Description
Dedicato a tutti
L’esigenza di scrivere questo libro arriva dalla responsabilità che nutro verso di voi. Voi che avete stima di me.
Ho la fortuna di conoscere molte persone ed avere ancora molti amici di vecchia data, nonostante, al giorno d’oggi la vita “reale” venga sovrastata da quella “virtuale”. Mi rende orgoglioso sapere che possiate leggere quello che da sempre mi è stato difficile trasmettere e raccontare. Ho lasciato che il mio cuore si esprimesse, pagina dopo pagina, senza limiti e senza permettere alla mia emotività di prendere il sopravvento, mettendomi in gioco, anche senza pallone questa volta.
Ho voluto parlare di Loris, dentro e fuori al campo da calcio, il “campione” che ha affrontato la vita con tutti gli alti e bassi a cui ti sottopone.
Tra queste righe c’è la mia storia: ci sono aneddoti, c’è la mia famiglia, ci sono persone che ho ammirato, stimato, criticato ed anche amato.
Tutto questo si è reso possibile grazie a voi che negli anni mi avete sempre seguito e sostenuto.
Un ringraziamento particolare lo riservo a Pasquale Musmanno e Stefano Arciero per aver elaborato e sviluppato ogni contenuto di questo libro, in modo semplice, così come l’ho sempre idealizzato e come sono io.
Loris Boni
1
Da Remedello a Legnano
Ci sono dei concetti nella vita che non si possono spiegare. Uno di questi è un quesito che spesso e volentieri ha fatto capolino nella mia mente. Frasi a volte incomprensibili per chi come me è cresciuto a pane e pallone e ha trascurato altri aspetti della vita di tutti i giorni. Ogni volta che tornavo a casa e vedevo il cartello con il nome del mio paese natio mi domandavo perché accanto ce ne fosse un altro che spiccava con la scritta “zona depressa”. Un’indicazione che non mi è mai piaciuta per natura e alla quale non ho saputo dare un’effettiva spiegazione. In risposta però ho visto molte persone, io e la mia famiglia compresi, negli anni, andarsene in cerca di fortuna altrove.
E allora mi viene in mente quella struggente canzone di Adriano Celentano dal titolo “Il ragazzo della via Gluck”, che racconta di un giovane che con le lacrime agli occhi e il cuore spezzato lascia il posto dove è nato, i suoi amici, i suoi affetti e quella campagna con quel cielo limpido dall’aria pulita, per trasferirsi in città. Quando ero molto giovane, infatti, era facile avvicinare metaforicamente la città ad uno stile di vita diverso da quello della campagna e del piccolo borgo, uno stile più evoluto ed emancipato, dove era obiettivamente più facile trovare anche un posto di lavoro.
Io sono nato a Remedello, un paesino della provincia bresciana che per me è da sempre bellissimo, nel cuore della Pianura Padana. Sono cresciuto attorniato dalle sue campagne, forte degli ideali che i miei genitori hanno trasmesso oltre che a me, anche a mia sorella maggiore Luisa. La nostra famiglia è da sempre stata caratterizzata da grande dignità, un valore che non si può acquistare e grazie alla quale i miei genitori ci hanno fatto vivere tranquilli. Io ero un ragazzino fin troppo vivace, al contrario di mia sorella Luisa, ma ciò nonostante, entrambi, abbiamo sempre fatto di tutto per ricambiare la fiducia che loro avevano in noi, cercando di evitare di creare problemi.
Quando andavo in giro per le vie del paese non c’era persona che non mi riconoscesse a causa dei miei tratti somatici inconfondibili: ero un bambino magro, dai capelli biondissimi che spiccavano in mezzo al resto di tutti gli altri miei coetanei. Dalle nostre parti si viveva essenzialmente di agricoltura e a quei tempi Luigi, mio padre, come tanti altri abitanti del paese, lavorava in una azienda agricola. Non erano anni felici, il periodo storico-culturale era di quelli che ti fanno rabbrividire, nell’immediato dopoguerra, carico di insidie e timori a cominciare proprio dal posto di lavoro che si rischiava di perdere da un momento all’altro.
Fu proprio per cause lavorative che ben presto lasciammo Remedello. Il trasferimento verso la nuova vita fu vissuto come un’esperienza simile al Natale, quando da piccini si aspettava con ansia la mattina del giorno dopo per andare a scoprire i regali sotto l’albero. C’era la curiosità di vedere la casa, anche se poco importava l’aspetto estetico, non sognavo cose eccezionali, non m’interessavano, contava che fosse accogliente e con il necessario per farci vivere a nostro agio. Ricordo che partimmo dalla vecchia abitazione con un camion carico della nostra vita, dai mobili a tutto quello che aveva costituito la nostra storia. Poche cose, essenziali, per ricominciare in una nuova realtà. I miei genitori erano seduti davanti accanto al conducente mentre io e mia sorella all’interno del cassone, insieme alla mobilia. Di tanto in tanto non riuscivo ad evitare di voltarmi e con lo sguardo, salutare quella che era stata la nostra casa, il focolare tanto caro ai miei genitori. Non fu un viaggio semplice perché durante il tragitto il camion entrò in collisione con un’altra vettura e ruppe lo specchietto retrovisore situato dalla parte del passeggero; l’urto non era stato poi così violento, ma ci spaventammo tutti. Riuscimmo a ripartire e dopo un paio d’ore arrivammo finalmente a Besate, un piccolo paese situato tra le province di Milano e Pavia sulle rive del fiume Ticino.
La nostra destinazione finale era la cascina “Cantarana”, un nome strano ma che faceva facilmente intuire che il risveglio di ogni mattina, da quel giorno in poi, sarebbe stato accompagnato da un concerto di rane appunto. La cascina era molto grande e la campagna mi piaceva da morire. Mio padre aveva trovato lavoro qui con il compito di occuparsi dei campi e della stalla. Era tutto così diverso, ma altrettanto bello: gli animali, il fiume, il profumo della natura incontaminata… I giorni scorrevano veloci e mi dava grande soddisfazione aiutarlo nelle sue mansioni, lui se ne compiaceva ed io ero felice per questo spazio “extra” che riuscivamo a condividere. Vedere tutta quella gente al lavoro ti faceva capire quanto fosse difficile e faticoso quello che svolgevano quotidianamente, ammiravo mio padre che non si lamentava mai e aveva sempre il volto sorridente sebbene, in cuor suo, sapesse che qui eravamo solo di passaggio, non c’erano infatti garanzie per un futuro solido nemmeno con questo nuovo impiego.
Il destino ci mise tanto del suo e un giorno, fortunatamente, la luce della speranza illuminò la nostra famiglia. Tramite degli amici, mio padre venne a conoscenza della possibilità di un impiego a lunga scadenza, un lavoro estremamente pesante in una fonderia a Legnano, una cittadina poco distante da Milano. Fu cosi’ che ci consultammo in famiglia e decidemmo rapidamente di lasciare Besate. Un altro trasloco carico di bagagli emotivi importanti, questa volta lasciavamo per sempre la campagna per avvicinarci ad una grande città. C’era l’entusiasmo di ricominciare di nuovo, con la speranza di un futuro nettamente più roseo.
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