cui due uomini, Vladimiro ed Estragone aspettano l’arrivo di un terzo di nome Godot, che però non arriverà mai Non si sa chi siano questi due individui che parlano attraverso dialoghi totalmente paradossali, non si sa dove si trovano né chi sia questo Godot e perché lo stiano aspettando. Nulla sembra interessare ai due personaggi, non hanno nessuna risposta. Il loro continuo e fallimentare tentativo di muoversi esprime l’insensatezza della vita umana, fatta di frustrazione: la mancanza di un perché si trasforma in mancanza di vita, da vivi. Vladimiro ed Estragone sono vivi senza vita, vivi senza perché. Il teatro dell’assurdo rappresenta l’assurdo di una vita senza perché, perché il perché non c’è.
Gianni Rodari, scrittore per l’infanzia, ha sostenuto che «Il gioco dei perché è il più vecchio del mondo. Prima ancora di imparare a parlare l’uomo doveva avere nella testa un gran punto interrogativo». Nel suo Libro dei perché ha scritto Storia di un perché.
Ci aiuta a capire la natura dei perché:
Una volta c’era un Perché, e stava in un vocabolario della lingua italiana a pagina 819. Si seccò di s tare sempre nello stesso posto e, approfittando della distrazione del bibliotecario, se la diede a gambe, anzi «a gamba», saltellando sulla zampetta della «p». Cominciò subito a dar fastidio alla portiera.
«Perché l’ascensore non funziona? Perché l’amministratore del condominio non lo fa riparare? Perché non c’è la lampadina al pianerottolo del secondo piano?»
La portiera aveva atro da fare che rispondere a un Perché tanto curioso. Lo rincorse con la scopa fin sulla strada e gli ingiunse severamente di non tornare più.
«Perché mi cacci?» domandò il Perché molto indignato: «Perché ho detto la verità?
»Se ne andò per il mondo, con quel brutto vizio di fare domande curioso e insistente come un agente delle tasse.
«Perché la gente butta la carta per terra invece di metterla negli appositi cestini?»
«Perché gli automobilisti hanno tanto poco rispetto dei poveri pedoni?»
«Perché i pedoni sono tan to imprudenti?»
Non era un Perché era una mitragliatrice di domande e non risparmiava nessuno […]. La Questura venne a sapere che c’era un Perché cosi e così, alto tanto e non di più, fuggito dalla pagina 819 del dizionario. Fece stampare la sua fotografia e la distribuì a tutti gli agenti, con questo ordine: «se lo vedete, arrestatelo e mettetelo al fresco» (e fa affiggere manifesti). «Perché» si domandava il povero Perché, succhiandosi il dito sotto uno di quei manifesti, «perché vogliono mandarmi al fresco? Forse non bisogna fare domande? La legge punisce i punti interrogativi?». Cerca e cerca, nessuno riuscì mai a trovarlo. Ad arrestarlo, poi, non ci riuscirebbero tutte le guardie del mondo, che sono milioni e parlano molte lingue. Si e nascosto tanto bene il nostro Perché un po’ qui e un po’ là, in tutte le cose. In tutte le cose che vedi c’e un Perché.
Perché è insopprimibile, se lo allontani ritorna ancora più pressante di prima. Se venisse dall’esterno dell’uomo, forse lo si potrebbe anche scacciare, ma il Perché non viene da fuori, ma da dentro. E allora l’impresa di scacciarlo diventa più complessa, anzi: impossibile. Dice bene il nostro Rodari: si è nascosto un pò qui e un po’ là, in tutte le cose. In tutto ciò che osserviamo c’è un Perché.
Tante cose hanno sì un perché, ma l’uomo non è in grado di trovarlo, di stanarlo, di portarlo allo scoperto (è il caso delle grandi domande della vita): proprio per questo non smetterà mai di cercarlo. Si chiederà sempre perché, dalle cose più piccole che per lui non hanno un gran significato a salire, fino al le grandi questioni. Del resto, già il bambino a un certo punto della sua evoluzione psicologica e linguistica comincia a chiedere insistentemente “perché?”. Certo, i suoi perché non hanno la valenza esistenziale di quelli di un adulto, ma indicano comunque la volontà di capire il motivo per cui succede qualcosa, o lo scopo per cui si deve fare qualcosa. Il suo è un perché cli base, il segno che sta iniziando a collegare le cose con altre cose, a interrogarsi sui comandi dei genitori e stupirsi di fronte. alle cose e ai fenomeni. Nell’adulto, il perché relativo alla vita termina con la vita stessa.
La meraviglia all’origine della filosofia
Come insegna Enrico Berti {1935.2022), insigne studioso de.ila filosofia antica, sia Aristotele sia Platone, i due maggiori filosofi greci, riconoscevano che il desiderio di sapere deriva dalla meraviglia provata di fronte «al darsi delle cose». E cos’è la meraviglia se non la consapevolezza della propria ignoranza, il desiderio di uscire da questa ignoranza, e quindi di imparare, di conoscere, di sapere? Dopotutto, in greco philosophèin significava «cercare di sapere».
Platone (428/427-348/347 a.e.) nella sua opera Teeteto, fa dire a Socrate, in dialogo con Teeteto: «È proprio deJ filosofo questo che tu provi, di essere pieno di meraviglia, né altro cominciamento ha il filosofare che questo, e chi disse che Iride fu generata da Taumante non sbagliò, mi sembra, nella genealogia». Iride era identificata con la filosofia ed era figlia di Taumante, nome che in greco richiama il verbo «meravigliarsi» (da thaumàzein, derivato da thàuma, «meraviglia»). La filosofia, quindi, è figlia della meraviglia.
Aristotele (384-322 a.C.) all’inizio della Metafisica scrive che «tutti gli uomini per natura tendono al sapere […] gli uomini, sia ora che in principio cominciarono a filosofare a causa del la meraviglia».
In epoca più recente, il concetto è stato ripreso da vari filosofi, tra cui Max Scheler (1874-1928), secondo il quale la religione nasce dal desiderio di salvezza dalla morte, e la filosofia dal desiderio di sapere. La scienza moderna, indissolubilmente legata alla tecnica, sorge invece dal «desiderio di potere», cioè di dominare la natura». La filosofia, dunque, nasce dalla meraviglia e non ha alcun fine pratico, né aggirare la morte, né il progresso materiale. D’altra parte, come da definizione Treccani, la meraviglia è «un sentimento che si prova nel vedere, udire, conoscere una cosa straordinaria, strana e comunque inaspettata», e che può accompagnarsi a sbalordimento, sorpresa, sbigottimento, stupore. Non è un atteggiamento estetico, come quando si ammira un’opera d’arte, e semmai un atteggiamento teoretico (che riguarda questioni teoriche, cioè conoscitive). Riprendendo ancora Berti, la meraviglia è puro desiderio di sapere. Ma che cosa si desidera sapere? In poche parole, ci domandiamo il perché, la spiegazione degli oggetti, degli eventi o delle azioni che osserviamo e di cui non riconosciamo subito la causa.
Può essere un’esperienza comune a tutti: a tutti può capitare di imbattersi in qualcosa che turba te nostre convinzioni e il nostro comportamento abituale, che ci spinge a riflettere e in una certa misura ci mette in crisi, perché quel che sappiamo o facciamo di solito entra in conflitto con le circostanze sopraggiunte. E anche questo la meraviglia, uno strappo, tra ciò che accade a noi o intorno a noi e le nostre consuetudini che erano anche all’origine della thàuma, la meraviglia dei Greci?
Della meraviglia si è occupato anche il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer (1788-1860), che nella sua celebre opera Il mondo come volontà e rappresentazione (1818/1819, seconda parte 1844, terza 1859) scrive: «Ad eccezione dell’uomo, nessun essere si meraviglia della propria esistenza […]. La meraviglia filosofica è viceversa condizionata da un più elevato sviluppo dell’intelligenza individuale, tale condizione non e certamente l’unica, ma è invece la cognizione della morte, insieme con la vista del dolore della miseria della vita, che ha dato senza dubbio l’impulso più forte alla riflessione e alle spiegazioni metafisiche deI mondo». la meraviglia, dunque, può nascere anche dallo scandalo, da) naufragio della mente che non riesce a cogliere le ragioni di quanto di negativo accade nel mondo degli uomini. Come dicevamo a proposito della filosofia e del suo oggetto: il tutto e la vita dell’uomo.
Ci sono aspetti nella vita dell’uomo che destano angoscia, davanti ai quali il pensiero, colto da un senso di disorientamento, naufraga, come amava dire il filosofo tedesco Kart Jaspers: una sorta di meraviglia di fronte alle cose negative, quello che i Latini chiamavano mysterium iniquitatis, il mistero del male, tema presente soprattutto, ma non esclusivamente, nella riflessione filosofica cristiana. L’uomo si trova di fronte allo skàndalon (termine greco che significa «ostacolo», «inciampo»), che desta stupore e smarrimento, dubbio, turbamento, incertezza. Meraviglia di fronte all’ignoto, all’incontrollabile, al non comprensibile dalla nostra mente.
Il chiedersi perchè legato alla meraviglia, allo stupore, al naufragio cosi come alla bonaccia.
Siamo tutti filosofi.
Guardare con gli occhi dei Greci ai nostri giorni
Marino Gentile (1906-1991), filosofo italiano, sosteneva che bisogna guardare il mondo «con occhi greci», cioè osservare quel che è intorno a noi e meravigliarsi che le cose stiano in un certo modo. Non dismettere la meraviglia come un vecchio arnese, ma considerarla sempre per quello che è, indipendentemente dalle epoche e dai secoli: un atteggiamento di apertura nei confronti della realtà, la quale supera spesso il pensiero, è più avanti, anche quando ci appare peggiore delle realtà precedenti. In tutti i casi, la realtà è reale e il pensiero è astrazione.
In tedesco, «esperienza» si dice Erfahrung, termine che ne contiene un altro, Fahrt, che vuol dire «viaggio». Dunque l’esperienza come viaggio nel mondo: tra eventi, fatti, dati, avvenimenti, tragedie, naufragi, assurdità, bellezza, bontà e malvagità; ma un viaggio pensoso, nel quale l’uomo, per sua natura cioè anche senza la volontà esplicita di farlo-pensa, riflette, ragiona, si meraviglia, si scervella, medita In una parola, filosofa, anche senza saperlo.
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