Descrizione
COME È NATA CUCINA BOTANICA
La scelta di mangiare vegetale ha determinato importanti cambiamenti nella mia vita. Il viaggio – per mantenere la definizione data poco fa – non solo si è concluso con un nuovo stile di alimentazione, ma ha anche dato un indirizzo alla mia vita che mai avrei previsto.
All’università, infatti, avevo studiato moda. Dopo i primi anni a Milano, mi ero trasferita a Firenze per completare un master e lì ero poi rimasta quando mi erano stati offerti uno stage e poi il mio primo lavoro. Ero assistente della merchandiser di un noto brand di alta moda, la figura professionale incaricata di decidere quali vestiti mandare in ciascun negozio del mondo. Per darvi un’idea, nel negozio di Stoccolma non si facevano arrivare costumi da bagno a maggio e in Asia in generale non erano apprezzati gli abiti troppo scollati, mentre nella boutique di Miami si vendevano bene tutti i capi più colorati e originali. Ogni negozio aveva il suo assortimento e stabilire quale dovesse essere era un lavoro bellissimo, a sentirlo raccontare. Ma, nella pratica, trascorrevo le giornate davanti al computer, a compilare infiniti file Excel. Ben presto ho cominciato a sentirmi frustrata e insoddisfatta. Quello che avrebbe dovuto essere il lavoro dei sogni, quello per cui avevo studiato anni, non mi piaceva per niente.
A peggiorare le cose c’era il fatto che nel tempo libero avevo ben poco da fare. Il mio compagno era a Milano, io vivevo in un piccolo paese appena fuori Firenze dove non conoscevo nessuno. Sopraffatta dalla noia, cucinavo. Mi piaceva e mi dava soddisfazioni, perché ai fornelli mi sembrava di dar sfogo alla creatività che non trovava spazio in ufficio. E quando ho sentito di aver esaurito le ricette conosciute, ho pensato che fosse una buona idea seguire un corso. “Potrebbe essere anche l’occasione per conoscere persone”, mi sono detta. Per fortuna, a Firenze, patria della fiorentina, ho trovato una scuola di cucina che offriva corsi serali di cucina vegana, dove un professionista faceva uno show cooking a cui gli studenti partecipavano. Mi sono iscritta a diverse serate, niente di troppo impegnativo: una volta ogni tanto staccavo dal lavoro e mi presentavo in quella cucina, dove mi divertivo da morire. “Che lavoro fantastico” mi dicevo, osservando il cuoco. Tornata a casa toglievo il grembiule, e la mattina dopo infilavo i tacchi e tornavo in ufficio, a compilare file Excel.
Non era la vita che desideravo, infatti ogni venerdì sera salivo in macchina e tornavo a Milano, da Simone e dalla mia famiglia, con cui mi lamentavo spesso del lavoro. E forse quelle sarebbero rimaste chiacchiere, se una sera, sull’autostrada che correva verso nord, due auto davanti a me non si fossero leggermente toccate nella corsia di sorpasso. È stata questione di un secondo: hanno cominciato a sbandare e io, che ero appena dietro, lanciata a più di cento chilometri all’ora, ho quasi perso il controllo. Non so come, ma sono riuscita a tenere le mani saldamente sul volante e ad accostare nella corsia d’emergenza. Sconvolta, con il cuore a mille e con un pensiero in testa: basta un attimo per farsi molto male o, peggio ancora, per morire.
Questo episodio, che non ha avuto alcuna conseguenza pratica oltre a qualche ammaccatura sulle carrozzerie delle due auto davanti, ha cambiato la mia prospettiva sulla vita che avevo scelto. Sono arrivata a casa con gli occhi spalancati, agitatissima. Del tempo l’ho dedicato a calmarmi, poi il giorno dopo mi sono connessa a internet per digitare nel motore di ricerca «miglior corso di cucina vegana al mondo». Ripensando all’anno appena passato, quella era l’unica cosa che mi fosse davvero piaciuta. Volevo darmi un’opportunità, così ho individuato uno chef americano che mi sembrava davvero referenziato. Oltre a dirigere decine di ristoranti plant-based, aveva anche una scuola. Non ho perso tempo e mi sono iscritta al corso, che sarebbe iniziato qualche settimana dopo. Poi, il lunedì mattina, sono tornata a Firenze per dare le dimissioni dal lavoro. E a luglio ero a Los Angeles.
In origine l’idea era restare due mesi, ma concluso il corso il mio visto era ancora valido, così mi sono iscritta ad altre lezioni. L’ultimo giorno, quello dell’esame finale, i membri della commissione hanno assaggiato il mio piatto e mi hanno proposto di restare: non come alunna, ma come assistente.
Avevo imparato tanto, e la mia cucina si notava tra quella degli altri allievi grazie alle mie origini italiane, che sicuramente mi avvantaggiavano. In tarda mattinata ho finito l’esame, due ore dopo stavo firmando il contratto d’assunzione e nel pomeriggio già lavoravo. Mi sembrava un sogno: seppur come assistente – quella che portava i piatti e le pentole sporchi da una stanza all’altra – avevo trovato un lavoro nel settore che mi appassionava: la cucina.
Finalmente ero felice, facevo un lavoro che mi faceva sentire viva e che mi gratificava. È stato tutto perfetto, perché qualche mese dopo la scuola mi ha mandata a Barcellona, dove avevano aperto una nuova sede, questa volta come insegnante. E successivamente mi hanno fatta rientrare in Italia, a insegnare prima in un pop-up fisico e poi nei corsi online, sempre gestiti dalla scuola.
Finché, un anno dopo, nel pieno del successo e con i corsi al completo per le tante iscrizioni, la scuola ha chiuso. Per problemi interni legati alla dirigenza, ci hanno spiegato. E io mi sono ritrovata da una settimana all’altra senza lavoro.
Sono andata nel panico, ovviamente. Ho mandato curricula a tutte le scuole di Milano, ma sembrava che a nessuno servisse un’insegnante di cucina vegana. Mi sono disperata, poi ho deciso di reagire e trovare comunque una soluzione. Avrei organizzato corsi nella mia cucina. L’unica che avevo, quella di casa mia! Così ho aperto una partita IVA e mi sono attrezzata con tutti i permessi. E sin da subito ho capito che sarebbe stato difficile vivere di quello: banalmente, non c’era abbastanza richiesta. In quel momento ho scoperto di condividere con mia madre il grande senso pratico; da lei ho imparato che davanti a un ostacolo esistono infinite soluzioni, e che nella nostra vita dobbiamo tirarci su le maniche e lottare per ottenere ciò che desideriamo. Infinite volte mamma mi ha mostrato con il suo esempio quanto sia importante aver fiducia nelle proprie capacità. Ha sempre incoraggiato me e mia sorella a viaggiare, studiare, non porci limiti, inventare il nostro futuro. Quando ho annunciato che intendevo licenziarmi e usare tutti i miei risparmi per seguire un corso di cucina vegana a Los Angeles, la sua risposta è stata: «Brava, vai, vivi la vita come ti rende felice». Senza il suo esempio, forse mi sarei scoraggiata e avrei rinunciato, tornando alla moda.
Invece ho individuato il problema – come potevo far conoscere i miei corsi? – e ho cercato una possibile soluzione sui social. Avrei provato YouTube. E anche Instagram. E così è nata Cucina Botanica, che all’inizio era lo strumento per farmi conoscere come insegnante, ma che in poco tempo ha cominciato a funzionare meglio dei corsi che avrebbe dovuto promuovere. I follower sono cresciuti, a migliaia, e già alla fine del primo semestre erano tantissimi. In Italia c’erano già persone interessate alla cucina vegetale, in cerca di ricette e consigli. I brand hanno cominciato a contattarmi per inserire i loro prodotti nei miei contenuti. E questo ha fatto sì che potessi continuare a produrre video e ricette gratuite per chi mi seguiva. Insomma, quello che era nato come mezzo per farmi pubblicità è diventato un lavoro. E non solo, in poco tempo si è trasformato nel mio lavoro principale! E ho scoperto che è un lavoro che adoro, perché sui social e sulle pagine dei libri in fondo continuo quello che facevo anche prima: insegno, parlo di ricette, cucino, interagisco con le persone… e posso farlo con migliaia di “alunni” nello stesso momento.
Recensioni
Ancora non ci sono recensioni.