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Spare. Il minore

Author: Prince Harry

25,00

È stata una delle immagini più strazianti del Ventesimo secolo: due ragazzini, due principi, che seguono il feretro della madre sotto gli occhi addolorati e sgomenti del mondo intero. Mentre si celebrava il funerale di Diana, principessa del Galles, miliardi di persone si chiedevano quali pensieri affollassero la mente di William e Harry, quali emozioni passassero per i loro cuori, e come si sarebbero dipanate le loro vite da quel momento in poi. Finalmente Harry racconta quella storia, la sua. Prima di perdere la madre, il principe Harry, all’epoca dodicenne, era considerato l’allegra e spensierata “riserva” (in inglese spare) del più serio erede al trono. Quel lutto, però, ha cambiato ogni cosa. Harry si è trovato ad affrontare problemi scolastici e a combattere contro la rabbia e la solitudine. E avendo incolpato la stampa per la morte della madre, faticava ad accettare una vita sotto i riflettori. A ventun anni è entrato nell’esercito. La disciplina gli ha dato stabilità, e le missioni svolte hanno fatto di lui un eroe in patria. Ma ben presto si è ritrovato più smarrito che mai, affetto da un disturbo da stress post-traumatico e da paralizzanti attacchi di panico. E, soprattutto, non riusciva a trovare il vero amore. Poi ha conosciuto Meghan. Il mondo è rimasto conquistato da quella storia da film e ha gioito per il loro matrimonio da favola. Eppure, fin dal principio, Harry e Meghan sono stati presi di mira dalla stampa e hanno dovuto subire ondate di insulti, razzismo e menzogne. Vedendo la moglie soffrire e temendo per la loro sicurezza e salute mentale, Harry si è trovato costretto a lasciare il paese per impedire che la storia, tragicamente, si ripetesse. Nei secoli, in pochi avevano osato abbandonare la famiglia reale. L’ultima era stata proprio sua madre. Per la prima volta, il principe Harry racconta la sua storia, e lo fa con implacabile onestà. Spare. Il minore è un libro eccezionale, denso di particolari, rivelazioni e riflessioni intime, e illuminato dalla consapevolezza – conquistata a caro prezzo – che l’amore vince sempre sul dolore.

Informazioni aggiuntive

Editore

Data di pubblicazione

10 gennaio 2023

ISBN-13

978-8804754985

Lingua

Italiano

Formato
Copertina flessibile

€ 25,00

COD: 8481 Categoria: Tag: Product ID: 20706

Descrizione

Ci accordammo per incontrarci qualche ora dopo il funerale a Frogmore Gardens, presso l’antica rovina gotica. Arrivai per primo.

Mi guardai intorno, non vidi nessuno.

Controllai il telefono: niente SMS, niente messaggi vocali.

“Probabilmente sono in ritardo” pensai appoggiandomi al muretto.

Infilai il telefono in tasca e mi imposi di restare calmo.

Il tempo era quello classico di aprile: non più inverno, non ancora primavera. Gli alberi erano spogli, ma l’aria dolce; il cielo grigio, ma i tulipani fiorivano; la luce era pallida, ma il lago color indaco, che si insinuava nei giardini, scintillava.

“È tutto così bello” pensai. “Ma anche molto triste.”

Un tempo, questa avrebbe dovuto essere la mia casa per sempre, e invece si era rivelata solo un’altra breve tappa.

Quando mia moglie e io siamo fuggiti da questo luogo, temendo per la nostra salute mentale e la nostra sicurezza, non sapevo nemmeno se sarei mai tornato. Era il gennaio del 2020. Adesso, quindici mesi più tardi, eccomi di nuovo qui, poche ore dopo essermi svegliato con trentadue chiamate senza risposta e poi una breve, angosciante telefonata con la nonna: «Harry… Il nonno se n’è andato».

Il vento rinforzò, facendosi più freddo. Incurvai le spalle, mi sfregai le braccia e rimpiansi di aver indossato una camicia bianca leggera. Desiderai non essermi cambiato dopo il funerale. Voltai le spalle al vento e vidi incombere su di me la rovina gotica, che in realtà è antica quanto la Millennium Wheel. “Un abile architetto, un po’ di messinscena, come molte delle cose che mi circondano” pensai.

Mi spostai dal muro verso una panchina di legno e, sedendomi, ricontrollai il telefono, poi sbirciai lungo il sentiero del giardino.

“Dove sono?”

Un’altra folata di vento. Buffo, perché mi ricordò il nonno. Forse la sua freddezza o il suo gelido senso dell’umorismo. Mi tornò alla mente un fine settimana di caccia di tanti anni prima: per fare conversazione, uno dei presenti chiese al nonno cosa ne pensasse della barba che mi ero appena fatto crescere, e che aveva suscitato preoccupazioni in famiglia e polemiche sui media. «La regina dovrebbe obbligare il principe Harry a radersi?» Il nonno guardò il cacciatore, poi il mio mento e fece un sorriso malizioso: «Ma quella non è una barba!».

Tutti scoppiarono a ridere. Radersi o non radersi, questo è il dilemma, ma solo il nonno avrebbe potuto chiedere “più” barba. «Lasciati crescere le fluenti setole di un maledetto vichingo!»

Pensai alle opinioni forti del nonno e alle sue molte passioni: le gare equestri di attacchi, il barbecue, la caccia, il cibo, la birra. In comune con mia madre aveva il modo di abbracciare la vita, e forse per questo la ammirava molto. Ben prima che diventasse la principessa Diana, quando era semplicemente Diana Spencer, un’insegnante di scuola materna e fidanzata segreta del principe Carlo, mio nonno era stato il suo più acceso sostenitore. Alcuni dicono che in realtà sia stato lui a fare da intermediario per il matrimonio dei miei genitori. In tal caso, si potrebbe dire che il nonno è stato la causa prima della mia venuta al mondo: se non fosse stato per lui, non sarei qui.

E nemmeno mio fratello maggiore.

Dal canto suo, nostra madre forse sarebbe qui, invece. Se non avesse sposato papà…

Ricordai una delle ultime chiacchierate con il nonno, io e lui da soli, poco dopo il suo novantasettesimo compleanno. Stava pensando alla fine: non era più in grado di assecondare le sue passioni, aveva detto. Eppure la cosa che più gli mancava era il lavoro. In assenza di quello, aveva proseguito, crolla tutto. Non sembrava triste, solo pronto. «Devi sapere quando è il momento di andare, Harry.»

Tornando al presente, guardai in lontananza, verso le cripte e i monumenti che si stagliavano nel cielo lungo Frogmore. Il Royal Burial Ground, luogo dell’ultimo riposo di tanti di noi, compresa la regina Vittoria, ma anche la famigerata Wallis Simpson e suo marito, il doppiamente famigerato Edoardo, mio pro-prozio che aveva abdicato per Wallis ed era fuggito dalla Gran Bretagna. Lui e la moglie, però, vollero con forza essere sepolti proprio qui. L’idea dell’ultimo riposo in questi giardini li ossessionava. La regina, mia nonna, glielo aveva concesso, ma collocandoli a una certa distanza da tutti gli altri, sotto un platano curvo. Magari un ultimo ammonimento. Forse un ultimo esilio. Mi chiesi cosa pensassero adesso Edoardo e Wallis di tutti quei crucci. Alla fine erano importanti? Forse non se lo stavano neppure chiedendo. Fluttuavano in qualche reame etereo meditando sulle scelte compiute oppure erano nel Nulla e pensavano al Niente? Dopo tutto questo ci sarà davvero il Nulla? La coscienza, così come il tempo, si ferma? Pensai anche che, proprio qui, proprio ora, potessero essere accanto alla rovina finto-gotica, oppure vicino a me a leggere i miei pensieri. In quel caso… potrebbe esserci anche mia madre?

Come sempre, pensare a lei mi dava un sussulto di speranza, e una carica di energia, ma anche una fitta di dolore.

Mia madre mi manca sempre, ma quel giorno, in attesa di un incontro a Frogmore che sapevo sarebbe stato snervante, mi ritrovai a desiderare la sua presenza, anche se non saprei spiegarne il motivo. Come tante cose che la riguardano, era difficile da esprimere a parole.

Sebbene mia madre fosse una principessa con il nome di una dea, trovo deboli e inadeguate entrambe queste definizioni. In genere viene paragonata a icone e santi, da Nelson Mandela a Madre Teresa a Giovanna d’Arco, ma qualsiasi raffronto, per quanto nobile e affettuoso, non mi sembra cogliere nel segno. Mia madre, la donna più riconoscibile del pianeta, una delle più amate, era semplicemente indescrivibile, questa è la verità. Eppure… com’è possibile che una persona che il linguaggio quotidiano non riesce a descrivere resti così viva, così concreta e presente, così squisitamente nitida nella mia mente? E com’era possibile che la vedessi con la stessa chiarezza del cigno che nuotava verso di me sul lago color indaco? Com’era possibile che sentissi ancora la sua risata, forte come il canto degli uccelli tra gli alberi spogli? Ci sono tante cose che non ricordo, perché ero molto giovane quando è morta, ma il miracolo più grande era rammentare comunque. Il suo sorriso irresistibile, i suoi occhi vulnerabili, la sua passione infantile per film, musica, abiti, dolci. E per noi. Oh, quanto amava mio fratello e me. «In maniera ossessiva» aveva confessato in un’intervista.

Be’, mamma… lo stesso vale per me.

Forse era onnipresente proprio per lo stesso motivo per cui era indescrivibile: perché era luce, una luce pura e radiosa, e come si può raffigurare davvero la luce? Persino Einstein aveva faticato a farlo. Di recente, gli astronomi hanno puntato i loro telescopi più potenti verso una minuscola fessura nel cosmo e sono riusciti a intravedere una sfera che li ha lasciati sbalorditi: l’hanno chiamata Earendel, che in inglese antico significa “Stella del mattino”. A miliardi di chilometri da noi, e probabilmente svanita da millenni, Earendel era più vicina al Big Bang, al momento della Creazione, rispetto alla nostra Via Lattea, eppure è ancora visibile ai nostri occhi mortali perché straordinariamente brillante e abbagliante.

Ecco, mia madre era così.

E per questo riuscivo a vederla, a percepire sempre la sua presenza, in particolare in quel pomeriggio di aprile.

Per questo, e perché avevo raccolto il suo testimone. Ero venuto a Frogmore perché cercavo un po’ di pace: la desideravo più di qualsiasi altra cosa, e la volevo per il bene della mia famiglia, e per il mio, ma anche per il suo.

La gente dimentica quanto mia madre anelasse alla pace. Aveva girato il mondo più volte, camminato nei campi minati, stretto in un abbraccio pazienti affetti da AIDS, consolato orfani di guerra, e lavorava sempre per portare conforto a qualcuno in un qualsiasi punto del globo, ma io sapevo quanto disperatamente avrebbe voluto – no, voleva – la pace tra i suoi figli, e tra noi due e papà. E in tutta la famiglia.

I Windsor erano in guerra da mesi. Le liti in famiglia si susseguono da secoli, ma questa volta era diverso. Era stata una frattura pubblica a pieno titolo e minacciava di diventare irreparabile. Quindi, anche se ero tornato in patria unicamente per il funerale del nonno, avevo colto l’occasione per chiedere un incontro segreto con Willy, mio fratello maggiore, e con mio padre per parlare della situazione.

Per trovare una via d’uscita.

Guardai di nuovo il telefono, poi il sentiero, e pensai: “Forse hanno cambiato idea, forse non verranno”.

Valutai persino se rinunciare e fare una passeggiata da solo nei giardini o tornare alla casa dove tutti i miei cugini erano riuniti a bere e a raccontarsi storie sul nonno.

Poi, finalmente, li vidi. Spalla a spalla, venivano verso di me con un’espressione cupa, quasi minacciosa: sembravano perfettamente in sintonia. Sentii un vuoto allo stomaco. Di norma, avrebbero battibeccato per una cosa o l’altra, ma in quel momento davano l’impressione di avanzare all’unisono, alleati.

Più che a una chiacchierata sembravano pronti a un duello.

Mi alzai dalla panchina, avanzai incerto verso di loro con un lieve sorriso che non ricambiarono. In quel momento il cuore cominciò a battermi forte in petto. “Fa’ un respiro profondo” mi dissi.

Paura a parte, provavo una sorta di iperconsapevolezza e un’intensa, profonda vulnerabilità, la stessa che avevo sentito in altri momenti chiave della mia vita.

Quando avevo camminato dietro il feretro di mamma.

Quando ero andato in battaglia per la prima volta.

Quando avevo tenuto un discorso in pubblico nel pieno di un attacco di panico.

Avevo la stessa sensazione di imbarcarmi in un’impresa senza sapere se ne ero in grado, eppure pienamente consapevole di non poter tornare indietro. Sentivo che la ruota del Destino si era messa in moto.

“Bene, mamma” pensai affrettando il passo. “Ci siamo. Augurami buona fortuna.”

Ci incontrammo al centro del sentiero. «Willy? Papà? Ciao.»

«Harold.»

Dolorosamente freddi.

Ci girammo, e in fila percorremmo il sentiero di ghiaia superando un ponticello di pietra coperto d’edera.

La maniera in cui ci allineammo in sincrono, il modo in cui adottammo lo stesso passo misurato con la testa china, e la vicinanza di quelle tombe… impossibile non ricordare il funerale di mamma. Mi imposi di non pensarci e di concentrarmi sul gradevole rumore dei nostri passi sulla ghiaia e su come le nostre parole volavano via come pennacchi di fumo nel vento.

Da veri britannici, e da Windsor, iniziammo con le chiacchiere di circostanza sul tempo. E ci scambiammo opinioni sul funerale del nonno. Era stato lui a stilare il programma, fino all’ultimo dettaglio, ricordammo con un sorriso triste.

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