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Il coropo di Marisa
… lei respirava piano, i glutei sembravano di marmo alla luce della luna…
A quattordici anni ero grasso e da quando avevo cominciato ad andare a scuola mi avevano sempre chiamato “cicciobomba”. Per di più avevo gli occhiali ed ero timido, arrossivo come uno scemo e quindi, ovviamente, non ero il più ricercato o il più conteso.
Mia madre lavorava come cassiera in un bar, mio padre era elettrotecnico ed ero figlio unico, ben felice di restarmene a casa da solo tutti i pomeriggi.
Non amavo lo sport, di nessun genere, sport voleva dire competizione, ma io non potevo competere, con i miei chili di troppo e gli occhi miopi perciò odiavo le ore di ginnastica, a volte arrivavo persino ad invidiare di non essere come Antonio, un ragazzino di una classe più avanti di me che era in sedia a rotelle, almeno non mi avrebbero costretto a provare a correre, a saltare, a giocare al pallone…
Mi piaceva starmene seduto sul divano, con la TV accesa e in mano qualcosa da mangiare, qualsiasi cosa andava bene, merendine, patatine, pop-corn, cioccolato… Mangiavo e mi sentivo meglio, senza dover competere con nessuno.
Poi arrivò Marisa e la mia vita cambiò. Marisa aveva diciannove anni ed era la figlia di un’amica di mamma che viveva in un’altra città; si era appena diplomata infermiera e doveva fare sei mesi di specializzazione nell’ospedale della nostra città, così le due amiche si telefonarono, mamma e papà confabularono e alla fine fu presa la decisione, Marisa sarebbe venuta ad abitare con noi per quei sei mesi. Mamma spostò la televisione in cucina, il salotto sarebbe diventato la camera di Marisa e mi raccomandò di essere gentile con lei, di non stressarla troppo con domande varie e di essere sempre educato come mi aveva insegnato lei, insomma di fare il bravo bambino, perché per lei ero ancora e sempre un bambino.
Il giorno che Marisa varcò la soglia della nostra casa io mi innamorai di lei: era esattamente come le principesse delle fiabe, capelli biondi inanellati, occhi azzurri, una boccuccia sorridente e una voce melodiosa.
E poi era gentile, sempre, con tutti, persino con me, sembrava quasi che mi considerasse un adulto, come gli altri e non il brutto rospo che mi sentivo.
Si installò nella stanza e cominciammo la vita in comune. Per modo di dire: lei si alzava prestissimo e usciva di casa che mamma stava appena preparando la colazione e rientrava tardi, un saluto e via a letto.
Indossava sempre una candida divisa che lavava e stirava da sé, mangiava fuori quasi sempre, il sabato e la domenica dormiva o andava fuori con amiche, colleghi. Io bevevo ogni sua parola, se si rivolgeva direttamente a me restavo in estasi per giorni interi e non osavo quasi neppure respirare quando lei era presente.
Avevo appena cominciato a provare degli strani impulsi al basso ventre, a volte il mio “coso” si rizzava senza che potessi fare niente per fermarlo, a volte mi doleva come se me lo strozzassero e a volte mi svegliavo nel letto col fiatone e tutto bagnato.
Ero preoccupato, anche perché non osavo parlarne né con mia madre né con mio padre e di amici non ne avevo… per fortuna trovai nei bagni della scuola dei giornali porno e me li portai a casa, nascondendoli sotto al materasso e poi guardandoli furtivo, di nascosto, con la pila, di notte.
Scoprii così che, per lo meno, non ero malato e che quello che mi stava accadendo era considerato normale, ma scoprii anche corpi di donne nudi e disinibiti, seni talmente grossi che sembravano palloni, anche larghe, sederi rotondi e protesi… e mi sentivo sempre peggio.
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